Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5192 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 27/06/2019, dep. 26/02/2020), n.5192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15402/2018 proposto da:

S.K., elettivamente domiciliato in Ravenna, via C.Ricci n. 29,

presso l’avvocato Luca Donelli, che lo rappresenta e difende in

virtù di procura speciale apposta in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositato il

07/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2019 dal Consigliere Dott.ssa Paola GHINOY.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Bologna rigettava la domanda proposta da S.K., cittadino (OMISSIS), volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale.

2. Il Tribunale argomentava che la vicenda descritta dal ricorrente, relativa alla sua fuga dal Ghana per il timore di essere detenuto ingiustamente, perchè ritenuto coinvolto nei disordini avvenuti 17 agosto 2015, non era credibile: il richiedente infatti non aveva compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda, e la trattazione conteneva profili di incoerenza ed appariva in contrasto anche con il contenuto dell’articolo di giornale tratto da Internet prodotto dallo stesso richiedente dinanzi alla Commissione territoriale.

3. La scarsa credibilità del richiedente impediva ad avviso della Corte di riconoscere sia lo status di rifugiato sia la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b).

4. In merito alla valutazione richiesta ai fini dell’applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lettera c) argomentava che le più recenti d’accreditate country of origin informations (C.O.I.), che richiamava, non evidenziavano l’attuale esistenza in Ghana di una situazione di violenza indiscriminata derivante dal conflitto armato idonea ad esporre la popolazione civile ad un grave pericolo per la vita l’incolumità fisica per il solo fatto di soggiornarvi, non avendo peraltro, il ricorrente evidenziato peculiari fattori individualizzati di rischio.

5. Neppure poteva essere riconosciuta la protezione umanitaria, che richiede la sussistenza di una specifica situazione di vulnerabilità, sicchè non poteva avere rilievo di per sè la raggiunta integrazione in Italia (studio della lingua italiana e svolgimento di attività di volontariato e di attività lavorativa per un breve periodo), considerato anche che il richiedente ancora stabili solidi legami familiari nel paese di origine, dove tuttora vive suo nucleo familiare.

6. Per la cassazione del decreto S.K. ha proposto ricorso, affidato a due motivi, cui il Ministero dell’Interno non ha opposto attività difensiva.

7. E’ stata depositata dal ricorrente memoria ex art. 380 bis.1 c.p.c. fuori termine (depositata il 19.6.2019).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e sostiene che il rischio derivante dall’attuale situazione del (OMISSIS) porrebbe il richiedente in una condizione in caso di rientro in patria di particolare vulnerabilità, atteso che ai rischi connessi alla tenuta dell’ordine democratico si aggiungono quelli derivanti non solo dalla gravissima crisi economica in cui versa il paese, ma anche dalla condizione di vita carceraria cui rischierebbe di essere ingiustamente vittima. D’altro canto, lo sforzo compiuto per inserirsi nel tessuto sociale e la sua evidente volontà di non voler essere un peso bensì una risorsa per il sistema economico lavorativo non potrebbero essere trascurati quantomeno ai fini della concessione della protezione di tipo umanitario.

9. Come secondo motivo deduce la violazione dell’art. 115 c.p.c. del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 8 e lamenta che il giudice di primo di prime cure abbia utilizzato C.O.I. del tutto estranee al dibattito processuale, non sottoposte al contraddittorio delle parti, così violando le disposizioni richiamate.

10. Il ricorso è inammissibile.

Con riguardo al primo motivo, occorre ribadire che la domanda diretta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. n. 19197 del 28/09/2015, n. 27336 del 29/10/2018). Il ricorso al Tribunale costituisce atto introduttivo di un giudizio civile, retto dal principio dispositivo: principio che, se nella materia della protezione internazionale viene derogato dalle speciali regole di cui al cit. D.Lgs. 251 del 2007, art. 3 e al D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, che prevedono particolari poteri-doveri istruttori (anche) del giudice, non trova però alcuna deroga quanto alla necessità che la domanda su cui il giudice deve pronunciarsi corrisponda a quella individuabile in base alle allegazioni dell’attore. I fatti costitutivi del diritto alla protezione internazionale devono dunque necessariamente essere indicati dal richiedente, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli in giudizio d’ufficio, secondo la regola generale.

11. Nel caso, il Tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente operando una specifica valutazione basata su plurimi elementi che rivelavano la contraddittorietà e genericità di quanto riferito, privo dei dettagli che consentissero di ritenere veritiere le circostanze relative alla partecipazione ai disordini, ritenuta motivo dell’applicazione del principio di non refoulement, coerente con gli oneri motivazionali e con i parametri legali di giudizio (D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, ex art. 3, comma 5).

12. Le circostanze fattuali tali da determinare il pericolo di coinvolgimento in atti di persecuzione nel paese di origine avrebbero dunque dovuto essere dedotte in giudizio dall’attuale ricorrente, che però non vi ha adeguatamente provveduto, come risulta dallo stesso ricorso per cassazione, in cui si allega, al più, la compatibilità del racconto con tale situazione.

13. Il motivo di sostanzia in una censura di merito all’accertamento di fatto compiuto dal Tribunale sulla non credibilità del racconto dello straniero e nella prospettazione di una diversa lettura e interpretazione delle sue dichiarazioni ed è pertanto inammissibile, considerato che il vizio di motivazione rappresentato dal travisamento di fatti decisivi non è riconducibile al nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e la motivazione posta a base della decisione del giudice di merito non è meramente apparente, ma si fonda su un nucleo argomentativo logico che ha evidenziato con coerenza le ragioni dell’inattendibilità della narrazione del ricorrente stesso.

14. E’ poi evidente che l’attendibilità e la rilevanza della narrazione dei fatti che hanno indotto lo straniero a lasciare il proprio Paese svolge un ruolo rilevante anche ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, atteso che ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza, secondo le allegazioni del richiedente (Cass. 4455/2018), la cui attendibilità soltanto consente l’attivazione dei poteri officiosi. La rilevanza e l’attendibilità di quanto narrato dall’istante sono state, peraltro, escluse, nel caso di specie, per i motivi suesposti.

15. Nessuna rilevanza può, inoltre, attribuirsi di per sè al percorso di integrazione in Italia, in difetto di elementi di comparazione di segno negativo, che evidenzino una compromissione dei diritti umani che attenderebbe l’immigrato in caso di ritorno in patria. Questa Corte ha infatti chiarito (v. Cass.23/02/2018, n. 4455 e successive conformi) che il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza.

16. Non può essere dunque riconosciuto al cittadino straniero il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari considerando, isolatamente ed astrattamente, il suo livello di integrazione in Italia, nè il diritto può essere affermato in considerazione del contesto di generale e non specifica compromissione dei diritti umani accertato in relazione al Paese di provenienza, atteso che il rispetto del diritto alla vita privata di cui all’art. 8 CEDU, può soffrire ingerenze legittime da parte di pubblici poteri finalizzate al raggiungimento d’interessi pubblici contrapposti quali quelli relativi al rispetto delle leggi sull’immigrazione, particolarmente nel caso in cui lo straniero non possieda uno stabile titolo di soggiorno nello Stato di accoglienza, ma vi risieda in attesa che sia definita la sua domanda di riconoscimento della protezione internazionale (Cass. 28/06/2018, n. 17072).

17. Con riferimento al secondo motivo, occorre rilevare che la violazione del richiamato art. 115 c.p.c., secondo quanto è stato in più occasioni affermato da questa Corte, è ravvisabile solo nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (così da ultimo Cass. 25/02/2019, n. 5422, Cass. 18/03/2019, n. 7580). Nel caso, è lo stesso D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3 che impone l’acquisizione di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati.

18. La censura lamenta piuttosto la violazione del principio del contraddittorio sulle circostanze fattuali desunte dalle COI assunte a fondamento della decisione, ed è in tal senso inammissibile.

19. Occorre in proposito richiamare la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale la nullità di un mezzo di prova, quali sono le COI, non comporta la nullità (derivata) della decisione, quanto, piuttosto, l’eventuale assenza di giustificazione delle statuizioni in fatto della sentenza, la quale, in quanto fondata sulla prova nulla (che quindi non può essere utilizzata) sarebbe priva di (valida) motivazione. Ne deriva che tale vizio sotto il profilo della censura dell’apparato argomentativo è sindacabile in sede di legittimità nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (Cass. n. 17247 del 28/07/2006, Cass. n. 18587 del 03/09/2014).

20. Nel caso, tuttavia, la parte non prospetta l’inattendibilità, nè l’errata lettura, delle fonti utilizzate dal giudice di merito, nè cita altre fonti idonee a privare di rilievo quanto in esse riferito, nè richiama circostanze fattuali decisive che avrebbe potuto sottoporre al contraddittorio.

21. Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.

22. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, in assenza di attività difensiva della parte intimata.

23. Sussistono i presupposti per l’applicazione del doppio contributo di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, non risultando il richiedente ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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