Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5181 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 5181 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: IANNELLO EMILIO

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 11345/2016 R.G. proposto da
Scatà Giancarlo, rappresentato e difeso dall’Avv. Francesco Greco, con
domicilio eletto in Roma, viale Regina Margherita, n. 111, presso lo
studio dell’Avv. Giuseppe Scioscia;
– ricorrente contro
Meli Vincenzo, rappresentato e difeso dall’Avv. Bruno Leone, con
domicilio eletto in Roma, via di San Saba, n. 7, presso lo studio dell’Avv.
Roberto Randazzo;
– controricorrente –

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nonché contro
Aviva Italia S.p.A., rappresentata e difesa dall’Avv. Vincenzo Borgia, con

Data pubblicazione: 06/03/2018

domicilio eletto in Roma, via Alberico II, n. 4, presso lo studio dell’Avv.
Francesco Borgia;
– controricorrente e contro
Fallimento della Soc. Coop Sirpol a r.I., I.N.A.I.L.;
— intimati —

depositata il 20 marzo 2015;
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 15 febbraio 2018
dal Consigliere Emilio Iannello.
Rilevato che:
Giancarlo Scatà conveniva in giudizio avanti il Tribunale di Siracusa
Vincenzo Meli, la Soc. Coop Sirpol a r.l. e la Commerciai Union Insurance
S.p.A. chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni subiti
a seguito dell’incidente stradale occorso in data 20 marzo 2001
allorquando il furgone portavalori, di proprietà della Sirpol, che
affermava essere condotto dal Meli e sul quale assumeva di viaggiare
come trasportato, sbandava e si capovolgeva, invadendo la corsia
opposta;
il tribunale, esteso il contraddittorio anche nei confronti dell’Inail,
rigettava la domanda ritenendo non esservi prova certa della
responsabilità del Meli e che fosse piuttosto emerso che l’automezzo era
condotto dallo stesso attore;
tale decisione è stata confermata con la sentenza in epigrafe dalla
Corte d’appello di Catania;
i giudici di secondo grado in particolare — rilevata preliminarmente la
mancata produzione di due dei documenti cui l’appellante faceva
riferimento a sostegno della propria tesi (verbale delle dichiarazioni rese
da Claudio Messina alla Polizia Giudiziaria e documentazione sanitaria) —
hanno rilevato che l’appellante non ha offerto elementi di prova, non
considerati dal primo giudice, idonei a dimostrare che fosse il Meli alla
guida del mezzo; che in senso opposto militava, ancorché non in forza di

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avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania, n. 489/2015

giudicato opponibile ma per le circostanze di fatto da esso emergenti, la
sentenza irrevocabile che, in appello, aveva assolto il Meli dal delitto di
omicidio colposo di altra guardia giurata che nell’occorso viaggiava sullo
stesso mezzo; che infine, sul piano logico, anche a dar credito alla tesi
dell’appellante secondo cui egli non era al posto di guida, «rimane
impossibile spiegare come i due uomini abbiano potuto invertire la

sua volta rimasto incastrato a ridosso dello sportello di guida con lo
Scatà addosso»;
avverso tale decisione quest’ultimo propone ricorso per cassazione,
articolando due motivi, cui resistono Vincenzo Meli e Aviva Italia S.p.A.
(incorporante per fusione la Commerciai Union Insurance S.p.A.)
depositando controricorsi e la seconda anche memoria;
la Soc. Coop Sirpol a r.I., nelle more fallita, e l’I.N.A.I.L. non svolgono
difese nella presente sede;

considerato che:
con il primo motivo di ricorso Giancarlo Scatà denuncia «erronea e
falsa applicazione dell’art. 165 cod. proc. civ., in relazione all’art. 347
cod. proc. civ.» per avere la Corte d’appello posto a suo carico la
conseguenza del mancato rinvenimento del fascicolo di parte di primo
grado: assume che tale fascicolo, come risulta dall’atto di citazione in
appello, vidimato dal cancelliere, venne depositato in uno con la copia
della sentenza impugnata e che pertanto la Corte di merito avrebbe
dovuto dare mandato alla cancelleria di effettuare le opportune ricerche
ed eventualmente, all’esito, ordinare la ricostruzione del fascicolo ovvero
autorizzare il ripristino di tutti gli atti e documenti ivi contenuti;
la censura è inammissibile;
secondo principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte,
premesso che è onere della parte appellante produrre in giudizio il
proprio fascicolo di primo grado, il mancato rinvenimento, nel fascicolo
di parte, al momento della decisione della causa in secondo grado, dei
documenti già prodotti nel giudizio diprimo grado su cui la medesima

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posizione e come il Meli, che si assume essere stato alla guida, non sia a

parte assuma di aver basato la propria pretesa dedotta in controversia
non preclude al giudice di appello di decidere nel merito sul gravame,
qualora non si alleghi che gli stessi siano stati smarriti, essendo onere
della parte stessa, quando non si versi nel caso dell’incolpevole perdita
di essi (con conseguente possibilità della loro ricostruzione previa
autorizzazione giudiziale), assicurarne al giudice di appello la

termini, già Cass. 15/05/2007, n. 11196; Cass. 20/12/2004, n. 23598;
v. anche Cass. 19/05/2010, n. 12250);
sulla base dell’orientamento giurisprudenziale richiamato, lo Scatà
avrebbe quindi dovuto, prima che la causa fosse assunta in decisione,
far rilevare la mancanza dei documenti richiamati nel proprio fascicolo di
parte, allegandone l’avvenuto incolpevole smarrimento e chiedendo,
conseguentemente, di disporre le opportune ricerche in Cancelleria e, se
del caso, di essere autorizzato al nuovo deposito, in modo da assicurare
alla corte d’appello la disponibilità dei documenti in funzione della
decisione;
non risulta, invece, che l’appellante abbia posto in essere tale
condotta processuale, con la conseguenza che legittimamente la corte
territoriale ha deciso il gravame sulla scorta dei documenti rinvenuti in
atti;
nel caso di specie, invero, la corte territoriale ha rilevato che i sopra
menzionati documenti «non risultano prodotti», precisando che gli stessi
«erano probabilmente contenuti nel fascicolo di parte attrice per il primo
grado che, però, non risulta essere stato depositato dall’appellante —
che ne aveva l’onere e l’interesse — agli atti del presente giudizio»;
da tale affermazione non residuano margini per ritenere, come
assume il ricorrente, che si tratti di successivo incolpevole smarrimento,
essa invero attestando non già il «mancato rinvenimento» al momento
della decisione di documenti inizialmente prodotti ma, ben diversamente
e radicalmente, il mancato deposito (già al momento della costituzione in
appello) del fascicolo di parte;

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disponibilità in funzione della decisione (Cass. 27/06/2016, n. 13218; in

né comunque risulta che un tale smarrimento fosse stato
espressamente segnalato dalla parte;
con il secondo motivo il ricorrente denuncia inoltre «erronea e falsa
applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.; illogicità e contraddittorietà
della motivazione addotta dalla Corte; omessa valutazione di un fatto
decisivo per il giudizio»;

valorizzato la sentenza di assoluzione del Meli dal reato di omicidio
colposo allo stesso ascritto in relazione al medesimo sinistro; che
altrettanto illogicamente hanno ritenuto impossibile a spiegarsi che la
posizione sua e quella del Meli all’interno dell’abitacolo si fosse potuta
invertire e che il primo non sia stato a sua volta trovato incastrato a
ridosso dello sportello lato guida; che tale spostamento al contrario trova
riscontro nel fatto che sia l’uno che l’altro non ebbero a patire danni agli
arti inferiori oltre che nella posizione nella quale egli fu trovato (con le
gambe e i piedi in alto, sopra il sedile); che erroneamente la Corte ha
confermato la validità della testimonianza resa da Agata Spallino, la
quale aveva affermato di riconoscere in esso odierno ricorrente, per
averlo visto effigiato in un giornale, la persona «incastrata» nel lato
guidatore del veicolo; che infine altrettanto erroneamente i giudici di
merito hanno negato rilievo alla confessione resa dal Meli alla polizia
giudiziaria;
anche tale motivo si appalesa inammissibile;
lo stesso invero propone con ogni evidenza mere questioni di merito,
muovendosi ben al di là dei limiti entro i quali è deducibile in cassazione
vizio di motivazione, non a caso dedotto in rubrica secondo il vecchio
paradigma dell’art. 360, comma primo, num. 5, cod. proc. civ. e non
secondo il nuovo quale risultante dalla modifica introdotta dall’art. 54,
comma 1, lett.

b),

d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con

modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134;
varrà al riguardo rammentare che, nel nuovo regime, applicabile
nella specie

ratione temporis,

dà luogo a vizio della motivazione

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lamenta che erroneamente i giudici di secondo grado hanno

sindacabile in cassazione l’omesso esame di un fatto storico, principale o
secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti
processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e
abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe
determinato un esito diverso della controversia); tale fatto storico deve
essere indicato dalla parte — nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui

4, cod. proc. civ. — insieme con il dato, testuale o extratestuale, da cui
ne risulti l’esistenza, il come e il quando (nel quadro processuale) tale
fatto sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendosi anche
evidenziare la decisività del fatto stesso (Cass. Sez. U. 07/04/2014, n.
8053; Cass. 22/09/2014, n. 19881);
nel caso di specie tale specificazione manca, rivelandosi piuttosto la
doglianza nel suo complesso diretta a sollecitare una mera nuova
valutazione di merito dei medesimi argomenti ed elementi di fatto già
dedotti nei giudizi di merito e compiutamente esaminati dai giudici a

quibus;
non può tale valutazione mutare in relazione alla pure dedotta
«erronea e falsa applicazione dell’art. 116 cod. proc. civ.»;
è invero pacifico in giurisprudenza che il principio del libero
convincimento ex art. 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano
dell’apprezzamento di merito riservato in via esclusiva al Giudice e come
tale insindacabile in sede di legittimità: la denuncia, pertanto, di
violazione dell’art. 116 cod. proc. civ. solo apparentemente veicola un
vizio di «violazione o falsa applicazione di norme di diritto»,
traducendosi, invece, nella denuncia di «un errore di fatto» che deve
essere fatta valere attraverso il corretto paradigma normativo del vizio
motivazionale e, dunque, nei limiti consentiti dall’art. 360, comma
primo, num. 5, cod. proc. civ. (cfr. Cass. 12/10/2017, n. 23940;
17/06/2013, n. 15107; 05/09/2006, n. 19064; 20/06/2006, n. 14267;
13/07/2004, n. 12912; 12/02/2004, n. 2707), essendo esclusa in ogni
caso una nuova rivalutazione dei fatti da parte della Corte di legittimità

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all’art. 366, comma primo, num. 6, e all’art. 369, comma secondo, num.

(cfr. Cass. Sez. U. 27/12/1997, n. 13045; Cass. 28/03/2012, n. 5024;
Cass. 07/01/2014, n. 91);
il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile con la conseguente
condanna del ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti,
delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da
dispositivo;

maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre
2012, n. 228, per l’applicazione del raddoppio del contributo unificato;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al
pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese del
giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000 per compensi, oltre
alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati
in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso il 15/2/2018
Il Presid nte
(Angelo

1::”TPINdeffir

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ricorrono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. 30

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