Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5175 del 06/03/2018


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Cassazione civile, sez. III, 06/03/2018, (ud. 19/12/2017, dep.06/03/2018),  n. 5175

Fatto

1. L’avv. K.M., consorte e già procuratrice dell’avv. D.D.M., cui T.L. aveva intimato in data 08/03/2013 precetto di pagamento fondato sulla sentenza n. 1145/12 della Corte di appello di Brescia, insorse – prospettando la sua azione quale domanda di accertamento negativo o, in alternativa e rimettendone la qualificazione all’adito giudice, opposizione esecutiva – dinanzi al Tribunale di Bergamo avverso l’atto del 28/06/2014 (n. 6897 cron.) dell’Ufficiale giudiziario dell’Ufficio unico notifiche esecuzioni e protesti (UNEP) presso quell’ufficio, con cui, data anche a lei notizia della pendenza di una procedura esecutiva mobiliare, le si era dato avviso che, in mancanza di comunicazioni, si sarebbe proceduto all’apertura forzata per procedere al chiesto pignoramento.

2. Contestata dall’opposto T. in rito e nel merito l’avversa domanda, questa, qualificata dal giudice come “opposizione ex artt. 617 e 618 c.p.c.”, fu rigettata – con condanna dell’opponente K. alle spese di lite – in base all’attribuzione ad una svista o distrazione dell’Ufficiale giudiziario della menzione nell’atto oggetto di causa pure dell’avv. K.M., oltre che dell’effettivo esecutato avv. D.D.M., espressamente qualificato come il solo contro cui era stata richiesta l’esecuzione dal procedente e poteva quindi dirsi pendente una procedura esecutiva.

3. Per la cassazione di tale sentenza, pubblicata il 13/10/2015 col n. 2278, la K. ricorre oggi, con atto spedito per la notifica il 12/04/2016 ed articolato su nove motivi; resiste con controricorso il T.; e, per la pubblica udienza del 19/12/2017, ciascuna delle parti deposita memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. La ricorrente si duole:

– col primo motivo (a pag. 10 del ricorso), di “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”;

– col secondo motivo (a pag. 13 del ricorso), di “violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. (A e B)”;

– col terzo motivo (a pag. 18 del ricorso), di “violazione dell’art. 116 c.p.c., e dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”;

– col quarto motivo (a pag. 21 del ricorso), di “violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, (A) nonchè omissione dell’esame del fatto attestato dall’U.G., ricorribile ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e violazione dell’art. 2700 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, (B) e finire violazione dell’art. 116 c.p.c., e art. 2733 c.c., in relazione all’art. 360, n. 4 (C)”;

– col quinto motivo (a pag. 26 del ricorso), di “violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132c.p.c., e artt. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, (A) nonchè dell’art. 2700 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (B)”;

– col sesto motivo (a pag. 30 del ricorso), di “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (A) e dell’art. 111 Cost., art. 132 c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4 (B)”;

– col settimo motivo (a pag. 35 del ricorso), di “violazione dell’art. 111 Cost., e dell’art. 132c.p.c., e art. 118 disp. att. c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4, (A) ed omissione dell’esame del fatto attestato dall’U.G., ricorribile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 (B)”;

– con l’ottavo motivo (a pag. 39 del ricorso), di “violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”;

– col nono motivo (a pag. 41 del ricorso), di “violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”.

2. Ritiene il Collegio superflua l’illustrazione dei singoli motivi, come pure delle articolate repliche ad essi mosse dal controricorrente e delle ulteriori argomentazioni sviluppate nelle rispettive memorie, perchè la peculiarità della vicenda impone di rilevare senza altro indugio che la domanda non poteva essere proposta.

3. Ed invero la K. è insorta, prospettando l’azione alternativamente come di accertamento negativo o di opposizione esecutiva e lasciando al giudice la relativa qualificazione, avverso un atto compiuto da un ausiliario del giudice dell’esecuzione, quale l’Ufficiale giudiziario, consistente nel preavviso – rivolto anche ad essa K. – di un successivo accesso forzoso in adempimento di una richiesta di pignoramento mobiliare, la quale però si è rivelata essere stata dal creditore procedente formulata nei confronti del solo D.D.M..

4. Ora, la giurisprudenza di questa Corte, fin da prima della proposizione della domanda definita con la qui gravata sentenza e con principio ribadito costantemente anche in tempi successivi, ha escluso in radice una autonoma impugnabilità, con azione ordinaria di cognizione, degli atti compiuti da qualunque ausiliario del giudice e, tra questi, di quelli dell’Ufficiale giudiziario.

5. Tali atti vanno, invero, sottoposti esclusivamente al controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60 c.p.c. – o nelle eventualmente diverse, come nel caso dell’art. 591 ter c.p.c., (Cass. ord. 20/01/2011, n. 1335), forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato – e solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull’istanza dell’interessato sarà possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di cui all’art. 617 c.p.c. (sul principio generale: Cass. 21/03/2008, n. 7674; in precedenza, v. già Cass. 12/03/1992, n. 3030; successivamente: Cass. 30/09/2015, n. 19573; Cass. ord. 12/12/2016, n. 25317).

6. Di conseguenza, poichè il processo esecutivo comporta un sistema chiuso di rimedi e non è ammessa quindi azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative specificamente previste da detto sistema processuale (tra le ultime: Cass. 20/03/2014, n. 6521; Cass. 02/04/2014, n. 7708; Cass. 31/10/2014, n. 23182; Cass. 29/05/2015, n. 11172; Cass. ord. 14/06/2016, n. 12242), non può che rilevarsi come, qualunque ne fosse stata la qualificazione prospettata o rimessa al giudice, l’azione di cognizione, anzichè il reclamo al giudice dell’esecuzione, non potesse essere in alcun modo o caso intrapresa: ciò che impone di cassare senza rinvio la sentenza che la ha definita.

7. Nè a conclusione più favorevole per l’odierna ricorrente potrebbe oggi giungersi ove si potesse, per un solo momento e pensando di poter superare la chiara ed univoca qualificazione da lei stessa data alla sua iniziativa giudiziale come azione di cognizione e lo sviluppo processuale ad essa seguito e ripresa dal giudice nella qui gravata sentenza di definizione quale opposizione agli atti esecutivi, riqualificarla come reclamo al giudice, con conseguente riqualificazione del provvedimento, pure univocamente reso come sentenza su quella domanda, quale ordinanza ai sensi dell’art. 60 c.p.c., perchè allora essa avrebbe potuto costituire oggetto di un’opposizione ai sensi dell’art. 617 c.p.c., e giammai di ricorso per cassazione.

8. Deve trovare applicazione alla fattispecie il seguente principio di diritto: “poichè il processo esecutivo è articolato su di un sistema chiuso di rimedi e non è consentita azione in forme diverse dalle opposizioni esecutive o dalle altre iniziative cognitive specificamente previste da detto sistema processuale, non è ammessa la contestazione di un atto dell’Ufficiale giudiziario (nella specie: avviso di prosecuzione di operazioni di pignoramento mobiliare rivolto anche a chi non era debitrice esecutata) nelle forme di un’ordinaria azione di cognizione o di un’opposizione esecutiva, essendo anche tale atto assoggettato esclusivamente al controllo del giudice dell’esecuzione ai sensi dell’art. 60 c.p.c., o nelle eventualmente diverse forme desumibili dalla disciplina del procedimento esecutivo azionato; sicchè solo dopo che il giudice stesso si sia pronunciato sull’istanza dell’interessato è possibile impugnare il suo provvedimento con le modalità di cui all’art. 617 c.p.c.”.

9. Alla cassazione senza rinvio deve allora provvedersi in dispositivo, con preclusione di ogni doglianza relativa al merito della vicenda (primi otto motivi) ed al suo sviluppo processuale (nono motivo).

10. Le spese del grado di merito malamente instaurato a causa dell’iniziativa della K. vanno mantenute a suo carico, stavolta per l’improponibilità della domanda, nella misura reputata congrua come in dispositivo; mentre le spese del presente giudizio di legittimità debbono comunque essere sopportate dalla medesima, in base – a tacer d’altro al principio di causalità.

11. Tuttavia, non può trovare applicazione il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione (Cass. ord. 25/02/2016, n. 3703; Cass. ord. 05/05/2017, n. 10932; Cass. 23/03/2017, n. 7421; Cass. ord. 23/06/2017, n. 15671), per il carattere ufficioso del rilievo della originaria improponibilità della domanda non potendo tecnicamente dirsi i soccombente la ricorrente e dovendo interpretarsi restrittivamente la norma in quanto lato sensu sanzionatoria.

P.Q.M.

La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa senza rinvio la gravata sentenza. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del grado di merito e del giudizio di legittimità, che liquida in rispettivi Euro 1.600,00 ed Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2018

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