Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5190 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2011, (ud. 08/11/2010, dep. 04/03/2011), n.5190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito A. – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.E., elett.te dom.to in Roma, via M. Prestinari

13, presso lo studio dell’avvocato, Ramadori Giuseppe, rappresentato

e difeso dall’avvocato D’Arrigo Domenico, giusta procura speciale in

calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso cui è domiciliata in Roma, via dei

Portoghesi 12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 136/67/05 della Commissione tributaria

regionale della Lombardia, sezione staccata di Brescia, emessa il 2

maggio 2005, depositata il 22 giugno 2005, R.G. 4421/02;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 2010 dal

Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il contribuente, L.E., proponeva opposizione, con separati ricorsi, all’avviso di accertamento dell’Ufficio delle Imposte dirette di Verolanuova e all’avviso di accertamento dell’Ufficio IVA di Brescia (OMISSIS), notificatigli in relazione all’anno di imposta 1994 in cui non aveva presentato nè la dichiarazione dei redditi nè la dichiarazione IVA. Entrambi gli atti di accertamento erano basati sulla verifica compiuta dalla Guardia di Finanza di Manerbio sui conti bancari della s.r.l. Costruire 92 dalla quale era emerso il versamento di assegni, tratti da conti correnti della società, sul conto corrente intestato a L.E. per complessive L. 69.864.000.

Le amministrazioni finanziarie contestavano l’esercizio di attività di edilizia “in nero” per conto della s.r.l. Costruire 92 e la conseguente evasione dell’imposte sui redditi e dell’IVA e irrogavano le sanzioni per le omesse dichiarazioni e fatturazioni.

Il ricorrente contestava la legittimità dell’utilizzazione della verifica fiscale compiuta presso un terzo soggetto e la sussistenza degli addebiti relativi alla prestazione di lavoro “in nero” assumendo che gli assegni erano stati ricevuti e incassati a titolo di prestito di favore.

La C.T.P. di Brescia rigettava il ricorso.

Tale decisione è stata riformata dalla C.T.R. della Lombardia che ha ridotto del 30%, in via equitativa, il reddito di impresa, in considerazione dei costi presuntivi sostenuti dal L..

Ricorre per cassazione il contribuente deducendo due motivi di impugnazione. Si difende con controricorso l’Amministrazione finanziaria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 55 in relazione allo stesso D.P.R., artt. 1, 4 e 28 e all’art. 2697 c.c., e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente ritiene che la sentenza della C.T.R. sia viziata perchè deduce dal semplice incasso di alcuni assegni la prova (presuntiva) di un fatto ignoto quale l’esercizio di un’attività di impresa, ai fini del giudizio di legittimità dell’accertamento IVA. Con il secondo motivo di ricorso si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lett. a) in relazione al D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 1 e 51 e all’art. 2697 c.c. e, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, la omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

Il ricorrente ritiene che la sentenza della C.T.R. sia viziata perchè deduce dal semplice incasso di alcuni assegni la prova presuntiva di un fatto ignoto quale l’esercizio di un’attività di impresa, ai fini del giudizio di legittimità dell’accertamento IVA. I due motivi possono essere esaminati congiuntamente, stante la loro specularità, e di entrambi si deve ritenere la infondatezza. Il contribuente, nè nella fase pre-contenziosa, nè nel corso del giudizio, ha provato la affermazione per cui gli assegni sarebbero stati percepiti a titolo di prestito di favore. Su questo rilievo i giudici di merito hanno ritenuto l’infondatezza dell’impugnazione degli avvisi di accertamento trattandosi, per un verso, di una deduzione difensiva che, oltre a non essere stata provata, si presenta comunque poco plausibile in quanto il L. avrebbe ricevuto un prestito di rilevante importo da una società commerciale senza alcuna statuizione contrattuale scritta e senza alcuna giustificazione personale di tale dazione di denaro. Per altro verso l’importanza della somma ricevuta esclude per i giudici di merito la possibilità che il L. abbia piuttosto prestato attività lavorativa dipendente “in nero” per conto della s.r.l. Costruzioni 92. Si tratta di argomentazioni che, in entrambi i casi, sono in grado di sostenere, per la loro coerenza logica e rilevanza, il giudizio sulla legittimità e la fondatezza dell’accertamento induttivo sulla base della consolidata giurisprudenza di legittimità secondo cui, nelle ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione da parte del contribuente, la legge abilita l’Ufficio delle imposte a servirsi di qualsiasi elemento probatorio ai fini dell’accertamento del reddito e, quindi, a determinarlo anche con metodo induttivo ed anche utilizzando, in deroga alla regola generale, presunzioni semplici prive dei requisiti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, comma 3 sul presupposto dell’inferenza probatoria dei fatti costitutivi della pretesa tributaria ignoti da quelli noti, di tal che, a fronte della legittima prova presuntiva offerta dall’Ufficio, incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della predetta pretesa (cfr. Cass. Civ. sezione 5 n. 20708 del 3 ottobre 2009).

Il ricorso va pertanto respinto, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi Euro 1.600 di cui 1.500 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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