Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5183 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 13/02/2017, dep.28/02/2017),  n. 5183

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16710/2012 R.G. proposto da:

B.A.P., rappresentata e difesa dall’Avv. Paolo

PERRELLI, con domicilio eletto presso l’Avv. Lanfranco CUGINI, in

Roma, Via Leone IV, n. 4, giusta procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata ex lege in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio

sez. staccata di Latina n. 898/39/11, depositata il 27 dicembre

2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 13 febbraio 2017

dal Cons. Dott. Giuseppe Fuochi Tinarelli;

udito l’Avv. Lanfranco Cugini per delega dell’Avv. Paolo Perrelli che

chiede l’accoglimento del ricorso;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. DE RENZIS Luisa, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza n. 898 del 2011, la CTR del Lazio – sez. staccata di Latina ha respinto l’appello di B.A.P., esercente attività di laboratorio di fotografia, confermando la decisione delle CTP di Frosinone che, in relazione alle difficoltà allegatela giustificazione dei minori ricavi, aveva parzialmente annullato l’avviso di accertamento per l’anno 2004, fondato sull’applicazione degli studi di settore, riducendo l’importo del maggior reddito d’impresa rettificato.

2. Ha proposto ricorso per cassazione la contribuente con cinque motivi. L’Agenzia delle Entrate è costituita ai soli fini della discussione.

Il collegio delibera l’utilizzazione di motivazione semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. Con il primo motivo la contribuente denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa indicazione degli elementi dai quali il giudice ha tratto il proprio convincimento.

Con il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per aver omesso di pronunciare su tutti i motivi di appello.

Con il terzo motivo censura, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la decisione impugnata per omessa, insufficiente motivazione.

Con il quarto motivo denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, ed omessa, insufficiente motivazione, per non aver dichiarato l’illegittimità dell’accertamento induttivo fondato sull’applicazione automatica degli studi di settore senza considerare gli elementi forniti dalla ricorrente.

Con il quinto motivo, infine, denuncia la violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7 e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, per non aver la sentenza annullato l’avviso di accertamento in quanto privo di motivazione sulle ragioni addotte dal contribuente.

4. I motivi, da trattare congiuntamente perchè connessi, sono fondati.

La CTR, infatti, si è limitata ad una sintesi sommaria della decisione di primo grado, che ha ritenuto di condividere senza, tuttavia, in alcun modo chiarire le ragioni, gli elementi di fatto e le argomentazioni giuridiche poste a fondamento della soluzione accolta, nè vagliare i motivi di appello – riprodotti in osservanza del principio di autosufficienza – formulati dalla contribuente.

Le affermazioni della CTR, infatti, sono meramente astratte (il giudice di primo grado “non ha ritenuto illegittimo l’accertamento fondato sui parametri dello studio di settore limitandosi solo ad esprimere la considerazione che forse potevano essere eseguiti approfondimenti da parte dell’ufficio sulle dichiarazioni del contribuente” e “ha ritenuto non sufficientemente apprezzabili dette rappresentazioni in rapporto a quanto dichiarato ed alla perdita indicata rispetto ai valori indicati dallo studio di settore”) e tautologica la conclusione raggiunta (“il giudice adito ha valutato equamente che la ricorrente, pur tenendo conto delle difficoltà lamentate, non potesse concludere in perdita la propria attività e quindi ha ritenuto di poter determinare il reddito d’impresa come da sentenza impugnata”… “il convincimento si è realizzato attraverso una serena, equa disamina dei vari elementi processuali considerati nel loro complesso ed un esame degli elementi forniti controllandone l’attendibilità e la concludenza, pervenendo a risultanze istruttorie idonee a dimostrare i fatti in discussione”).

La motivazione, dunque, non fornisce alcun riscontro alle valutazioni enunciate – tanto più a fronte degli elementi oggettivi introdotti dalla contribuente (in specie, l’infedeltà di due dipendenti che sin dal 2003 hanno avviato una attività in concorrenza e che ha avuto anche un esito processuale innanzi al giudice del lavoro, la riduzione del numero di dipendenti, la documentazione contabile) e non permette, in alcun modo, di comprendere gli argomenti fattuali e l’iter logico che hanno condotto il giudice a ritenere la configurabilità dei presupposti di gravità per giustificare l’accertamento induttivo e, comunque, adeguata la rideterminazione del reddito d’impresa già effettuata dal primo giudice e censurata dalla contribuente.

In materia, del resto, vale il principio per cui il processo tributario non è diretto alla mera eliminazione giuridica dell’atto impugnato, ma ad una pronuncia di merito, sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente sia dell’accertamento dell’ufficio, sicchè il giudice tributario, ove ritenga invalido l’avviso di accertamento per motivi di ordine sostanziale (e non meramente formali), è tenuto ad esaminare nel merito la pretesa tributaria e a ricondurla, mediante una motivata valutazione sostitutiva, alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte, con l’ulteriore precisazione che l’Amministrazione finanziaria, nel regime anteriore alle modifiche operate dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 23, del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, conv. con mod. nella L. n. 427 del 1993 (e, dunque, prima del 1 gennaio 2007), non è legittimata a procedere all’accertamento induttivo, al di fuori delle ipotesi tipiche previste del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, allorchè si verifichi un mero scostamento non significativo tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dagli studi di settore, ma solo quando venga ravvisata una “grave incongruenza” (Cass. n. 26481 del 2014, Rv. 633651).

6. Conclusivamente, in accoglimento del ricorso, va cassata la pronuncia impugnata, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della CTR del Lazio.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata. Rinvia a diversa sezione della CTR del Lazio, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 13 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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