Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5186 del 04/03/2011

Cassazione civile sez. trib., 04/03/2011, (ud. 08/11/2010, dep. 04/03/2011), n.5186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito A. – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrerente –

contro

C.M.R., A.G.B. e A.

G., rappresentati e difesi dall’avv. Carraturo Alfredo e

dall’avv. Valentino Fedeli, presso il quale sono domiciliati in Roma

in via Lucrezio Caro n. 62;

– controricorrenti –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

n. 724/39/07, depositata il 28 dicembre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza dell’8

novembre 2010 dal Relatore Cons. Dr. Antonio Greco;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, sulla base di tre motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio che, rigettando l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio di Frosinone, ha confermato l’accoglimento del ricorso con il quale C.M.R., A.G. B. e A.G. impugnavano l’avviso di liquidazione dell’imposta di successione, chiedendone la rettifica per essere stato incluso nel valore delle azioni della spa Europack, come da essi contribuenti indicato nella denuncia di successione in data 16 maggio 2000, il valore di avviamento della società, ed ha così confermato il diritto degli appellati al rimborso della somma versata in eccedenza e dei relativi interessi.

In primo grado l’amministrazione, rilevato che i contribuenti avevano intanto definito, ai sensi della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11 la base imponibile delle azioni della spa Europack cadute in successione, eccepivano la preclusione di ogni controllo in ordine al valore dichiarato, dovendosi assumere come definitivo quanto determinato in forza del condono.

Il giudice d’appello ha ritenuto, ammettendo la rettifica richiesta con la domanda giudiziale dai contribuenti, che l’avviso di liquidazione era fondato su un errore materiale di valutazione, come chiarito da una circolare ministeriale di tre anni successiva alla dichiarazione di successione. I contribuenti resistono con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Col primo motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando “omessa pronuncia. Violazione dell’art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)”, si duole che in presenza di espresso motivo di appello – trascritto nel ricorso – diretto a far valere l’inantnissibilità del ricorso introduttivo per essere stato definito il valore imponibile ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 11 il gravame sia stato respinto, giudicandosi fondata la richiesta dei contribuenti, senza considerare il detto rilievo.

Con il secondo motivo, denunciando violazione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11 si duole sia stato rigettato l’appello considerandosi rettificabile il valore dichiarato per errore dai contribuenti, non considerando che, essendo stata perfezionata la procedura di condono, il valore ivi indicato doveva ritenersi definitivo.

Con il terzo motivo, denunciando “violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 18, comma 2, lett. e) e dell’art. 19, comma 3, nonchè del D.Lgs. n. 346 del 1990, art. 33 (art. 360 c.p.c., n. 3)”, deduce l’inammmissibilità dell’impugnazione dell’avviso di liquidazione dell’imposta principale di successione, liquidata sulla base dei valori indicati nella dichiarazione presentata dagli eredi, volta a far valere un errore di calcolo compiuto dagli stessi contribuenti nella quantificazione del valore del bene, oggetto della stessa dichiarazione di successione presentata all’ufficio, sulla cui base l’avviso di Liquidazione era stato emesso.

Il ricorso è fondato.

Dalla sentenza impugnata – oltre che dalla copia dell’appello depositata con il ricorso per cassazione e dalla trascrizione del motivo nello stesso ricorso per cassazione – risulta che l’ufficio finanziario con l’atto di appello aveva tra l’altro censurato la decisione di primo grado, come si legge nello svolgimento del processo, “per erroneità della pronuncia nella parte in cui esamina gli effetti dell’istanza di definizione, presentata ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 11”; l’intervenuta definizione agevolata è, del resto, del tutto pacifica tra le parti.

La sentenza impugnata, nel ritenere “infondato l’appello dell’Ufficio” e nel respingerlo, ed ancorchè non motivi espressamente sul punto, incorre nei vizi di violazione di legge denunciati con i primi due motivi, assorbito l’esame del terzo.

A norma della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 11 ai fini dell’imposta sulle successioni, per le denunce e le dichiarazioni presentate entro la data del 30 novembre 2002, i valori dichiarati per i beni “sono definiti, ad istanza dei contribuenti … con l’aumento del 25 per cento, a condizione che non sia stato precedentemente notificato avviso di rettifica e liquidazione della maggiore imposta”.

E’ principio costantemente affermato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui in tema di condono fiscale.

deve escludersi, in base alle finalità tipiche di tutte le normative di condono, che; dalla definizione agevolata possa derivare il diritto del contribuente al rimborso di somme già versate anteriormente alla presentazione dell’istanza di condono (Cass. n. 195 del 2004). Per il condono fiscale, infatti, “indipendentemente dalla diversità delle regole giuridiche dettate da ciascuna legge in ordine alle modalità di accesso, alle condizioni ed agli effetti dei benefici premiali, trova applicazione un principio comune, in virtù del quale, mentre non è vietata in assoluto la compensazione tra il dare e l’avere del Fisco e del contribuente, in riferimento agli anni d’imposta oggetto di definizione agevolata, non è in nessun caso consentita, relativamente ai medesimi anni, la restituzione delle somme versate dal contribuente: l’intervenuta formazione di un nuovo titolo giuridico, a partire da un quadro normativo generale ed astratto, ma con l’adesione volontaria del contribuente ed il controllo del possesso dei requisiti da parte dell’amministrazione, costituisce infatti un mezzo idoneo a definire le opposte pretese, azzerando le richieste di rimborso del contribuente così come le ulteriori pretese del Fisco, proprio in conseguenza del fatto che il primo in parte versa, ed in parte si obbliga a corrispondere quelle somme di denaro che il secondo esige, in base a parametri legislativi predeterminati, applicati in concreto agli accertamenti precedentemente eseguiti dal Fisco e ritenuti convenienti dal contribuente in base ad un suo insindacabile apprezzamento” (Cass. n. 20741 del 2006).

Anche in relazione ad ipotesi di definizione agevolata previste dalla L. n. 289 del 2002, ed in particolare, come nella specie, in relazione all’asserita assenza del presupposto dell’imposta, si è affermato, segnatamente con riferimento alla definizione dell’IVA e alle imposte dirette, ma con principio estensibile ad altre imposte, che “con riferimento alla definizione automatica prevista dalla L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9 la presentazione della relativa istanza preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso per le annualità d’imposta definite in via agevolata, ivi compreso il rimborso di imposte asseritamente inapplicabili per assenza del relativo presupposto (nei casi di specie IVA e IRAP): il condono, infatti, in quanto volte a definire “transattivamente” la controversia in ordine all’esistenza di tale presupposto, pone il contribuente di fronte ad una libera scelta tra trattamenti distinti e che non si intersecano tra loro, ovverosia coltivare la controversia nei modi ordinari, conseguendo se del caso il rimborso delle somme indebitamente pagate, oppure corrispondere quanto dovuto per la definizione agevolata, ma senza possibilità di riflessi o interferenze con quanto eventualmente già corrisposto in via ordinaria” (Cass., sezioni unite, n. 14828 del 2008; Cass. n. 3682 del 2007).

Vanno pertanto accolti i primi due motivi del ricorso, assorbito l’esame del terzo; la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere definita nel merito, con il rigetto del ricorso introduttivo dei contribuenti.

Si ravvisano giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo dei contribuenti.

Dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 8 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 4 marzo 2011

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