Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5173 del 06/03/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 5173 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: DE STEFANO FRANCO

PU

SENTENZA

sul ricorso 592-2016 proposto da:
PELLICANO’ ANTONINO, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso il suo
studio, rappresentato e difeso da se medesimo;
– ricorrente contro
2017
2596

AGEA AGENZIA EROGAZIONI IN AGRICOLTURA , in persona
del legale rappresentante pro tempore – il Direttore
Unico, Dott. STEFANO ANTONIO SERNIA, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 267, presso lo
studio dell’avvocato SALVATORE PUGLIESE, che la

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Data pubblicazione: 06/03/2018

rappresenta e difende giusta procura a margine del
controricorso;
– controricorrente nonchè contro

ISTITUTO CENTRALE BANCHE POPOLARI ITALIANE ;

avverso la sentenza n. 13857/2015 del TRIBUNALE di
ROMA, depositata il 25/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. FRANCO DE
STEFANO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ANNA MARIA SOLDI che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso;
udito l’Avvocato ANTONINO PELLICANO’;
udito l’Avvocato SALVATORE PUGLIESE;

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– intimato –

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Fatti di causa
1. L’avv. Antonino Pellicanò notificò il 27/04/2012 pignoramento
presso terzi alla debitrice AGEA – Agenzia per le Erogazioni in Agricoltura
ed al terzo pignorato Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane,
iscritto al n. 18492/12 r.g.e. del Tribunale di Roma e seguìto a precetto

pace di Roma n. 2089 del 2010; ma il giudice dell’esecuzione, con
ordinanza 27/03/2013 comunicata dalla cancelleria in pari data a mezzo
posta elettronica certificata, dichiarò la propria incompetenza territoriale
in favore del Tribunale di Milano, con fissazione alle parti del termine per
la riassunzione.
2. Il Pellicanò, assumendo che a mezzo della comunicazione di
cancelleria gli fosse pervenuto solo il dispositivo della predetta ordinanza
e che solo nel momento in cui aveva richiesto copia del provvedimento
ne aveva acquisito integrale conoscenza, propose opposizione agli atti
esecutivi con ricorso depositato il 16/05/2013.
3. Il Tribunale di Roma dichiarò, in quanto tardiva per essere stata
proposta oltre i venti giorni dalla comunicazione dell’ordinanza
impugnata, inammissibile l’opposizione con sentenza n. 13857 del
25/06/2015: per la cui cassazione ha proposto ricorso oggi il Pellicanò,
affidandosi ad un motivo, al quale ha resistito l’Agea con controricorso.
4. Ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. nel testo applicabile ratione
temporis [anteriore cioè alla riforma di cui al comma 1, lett. e), dell’art.
1-bis d.l. 31 agosto 2016, n. 168, conv. con modif. dalla I. 25 ottobre
2016, n. 197], la sesta sezione ha rimesso, con ordinanza interlocutoria
n. 10167 del 21/04/2017 all’esito dell’adunanza camerale del (\
13/12/2016, la causa alla pubblica udienza; e, per quella allo scopo
fissata per il 19/12/2017, le parti depositano memorie, mentre la
controricorrente produce documentazione, il cui indice provvede a
notificare alla controparte.
Ragioni della decisione

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notificato il 16/03/2012, basato a sua volta su sentenza del Giudice di

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1.

Va preliminarmente esaminata l’eccezione, sollevata dal

ricorrente nella memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ., di
nullità del controricorso per difetto di ius postulandi per avere l’Ente,
autorizzato, ai sensi dell’art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, ad
avvalersi del patrocinio legale dell’Avvocatura dello Stato, conferito il

delibera autorizzativa da sottoporre agli organi di vigilanza; eccezione
già accolta in altra pronuncia di questa Corte (Cass. ord. 20/11/2017,
n. 27530), ma alla quale ha replicato, per così dire in prevenzione ed
alla stregua di analoghe condotte processuali della controparte in altri
contesti, la controricorrente depositando documentazione e
argomentando nella sua memoria.
2. Il precedente richiamato dal ricorrente ha affermato invero che
per l’AGEA è previsto – dall’art. 2, comma quarto, del d.lgs.
27/5/1999, n. 165 – il patrocinio facoltativo dell’Avvocatura dello
Stato, disciplinato dall’art. 43, del r.d. n. 1611 del 1933, richiamato
dalla norma speciale succitata (Cass. Sez. U. 11/11/2005, n. 22021;
Cass. 20/09/2005, n. 18959; Cass. 18/01/2006, n. 863); ed ha
concluso che, per gli enti autorizzati ad avvalersi di tale patrocinio
(art. 43, cit., come modificato dall’art. 11 della legge 3 aprile 1979,
n. 103), al conferimento in via organica ed esclusiva all’Avvocatura
dello Stato del potere di rappresentanza dell’Ente è apportata deroga
(salvi i casi di conflitto con lo Stato e le Regioni) ed è prevista la
facoltà di non avvalersi della difesa erariale, ma esclusivamente
condizionata all’adozione di un’apposita e motivata delibera, senza la
quale la possibilità di rivolgersi ad un avvocato del libero foro deve
considerarsi esclusa (Cass. Sez. U. 29/08/1989, n. 3817; Cass.
27/07/1990, n. 7568; Cass. 22/03/1991, n. 3101; Cass. 04/05/1999,
n. 5183; Cass. 13/05/2016, n. 9880); nella specie esaminata in
concreto, all’esito di un’eccezione formulata per la prima volta con la
memoria ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ. e quindi senza

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mandato difensivo ad un avvocato del libero Foro, senza la prescritta

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alcuna possibilità per la controparte di replicare o reagire, questa
Corte ha poi riscontrato come il mandato conferito da AGEA – a
margine del controricorso – all’avvocato Salvatore Pugliese non
risultasse preceduto o assistito dalla delibera suindicata, con
conseguente rilievo della nullità del relativo atto.

questione del regime della rappresentanza in giudizio di AGEA, visto
che anche la conclusione più rigorosa già fatta propria da questa
Corte nella citata ordinanza 27530/17 può dirsi rispettata alla stregua
della documentazione in concreto prodotta dalla controricorrente,
oltretutto in conformità all’art. 372 cod. proc. civ. proprio perché
relativa alla stessa ammissibilità del controricorso: infatti, la delibera
di AGEA del 18/06/2008 (atto n. 315, avente ad oggetto
«Collaborazioni degli Avvocati del libero Foro»), versata in atti (doc.
n. 10 dell’indice della documentazione prodotta), integra gli estremi
della delibera apposita e motivata sulla cui base disporre
legittimamente l’affidamento di incarichi ad avvocati del libero Foro.
Altrettanto legittimamente essa ha un tenore generale, siccome
riferita a categorie di fattispecie (tra cui le cause seriali di valore
medio per ciascuna non superiore a C 10.000) in cui è operata ex
ante

del resto, in significativo documentato concerto con la stessa

Avvocatura

dello Stato –

la

valutazione di

convenienza

dell’affidamento dell’incarico a professionisti del libero Foro, in
relazione al contenzioso seriale di minor valore (quando non ridotto
ad autentico microcontenzioso, cioè relativo ad importi sovente di
importo assai esiguo, al quale ben si riconduce la presente
controversia, di valore di C 635 circa), a sua volta fondata sulla
condivisibile considerazione della impossibilità, per l’Avvocatura dello
Stato, di farvi adeguatamente fronte.
4. Deve quindi concludersi, sia pure all’esito della disamina della
documentazione prodotta ai sensi dell’art. 372 cod. proc. civ., per

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3. Ritiene il Collegio che non sia necessario affrontare funditus la

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l’infondatezza dell’eccezione sollevata dal ricorrente solo con la
memoria in vista della pubblica udienza di discussione e per la piena
validità del conferimento del mandato all’avv. Salvatore Pugliese, con
conseguente piena ritualità del controricorso da lui formato e
dell’intera attività defensionale da lui svolta dinanzi a questa Corte.

ricorrente censuri la gravata sentenza, con l’unitario motivo, di
«illegittimità per violazione e falsa applicazione dell’art. 134 c.p.c.,
comma 2, c.p.c. in combinato disposto con l’art. 45, comma 2, disp.
att. c.p.c. – erroneità manifesta – illegittimità per violazione e falsa
applicazione dell’art. 136, comma 1, c.p.c. – omessa motivazione su
un fatto controverso decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1, n.ri 3
e 5, c.p.c.».
6. Al riguardo, egli prospetta la questione se, ai fini del decorso
del termine di decadenza di venti giorni per proporre opposizione agli
atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., sia sufficiente una
comunicazione (nel caso di specie, a mezzo posta elettronica
certificata)

non

contenente il testo integrale dell’ordinanza

dichiarativa dell’incompetenza, ma soltanto il suo dispositivo, o se sia
necessaria la comunicazione integrale del testo dell’ordinanza, al fine
di mettere il destinatario in condizioni di valutare, sulla base della
lettura della motivazione del provvedimento, se proporre o meno
opposizione; e tanto perché, nel caso di specie, il giudice
dell’opposizione ha ritenuto la sola comunicazione del dispositivo
sufficiente a portare a conoscenza della parte interessata l’esistenza e
il contenuto del provvedimento del giudice e a porla in grado di
esaminare l’opportunità o meno della impugnazione, idonea quindi a
far decorrere il termine decadenziale di venti giorni di cui all’art. 617
cod. proc. civ..
7. In particolare, il ricorrente – che riproduce poi, a partire da
pag. 18 del ricorso, il testo della sua opposizione agli atti esecutivi –

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5. Ciò posto, può passarsi al merito, osservandosi come il

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lamenta la violazione delle disposizioni cogenti in tema di
comunicazione dei provvedimenti giudiziali resi fuori udienza, per
avere il cancelliere dato notizia dell’ordinanza dichiarativa
dell’incompetenza in forma abbreviata in luogo di quella integrale,
privando così il destinatario della possibilità di conoscere le
motivazioni e di espletare il suo diritto di difesa con cognizione di

fondare la «legale conoscenza» del provvedimento idonea a fare
decorrere il termine di venti giorni per la proposizione della
opposizione agli atti esecutivi, soprattutto perché, nel caso concreto,
era stata di ufficio rilevata l’incompetenza e il creditore non avrebbe
allora potuto, senza poter disporre della motivazione per intero e
quindi per esteso delle specifiche ragioni dell’inattesa declaratoria,
appunto determinarsi in ordine all’impugnazione con il detto rimedio.
8. La controricorrente deduce preliminarmente la totale inerzia
della

controparte

nel

prendere

conoscenza

integrale

del

provvedimento a dispetto del chiaro contenuto della comunicazione
della cancelleria; e contesta che il termine possa decorrere a seconda
della volontaria condotta della parte onerata, che si decida infine ad
accedere alla cancelleria per estrarre copia; per concludere che la
«legale conoscenza» dell’atto era stata somministrata regolarmente
al procedente con un atto che consentiva di esaminare l’opportunità
di proporre o meno l’opposizione, così attivando utilmente il relativo
termine; e ciò in quanto la peculiarità del processo esecutivo esige
che, avuta uno dei suoi soggetti idonea notizia dell’esistenza di un
atto, incomba a lui di attivarsi per acquisirne quella pienezza di
conoscenza dei contenuti tale da valutare se proporre opposizione.
9. Il Tribunale fonda la sua decisione di inammissibilità per
tardività – avendo ritenuto utilmente iniziato il decorso del termine di
venti giorni per la proposizione dell’opposizione agli atti esecutivi fin
dalla comunicazione del solo dispositivo dell’ordinanza che ne era

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causa: sicché quella illegittima comunicazione non avrebbe potuto

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oggetto – sul principio generale di libertà delle forme, richiamando
espressamente Cass. 15/03/1995, n. 3025, secondo la quale «le
comunicazioni prescritte dalla legge sono valide se effettuate in forme
diverse da quelle previste dalla legge, sempreché risulti raggiunto lo
scopo di portare a conoscenza della parte interessata l’esistenza ed il

nella condizione di esaminare l’opportunità o meno
dell’impugnazione».
10. Va preliminarmente ribadito che non è sorta questione sulla
correttezza dell’impugnazione mediante opposizione agli atti esecutivi
dell’ordinanza con cui il giudice dell’esecuzione di Roma ha dichiarato
l’incompetenza del suo ufficio in favore di quello di Milano, in
conformità ad un consolidato indirizzo ermeneutico di questa Corte,
che non vi è quindi motivo di revocare in dubbio (con inammissibilità
del regolamento di competenza: da ultimo, Cass. ord. 13/09/2017, n.
21185).
11. Ciò posto, a convinto avviso del Collegio la questione posta
dal ricorso va risolta sulla duplice premessa delle peculiarità della
struttura del processo esecutivo e dei rimedi ad esso interni ed
esclusivi: l’uno non comportando mai l’adozione di provvedimenti
decisori e gli altri non potendo in alcun caso definirsi impugnazioni in
senso stretto.
12. Il processo esecutivo è, infatti e normalmente, una sequenza
di attività materiali e procedimentali finalizzate alle prime, a loro volta
di mera esecuzione del comando contenuto nel titolo (a partire, nelle
espropriazioni, dalla liquidazione del bene e per finire all’attribuzione
o alla distribuzione dell’eventuale ricavato): e si giustifica quindi che
ogni suo atto – esclusa sempre e comunque la potestà del giudice
dell’esecuzione in quanto tale di pronunciare sentenza o comunque di
adottare atti in grado di pregiudicare diritti o di risolvere questioni
diverse da quelle in ordine al mero rito del processo esecutivo – rilevi

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contenuto del provvedimento del giudice, ponendola, in tal modo,

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in quanto tale e cioè in una dimensione oggettiva od ontologica, per il
solo fatto di essere stato adottato; in dipendenza di una tale peculiare
rilevanza obiettiva di ciascun atto della sequenza procedimentale del
processo esecutivo, né l’uno – singolarmente considerato – né l’altro
– nel suo complesso considerato – hanno mai una valenza decisoria,
ovvero in grado di incidere su diritti o su questioni controverse ad

13. Il rimedio, consistente nel giudizio di contestazione di quegli
atti sotto il profilo formale o – quando previsto – di opportunità, non
è quindi un giudizio di impugnazione in senso stretto, perché la causa
di cognizione, in cui si risolve ogni opposizione agli atti esecutivi,
insorge solo quando quell’atto ne è reso oggetto. Così, a differenza
del processo di cognizione, dove l’impugnazione ha ad oggetto un
provvedimento appunto decisorio e cioè svolto all’esito di una
sequenza procedimentale ordinata alla risoluzione di questioni
controverse e quindi tipica estrinsecazione della giurisdizione
cognitiva o piena, nel processo esecutivo il suo atto, che si assuma
viziato, diviene oggetto di un processo di cognizione che si instaura
ex novo

e per la prima volta proprio in dipendenza della

contestazione mossa avverso di esso e quindi dell’insorgenza di una
questione in senso proprio.
14. La stessa struttura e natura del processo di esecuzione, in cui
difetta un contraddittorio in senso tecnico e in cui una delle due parti
è istituzionalmente in posizione di legittima sovraordinazione
processuale rispetto all’altra in virtù di un accertamento altrove
eseguito della sua peculiare condizione di creditore e quindi di avente
diritto sia alla prestazione ineseguita della controparte sia alle attività
sostitutive in cui si estrinseca il processo esecutivo cui assoggettare
quest’ultima, esige che la sequenza ordinamentale sia agile e
finalizzata appunto senza formalità non necessarie al soddisfacimento
del diritto azionato e consacrato nel titolo, salvo beninteso il diritto

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essi relative.

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del debitore alla regolarità formale del processo, quando questa
susciti un suo particolare interesse.
15. È ormai consolidato nella giurisprudenza di questa Corte di
legittimità il principio della sufficienza, ai fini della decorrenza del
termine di decadenza previsto dall’art. 617 cod. proc. civ., della

31/10/2017, n. 25861; Cass. ord. 27/07/2017, n. 18723; Cass.
22/12/2015, n. 25743; Cass. 25110 del 2015; Cass. 31/08/2015, n.
17306; Cass. 30/12/2014, n. 27533; Cass. 13/11/2014, n. 12881;
Cass. 28/09/2012, n. 16529; Cass. 09/05/2012, n. 7051; Cass.
13/05/2010, n. 11597; Cass. 17/03/2010, n. 6487; Cass.
30/04/2009, n. 10099): risultando così superata la più rigorosa
precedente impostazione sulla necessità della conoscenza legale (tra
le ultime in tal senso, v. Cass. 16/04/2009, n. 9018, che escludeva la
sufficienza della conoscenza di fatto), già temperata dal
riconoscimento della sufficienza della conoscenza di un atto della
sequenza procedimentale che presupponeva l’atto viziato (già Cass.
06/08/2001, n. 10841; successivamente, tra le altre ed oltre quelle
già ricordate che ammettono anche la rilevanza della conoscenza di
fatto: Cass. 22/08/2007, n. 17880; Cass. 10/01/2008, n. 252).
16. È, del resto, lo stesso tenore dell’art. 617, comma 2, cod.
proc. civ. ad indicare che, decorrendo il termine decadenziale dal
giorno in cui l’atto esecutivo da opporre è stato compiuto, rileva
quest’ultimo nella sua oggettiva esistenza e non alcuna altra attività
successiva, se prevista dalla norma processuale, che abbia lo scopo di
portare a conoscenza di un determinato soggetto del processo
esecutivo la venuta ad esistenza di quell’atto ed il suo contenuto.
17. Ed invero, al riguardo, si consideri che, a differenza delle
opposizioni all’esecuzione (in cui si contesta lo stesso diritto del
creditore ad agire in via esecutiva e cioè l’an exsequendum sit), con
le opposizioni agli atti esecutivi (o formali o di rito), ex artt. 617 e

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conoscenza anche solo di fatto dell’atto da opporre (Cass.

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618 c.p.c., si contesta la regolarità formale – o, per alcuni di essi che
sono espressione di una valutazione discrezionale del g.e.,
l’inopportunità, stando all’elaborazione giurisprudenziale dell’istituto di uno degli atti del processo esecutivo o di quelli ad esso prodromici
(cioè preliminari e preparatori, ma strettamente collegati), come di

corrente l’affermazione che oggetto delle opposizioni formali sia
quindi il difetto di presupposti procedimentali o formali e, per i detti
atti espressione di valutazioni discrezionali del g.e., anche di quello
specifico presupposto che è l’opportunità del provvedimento in sé
considerato: pertanto, con espressione oramai appartenente alla
tradizione giuridica nazionale, con queste opposizioni si contesta
(solo) il quomodo (exsequendum sit).

D’altra parte, la peculiarità

dell’opposizione formale sta in ciò, che si instaura – descrittivamente,
si innesta – un incidente cognitivo (cioè corrispondente
strutturalmente ad un processo di cognizione ordinario) nel corso ed
in funzione di un processo, quale quello esecutivo, che cognitivo
certamente non è.
18. In questo contesto, l’agilità delle forme procedimentali esige
dai soggetti del processo esecutivo un peculiare onere di diligenza,
avente ad oggetto l’acquisizione della consapevolezza dello sviluppo
del processo medesimo, sicché, avuta conoscenza anche informale o
in via di mero fatto dell’esistenza di un atto di quello che si reputi o si
sospetti viziato, è onere di chi intende renderlo oggetto di opposizione
formale prenderne conoscenza nel tempo utile a formulare le sue
difese.
19.

Una tale peculiarità non è, del resto, tipica o propria

esclusivamente del processo esecutivo, dandosi anche nel rito civile di
cognizione casi in cui un rimedio, per di più tipicamente
impugnatorio, è concesso alla parte con fissazione della decorrenza
del relativo termine anche solo dalla comunicazione, che così almeno

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titolo esecutivo o precetto o della notificazione dell’uno e dell’altro. È

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in origine normalmente non era integrale, del provvedimento
censurato: è questa l’ipotesi del regolamento necessario di
competenza, ai sensi degli artt. 43 e 47 cod. proc. civ., in ordine al
termine per proporre il quale la consolidata giurisprudenza di
legittimità ha sempre ritenuto del tutto sufficiente anche una

stesso ed addossato all’impugnante il conseguente onere di provare
l’inidoneità all’acquisizione della notizia di quello (fin dalla remota
Cass. 27/07/1967, n. 1997, che ravvisò l’inidoneità, al fine di
escludere la decorrenza del termine, solo nella carenza di qualsiasi
menzione, nella comunicazione, della circostanza che vi era stata una
pronunzia sulla competenza; ovvero da Cass. 24/05/2000, n. 6776,
che si accontenta della presenza di estremi identificativi sufficienti
all’individuazione del provvedimento e del fatto che esso ha
pronunciato sulla competenza; l’orientamento è del tutto consolidato,
come si desume, a contrario, da: Cass. 15/05/2000, n. 6232; Cass.
07/07/2004, n. 12462; Cass. 13/02/2006, n. 3077; Cass. ord.
12/03/2009, n. 6050; Cass. 27/09/2011, n. 19754).
20. Ne consegue che già in ordine alla contestazione della
pronuncia sulla competenza contenuta in un provvedimento
normalmente decisorio la reazione dell’impugnante era, fin
dall’impostazione codicistica originaria, soggetta a termini più
stringenti decorrenti dall’attività ufficiosa – evidentemente, per la
peculiarità della questione risolta, incapace di incidere sul merito di
qualsiasi questione controversa – e tale da postulare tuttora l’attività
di previa diligente acquisizione di piena conoscenza del contenuto
dell’atto entro il complessivo termine: modulandosi quindi i tempi e le
forme dell’esercizio del diritto di contestare il provvedimento
giurisdizionale in funzione della sua natura e della struttura del
processo in cui è reso, fino ad esigere appunto oneri di diligenza del
potenziale impugnante, ad evidente garanzia della ragionevole durata

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menzione imprecisa o incompleta del tenore del provvedimento

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del processo; e tali oneri sono tanto maggiori quanto minore è
l’impatto diretto su questioni di diritto sostanziale, sì da essere
collegati ad attività ufficiose normalmente indefettibili, quali la
comunicazione ad opera della cancelleria del provvedimento del
giudice (anziché, quale regola generale delle impugnazioni civili,

21.

Tale conclusione si attaglia, appunto, alle pronunce di

incompetenza del giudice della cognizione od agli atti del giudice
dell’esecuzione in generale; ma è a maggior ragione applicabile alle
ipotesi in cui si tratti di atti del giudice dell’esecuzione che abbiano ad
oggetto proprio questioni di competenza, per così dire assommando
in tal caso le caratteristiche delle due tipologie:

infatti, il

provvedimento del giudice dell’esecuzione che abbia per di più il
contenuto di pronuncia sulla competenza del medesimo quanto al
processo esecutivo, ciononostante ricondotto – secondo la
giurisprudenza ricordata sopra al punto 10 – al novero degli atti
esclusivamente opponibili ai sensi dell’art. 617 cod. proc. civ., non
può essere – a meno di un’irragionevole ed illegittima differenziazione
del trattamento di situazioni processuali invece analoghe – soggetto a
forme di tutela più ampie – anche solo sotto il profilo delle modalità di
conoscenza dell’atto da contestare – né delle pronunce di
incompetenza del giudice della cognizione, né di ogni altro atto
esecutivo, singolarmente presi le une e gli altri, ma soggiace alle
stesse regole, più stringenti rispetto all’impugnazione in senso proprio
di provvedimenti decisori sul merito o su altre questioni di rito,
quanto alle modalità di estrinsecazione della tutela.
22. Può concludersi allora che la peculiare funzione degli atti del
processo esecutivo comporta la sufficienza, per attivare tale onere,
che dell’atto della cui legittimità (o, quando ammesso, opportunità) si
dubita si sia avuta una conoscenza anche appunto sommaria o in via
di mero fatto, desunta dalla più piena conoscenza di altro atto che

13

dall’iniziativa della controparte o dal decorso del termine c.d. lungo).

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quello presupponga: dovendo ricostruirsi il termine complessivo,
significativamente aumentato dagli originari – talvolta difficilmente
esigibili – cinque agli attuali venti giorni, come idoneo a consentire
non solo l’esame diretto dell’atto oggetto di comunicazione,
effettivamente possibile solo quando quest’ultima sia stata integrale,

gli elementi su cui procedere alla sua valutazione del medesimo e
della conseguente opportunità di renderlo oggetto di opposizione.
23.

E, in linea di massima, può concludersi altresì che, ad

integrare la conoscenza di fatto dell’esistenza del provvedimento
pregiudizievole, è sufficiente che la comunicazione, perfino quando
sia affetta da nullità per violazione di norme sul procedimento, dia
sufficiente conto quanto meno di un dispositivo chiaramente
pregiudizievole, restando esclusa l’idoneità all’attivazione del termine
decadenziale soltanto quando la comunicazione non integrale o nulla
abbia un contenuto concreto di obiettiva ambiguità o non
significatività, ad esempio perché limitato all’avviso del deposito di un
provvedimento non meglio specificato, il cui contenuto ed il tenore del
cui dispositivo vengano completamente taciuti od omessi.
24. Ora, è ben vero che ogni ordinanza pronunziata dal giudice
fuori udienza va ormai comunicata, ai sensi del combinato disposto
dell’art. 134, comma 2, cod. proc. civ. e dell’art. 45 disp. att. cod.
proc. civ. (nel testo modificato dall’art. 16 del d.l. 18 ottobre 2012, n.
179, convertito in legge 17 dicembre 2012, n. 221), mediante
trasmissione anche del testo integrale del provvedimento
comunicato: ma occorre valutare se la non ottemperanza a tale
formalità incida sul regime del dispiegamento dell’opposizione formale
ex art. 617 cod. proc. civ., come finora elaborato da questa Corte.
25. Al riguardo, va però ricordato che le novelle in tema di
comunicazione dei provvedimenti per via telematica, anche con la
precisazione che quella della sentenza non attiva il termine breve per

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ma anche l’attivazione di ogni utile preventiva diligenza per acquisire

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la proposizione dell’impugnazione, non hanno innovato le discipline
speciali eventualmente dettate in relazione a singoli mezzi di gravame
(v., tra le altre, Cass. ord. 05/11/2014, n. 23526, ovvero Cass.
28/09/2016, n. 19177), siccome chiaramente non finalizzate
all’ampliamento della tutela del destinatario della comunicazione
(sotto forma di assicurazione della conoscenza integrale dell’atto

funzionamento del cosiddetto processo civile telematico (per il quale è
paradossalmente più complessa ed incongrua un’attività di
estrapolazione, dal documento depositato per via telematica per
intero, del solo dispositivo, in luogo del semplice inoltro di quanto
trasmesso, evidentemente in modo integrale, dal suo autore).
26. Pertanto, ove nella materia in esame si possa rinvenire un
principio autonomo in base al quale ricostruire i presupposti per la
proposizione dell’opposizione formale, quell’innovazione non potrebbe
poi dirsi in grado di rilevare, siccome lex posterior generalis e quindi
inidonea a derogare a quella speciale (a quest’ultima equiparato
ovviamente anche il principio consolidato all’esito dell’interpretazione
giurisprudenziale), come principio applicabile estensivamente anche
al regime delle comunicazioni delle ordinanze.
27. Del resto, è stata ribadita la generale previsione di sanatoria
della

nullità

delle

comunicazioni

telematiche

in

caso

di

raggiungimento dello scopo, essendosi sancito che «l’irritualità della
notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne
comporta la nullità se la consegna dell’atto ha comunque prodotto il
risultato della conoscenza dell’atto [stesso] e determinato così il
raggiungimento dello scopo legale» (Cass. 31/08/2017, n. 20625), in
sostanziale riaffermazione, anche dopo la novella sulle modalità
telematiche delle comunicazioni

di

cancelleria,

del

principio

sommariamente ribadito dal Tribunale di Roma nella qui gravata
sentenza (Cass. 15/03/1995, n. 3025, cit. sopra al punto 9).

15

comunicato), ma alla razionalizzazione dell’ufficio sotto il profilo del

rg 00592-16

28.

L’applicazione di tali approdi ermeneutici al processo

esecutivo va combinata con quella dell’applicabilità al medesimo del
generale principio della sanabilità (tranne il caso dell’inesistenza
dell’atto impugnato: tra le altre, v. Cass. 23894/12) delle nullità
formali in caso di raggiungimento dello scopo (per tutte, Cass. ord.

benché sia stato opportunamente – e di recente – precisato che la
nullità della notifica di un atto, quale il precetto, può sì essere sanata,
ai sensi dell’art. 156, comma 3, cod. proc. civ., dalla medesima
proposizione

dell’opposizione,

quale

evidente

dimostrazione

dell’intervenuta conoscenza dell’atto, ma pur sempre solo quando è
provato che tale conoscenza si è avuta in tempo utile a consentire
all’atto nullo di espletare la funzione sua propria (e, quindi, nella
fattispecie esaminata, a prevenire il pignoramento, atteso che la
funzione tipica dell’atto di precetto è quella di consentire all’intimato
di adempiere spontaneamente all’obbligazione portata dal titolo
esecutivo, evitando proprio l’avvio dell’esecuzione forzata contro di
lui: Cass. 16/10/2017, n. 24291).
29. Di conseguenza, anche un atto formalmente nullo perché
adottato in imperfetta ottemperanza alla normativa sulle modalità di
comunicazione può fondare la conoscenza di fatto idonea ad attivare
l’onere di prenderne idonea conoscenza e di dispiegare il rimedio
oppositivo entro il complessivo, ben congruo (salvo il caso patologico
di ritardi non imputabili al potenziale opponente, il quale però potrà
allora chiedere la rinnessione in termini, sussistendone i presupposti),
termine di venti giorni.
30. Tanto costituisce espressione del più generale principio di
sanatoria delle nullità formali degli atti del processo esecutivo, anche
all’esito del suo opportuno temperamento – dovuto al fatto che in tali
ipotesi lo scopo non potrebbe dirsi egualmente raggiunto – nei casi di
radicale inesistenza dell’atto o di non altrimenti rimediabile incertezza

16

15/12/2016, n. 25900; già in precedenza, Cass. 5906/06): e tanto

rg 00592-16

da esso indotta, ovvero (come adeguatamente precisato la già
richiamata Cass. 24291/17) in quelli in cui sia incolpevolmente
irrimediabile la conseguita preclusione l’attività concreta, al cui
espletamento era finalizzato l’atto scevro da nullità, in danno del
soggetto in origine interessato a farle valere.

alla sussistenza di specifici presupposti processuali, incombe
all’opponente dimostrare, di certo nel caso in cui tanto non sia
evidente ovvero in quello in cui tanto sia contestato, la tempestività
della proposizione della sua azione nel rispetto del termine di
decadenza a tal fine imposto dalla norma processuale: così
scongiurandosi la necessità di un’indagine caso per caso imposta
preliminarmente in ogni evenienza al giudice davanti al quale l’azione
è proposta.
32. Deve quindi concludersi facendosi applicazione del seguente
principio di diritto: «in tema di opposizione agli atti esecutivi di cui
all’art. 617 cod. proc. civ., quand’anche la comunicazione del
provvedimento del giudice dell’esecuzione sia avvenuta in imperfetta
ottemperanza al disposto del capoverso dell’art. 45 disp. att. cod.
proc. civ., come nel caso in cui essa sia stata non integrale, la
relativa nullità è suscettibile di sanatoria per raggiungimento dello
scopo, anche ai fini del decorso del termine per la proposizione
dell’opposizione agli atti esecutivi, ove l’oggetto della comunicazione
sia sufficiente a fondare in capo al destinatario una conoscenza di
fatto della circostanza che è venuto a giuridica esistenza un
provvedimento

del

dell’esecuzione

giudice

potenzialmente

pregiudizievole; pertanto, in tal caso è onere del destinatario,
nonostante l’incompletezza della comunicazione, attivarsi per
prendere utile piena conoscenza dell’atto e valutare se e per quali
ragioni proporre opposizione avverso di esso ai sensi dell’art. 617
cod. proc. civ. e nel rispetto del relativo complessivo termine, da

17

31. In applicazione poi di principi generali del processo in ordine

rg 00592-16

reputarsi idoneo all’espletamento delle sue difese; ed incombe
all’opponente dimostrare, se del caso, l’inidoneità in concreto della
ricevuta comunicazione ai fini dell’estrinsecazione, in detti termini, del
suo diritto di difesa».
33. In applicazione del principio di diritto di cui al paragrafo
precedente, pertanto, il motivo di ricorso – come dispiegato contro la

– deve dirsi infondato e questo va, nel suo complesso, rigettato,
avendo l’opponente originario insistito esclusivamente sull’inidoneità
della comunicazione non integrale ai fini della decorrenza del termine.
34. Peraltro, le spese del presente giudizio di legittimità vanno
compensate per la relativa novità della questione, in relazione se non
altro al profilo specifico dell’incompletezza della comunicazione
telematica di cancelleria.
35.

Va infine dato atto – mancando ogni discrezionalità al

riguardo (Cass. 14/03/2014, n. 5955) – della sussistenza dei
presupposti per l’applicazione dell’art. 13, co. 1-quater, del d.P.R. 30
maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, co. 17, della I. 24 dicembre
2012, n. 228, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di
impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.
P. Q. M.

Rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso da lui proposto, a norma del comma 1-bis, dello
stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 19/12/2017.

richiamata sentenza n. 13857 del 25/06/2015 del Tribunale di Roma

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