Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5173 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 26/02/2020), n.5173

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. r.g. 576/2015 proposto da:

M.G., elettivamente domiciliato in Napoli, via Duomo n.

266 presso lo studio dell’Avv. Carmine De Dominicis che lo

rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12

presso gli Uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione, della sentenza n. 4520/31/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 12 maggio 2014.

al quale è stato riunito il ricorso n. r.g.581/2015 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in Napoli, via Duomo n.

266 presso lo studio dell’Avv. Carmine De Dominicis che lo

rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12

presso gli Uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la

rappresenta e difende

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 4524/31/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 12 maggio 2014.

e il ricorso n. r.g. 582/2015 proposto da:

ARTE VETRO F.LLI MENNELLA di M.G. e C. s.n.c., in

persona del legale rappresentante pro tempore, M.G. e

M.M. tutti elettivamente domiciliati in Napoli, via Duomo

n. 266 presso lo studio dell’Avv. Carmine De Dominicis che li

rappresenta e difende, per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12

presso gli Uffici dell’Avvocatura Generale dello Stato che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza n. 4522/31/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 12 maggio 2014.

Udita la relazione delle cause svolta nella camera di consiglio del

23 ottobre 2019 dal relatore Consigliere Dott.ssa Crucitti Roberta.

Fatto

RILEVATO

che:

a seguito di processo verbale redatto dalla Guardia di Finanza nei confronti della Arte Vetro F.lli M. di M.G. & C. s.n.c, l’Ufficio, constatato che la Società aveva ricevuto dalla Edilvelox una fattura per operazioni ritenute inesistenti, provvide, con avviso di accertamento, a rideterminarne il reddito dell’annualità 2004 ai fini dell’Iva e dell’Irap;

conseguenzialmente, ai fini dell’Irpef, vennero emessi avvisi di accertamento a carico dei soci M.G. e M.M.;

il ricorso proposto dalla Società e dai soci, avverso l’atto impositivo relativo alla Società, venne rigettato dalla C.T.P. e la decisione, appellata dai contribuenti, confermata dalla C.T.R. della Campania (con sentenza n. 4522/2014);

il Giudice di appello, ribadiva l’accertamento già effettuato dai primi giudici in ordine alla natura di “cartiera” della Edilvelox nonchè la mancanza di idonea prova, di segno contrario, offerta dalla Società;

con riferimento all’eccepita decadenza, la C.T.R. condivideva l’argomentazione dei primi giudici, ovvero che il relativo termine, secondo il disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, doveva ritenersi raddoppiato, essendo irrilevante la circostanza per cui nessun richiesta di rinvio a giudizio era stata emessa;

per la cassazione di questa sentenza ricorrono, su quattro motivi, la Società e i soci M.G. e M.M.; l’Agenzia delle entrate resiste con controricorso;

M.G. ricorre, autonomamente, affidandosi a unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, che resiste con controricorso, avverso la sentenza (n. 4520/14) con la quale la C.T.R. della Campania ne aveva rigettato l’appello proposto contro la sfavorevole sentenza resa dalla C.T.P. (avente ad oggetto l’avviso di accertamento relativo all’IRPEF della stessa annualità di imposta);

La Commissione tributaria regionale, rilevato che con l’appello si era chiesta unicamente la riunione del procedimento con quello concernente l’avviso di accertamento a carico della Società, interpretava tale limitazione del petitum come riproposizione dell’originario primo motivo di appello (ovvero la carenza di motivazione dell’avviso di accertamento) e lo rigettava, nel merito, ritenendo l’avviso adeguatamente motivato, siccome allo stesso risultava essere stato allegato l’avviso di accertamento emesso a carico della Società. Aggiungeva, a conforto della decisione, che nella medesima data l’appello proposto dalla Arte Vetro F.lli M. s.n.c. era stato rigettato.

3

La C.T.R., con sentenza di identico contenuto resa nella stessa data, rigettava anche l’appello proposto dall’altro socio M.M. il quale ricorre, oggi, per la cassazione della sentenza, affidandosi a unico motivo.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

pur non ricorrendo, nella specie, alcuna violazione del litisconsorzio necessario tra Società di persone e soci (cfr. Cass. S.U. n. 14815/2008), in quanto al giudizio avente ad oggetto l’accertamento a carico della Società di persone hanno partecipato, sin dal primo grado, sia la Società che, personalmente, i soci,, appare, comunque, opportuno riunire i ricorsi (proposti dalla Società e dai soci M.G. e M.M.), attesa la stretta conseguenzialità che lega l’accertamento a carico di una società di persone a quelli a carico dei singoli soci;

con il primo motivo del ricorso (n. r.g. 582/2015 proposto avverso la sentenza che ha deciso sull’accertamento a carico della Arte Vetro dei F.lli M. s.n.c.) si deduce la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53 e si censura il capo di sentenza con cui la C.T.R. ha ritenuto ammissibile l’appello, rigettando la relativa eccezione sollevata dall’Agenzia delle entrate;

il motivo è all’evidenza inammissibile per carenza di interesse dolendosi la parte, sul punto integralmente vittoriosa, unicamente della motivazione, a suo parere non appagante, di rigetto dell’eccezione sollevata dall’Agenzia delle entrate;

con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, commi 1 e 3 come modificato dal D.L. 4 luglio 2006 convertito nella L. n. 248 del 2006, laddove la C.T.R. aveva ritenuto irrilevante, al fine di escludere la ricorribilità dell’ipotesi del raddoppio dei termini per procedere all’accertamento, la circostanza che non fosse stato emesso alcun provvedimento di rinvio a giudizio; secondo la prospettazione difensiva, così argomentando, il Giudice di appello avrebbe comunque omesso di verificare se le generiche indicazioni, contenute nell’avviso di accertamento, erano idonee a concretare la sussistenza dei presupposti legittimanti il raddoppio dei termini (ovvero l’ipotesi di un reato per il quale era previsto l’obbligo di denuncia);

il motivo è inammissibile per più ordini di ragioni; nell’assoluta carenza di autosufficienza sul punto del mezzo di impugnazione, la questione pare essere stata introdotta per la prima volta in questo giudizio ma, soprattutto, è evidente che il Giudice di appello, nel ritenere irrilevante la circostanza della mancata emissione di provvedimento di rinvio a giudizio e nel motivare espressamente che il riconosciuto raddoppio dei termini non è legato a tale circostanza ma solo al dato oggettivo che la violazione per cui si procede comporta l’obbligo di denuncia, il che è incontestabilmente avvenuto nel caso di specie abbia effettuato quell’esame e quella valutazione che, invece, con il mezzo di impugnazione vengono inammissibilmente censurati sotto l’egida della violazione di legge;

con il terzo motivo si deduce la violazione dell’art. 2697 c.c., D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39 per avere la C.T.R. fondato il suo convincimento unicamente sulle risultanze emergenti dal Processo Verbale di verifica e constatazione, ritenute presunzioni gravi, precise e concordanti, tali da spostare sulla contribuente l’onere della prova. Secondo la prospettazione difensiva, al contrario, tali risultanze erano meri indizi semplicissimi dai quali non era possibile risalire alla “cartiera” ma, tutt’al più, a una società ai limiti della legge fiscale, con la conseguenza che la C.T.R., non esaminando tutte le incongruenze e le stesse circostanze di segno contrario contenute nello stesso p.v.c. (ovvero l’effettiva realizzazione dei lavori oggetto di fattura e la circostanza, riportata dai verificatori che la Edilvelox non rilasciava fattura per i lavori svolti per conto di privati non titolari di partita IVA), aveva malamente svolto il ragionamento presuntivo;

la censura è, in parte infondata e, in parte, inammissibile;

secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. tra le recenti Cass.n. 6387 del 15/03/2018; id n. 18665 del 2017) in tema di prova per presunzioni, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità, con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull'”id quod plerumque accidit”. Inoltre, nella specifica materia, questa Corte (Cass.n. 26453 del 19/10/2018; id.n. 17619 del 05/07/2018) ha statuito che, una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia;

nel caso in esame, la sentenza impugnata è in linea con i principi ermeneutici fissati da questa Corte onde va esente dalle censure mossele. In realtà, nei termini in cui è formulato, il mezzo di impugnazione è inammissibile tendendo, nella sostanza, ad una, non consentita in questa sede, rivalutazione del materiale probatorio la cui valutazione è rimessa all’insindacabile esame del Giudice di merito il cui relativo accertamento in fatto, peraltro, non risulta (per come si dirà infra) scalfito dal ricorso;

con il quarto motivo i ricorrenti deducono il vizio di insufficienza della motivazione in relazione al fatto controverso individuato nella circostanza che i lavori indicati nella fattura, per cui è controversia, vennero effettivamente eseguiti dall’Edilvelox in favore dell’Arte Vetro F.lli M. s.n.c. e regolarmente pagati e quietanzati in calce alla stessa fattura;

il motivo è inammissibile. Al ricorso è, infatti, applicabile (per essere stata la sentenza impugnata depositata nell’anno 2014) il nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 che concerne, ormai, solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo e non più l’insufficienza motivazionale;

dal rigetto del ricorso proposto dalla Società consegue il rigetto dei ricorsi, autonomamente, proposti dai soci nelle controversie relative agli accertamenti, emessi nei loro confronti, ai fini dell’irpef;

deve, infatti, rigettarsi l’unico, identico, motivo di ricorso, proposto singolarmente dai soci, con il quale si deduce la nullità della sentenza per mancata integrazione del contraddittorio atteso che, come già posto in evidenza sopra, nella specie non vi è stata violazione del litisconsorzio necessario, atteso che, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento nei confronti della società, il contraddittorio era integro avendovi partecipato sin dal primo grado la Società e i soci M.G. e M.M. e per essere state, comunque, le sentenze sia di primo che di secondo grado decise nella stessa udienza dalla stessa Commissione regionale;

in conclusione i ricorsi, riuniti, vanno rigettati con condanna dei ricorrenti, in solido, alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese come liquidate in dispositivo;

ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

Riuniti i ricorsi, li rigetta.

Condanna i ricorrenti, in solido, alla refusione in favore dell’Agenzia delle entrate delle spese processuali che liquida in complessivi Euro 1.800, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 26 febbraio 2020

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