Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5171 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/02/2020, (ud. 23/10/2019, dep. 26/02/2020), n.5171

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – rel. Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto proposto da:

C.F., elettivamente domiciliata in Roma, via Paolo Emilio

n. 34 presso lo studio dell’Avv. Salvatore Trani che la rappresenta

e difende, per procura a margine del ricorso.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimata –

per la cassazione della sentenza n. 4549/17/2014 della Commissione

tributaria regionale della Campania, depositata il 9 maggio 2014.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

23 ottobre 2019 dal relatore Consigliere Dott.ssa Crucitti Roberta.

Fatto

RILEVATO

che:

C.F. ricorre, su cinque motivi, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, che non resiste, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Campania (d’ora in poi, per brevità, C.T.R.), in controversia avente ad oggetto avvisi di accertamenti, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 4, relativi agli anni di imposta 2007 e 2008, ne aveva rigettato l’appello avverso la prima decisione di rigetto

dei ricorsi introduttivi;

il Giudice di appello, premesso che in applicazione degli studi di settore era stato riscontrato uno scostamento dei redditi dichiarati dimostrativo di gravi incongruenze, riteneva che le giustificazioni addotte dalla contribuente (ovvero la esistenza di disponibilità finanziaria per liberalità dai genitori) non fossero state, in mancanza di collegamento temporale e personale, sufficientemente documentate.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.con il primo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, in relazione all’art. 53 Cost.. In particolare, secondo la prospettazione difensiva, la C.T.R., non considerando le ampie disponibilità finanziarie presenti sui conti correnti e sui libretti di deposito bancario, rinvenienti da risparmi di annualità precedenti al 2007 oltre che da consistenti lasciti dei genitori, avrebbe violato il principio costituzionale di corrispondenza tra imposizione e capacità contributiva;

2 con il secondo motivo si prospetta, sempre, la violazione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione, questa volta, all’art. 23 Cost.. La ricorrente, in particolare, censura la C.T.R. per avere considerato, illogicamente e immotivatamente, del tutto sfornita di sostegno probatorio la difesa della contribuente, malgrado la stessa avesse fornito ampia prova documentale della provenienza delle risorse impiegate, per conseguire gli incrementi patrimoniali oggetto di accertamento nel 2007 e nel 2008;

3 con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto per contrasto con la L. n. 212 del 2000, art. 7 e D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) laddove il Giudice di appello aveva ritenuto sufficientemente motivati gli avvisi di accertamento, mentre gli stessi non recavano nè le ragioni per le quali l’Ufficio avesse proceduto ad accertamento sintetico nè quelle per cui non aveva proceduto ad un riscontro con accertamento bancario;

4 con il quarto motivo si deduce insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e si censura la sentenza impugnata per avere del tutto immotivatamente e, in palese contrasto con le produzioni documentali fornite in giudizio, affermato che la prodotta documentazione bancaria, attestante il versamento di denaro sul conto corrente a lei intestato e altra documentazione bancaria attestante lo smobilizzo di strumenti finanziari intestati al suo genitore e l’emissione di assegni circolari da parte del medesimo, senza alcun collegamento nè temporale, nè personale tra le due operazioni, non consentissero di ritenere provata la dedotta liberalità da parte del padre dell’appellante;

la ricorrente specifica che ciò che veniva contestato era la mancata identificazione del “materiale emittente degli assegni circolari affluiti sul libretto di deposito intestato alla contribuente” ma che, con memoria illustrativa, aveva depositato nel marzo 2016 presso la segreteria della Commissione regionale copia degli estratti conto di correnti intestati al genitore della contribuente, dai quali emergeva il Ossesso in capo a quest’ultimo delle somme poi trasferite attraverso l’emissione degli assegni circolari rivenienti da disinvestimento dei titoli; venne, altresì, depositata, siccome rilasciata, solo successivamente alla decisione impugnata (ovvero nel dicembre 2014) dal Banco di Napoli, la richiesta di assegni circolari ad opera del padre in favore di C.F.;

si duole, in conclusione, che detti elementi probatori non siano stati considerati a deconto degli accertamenti;

5.infine, con il quinto motivo -rubricato: omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5)- si censura la C.T.R. per avere, con motivazione del tutto omessa, liquidato laconicamente il richiamo all’abbattimento del 15% del reddito dichiarato, relativo ai redditi di locazione immobili ed il richiamo alle rate di leasing che costituivano, secondo la prospettazione difensiva, reddito consumato da considerare nel solo anno in cui tali rate vengono pagate, definendolo “inconferente”. Nell’illustrare il motivo la ricorrente evidenzia gli errori in cui sarebbe incorso l’Ufficio nel considerare, relativamente ai canoni di affitto percepiti dalle unità immobiliari, il reddito imponibile e non quello percepito, senza tenere conto della deduzione forfetaria del 15% e nell’impostazione circa la quantificazione della spesa per incrementi patrimoniali laddove era stata considerata solo il maxi canone e non anche le successive rate di leasing e le 24 rate di mutuo;

6 gli ultimi due motivi di ricorso vanno, da subito, dichiarati inammissibili; al ricorso in esame, essendo stata la sentenza impugnata depositata il 9 maggio 2014, è,infatti, applicabile il nuovo disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come autorevolmente interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8053 del 2014: “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rileVante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” e ancora “L’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”;

6.1 peraltro, la sanzione di inammissibilità dei due mezzi di impugnazione permane, anche a volere prescindere dall’individuazione del vizio come dedotto in rubrica, essendosi lamentato, con il quarto motivo, l’omesso esame di documentazione, peraltro, non ritualmente introdotta nel giudizio (addirittura formatasi successivamente al deposito della sentenza impugnata) e, con il quinto, non fatti nell’accezione rilevante ai sensi del novellato n. 5 citato quanto, piuttosto, una serie di contestazioni, in diritto, sull’operato dell’Ufficio nella determinazione del reddito (delle quali, peraltro, non si indica quando e come abbiano trovato ingresso in giudizio);

7 ciò posto, i primi tre motivi sono infondati;

7.1 secondo la costante giurisprudenza di questa Corte in materia (cfr., tra le altre, Cass. n. 16912 del 10/08/2016) in tema di accertamento in rettifica delle imposte sui redditi delle persone fisiche, la determinazione effettuata con metodo sintetico, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, dispensa l’Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su essi, restando a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore;

nello specifico, poi, si è, condivisibilmente affermato (Cass.n. 1332 del 26/01/2016) che “In tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l’ufficio determini sinteticamente il reddito complessivo netto in relazione alla spesa per incrementi patrimoniali ed il contribuente deduca che tale spesa sia il frutto di liberalità, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6 (applicabile “ratione temporis”), la relativa prova deve essere fornita dal contribuente con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi (nella specie, da parte della madre, titolare di maggiore capacità economica), ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente (nella specie, il figlio) interessato dall’accertamento”; e ancora, di recente (Cass. n. 18097 del 10/07/2018) che “in tema di accertamento sintetico, del D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 38, comma 6, non è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati, in quanto, pur non essendo esplicitamente richiesta la prova che tali redditi sono stati utilizzati per coprire le spese contestate, deve essere fornita quella delle circostanze sintomatiche del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere” e (Ordinanza n. 7757 del 28/03/2018) che “in tema di accertamento sintetico del reddito, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 6, ove il contribuente deduca che la spesa sia il frutto di liberalità o di altra provenienza, la relativa prova deve essere fornita con la produzione di documenti, dai quali emerga non solo la disponibilità all’interno del nucleo familiare di tali redditi, ma anche l’entità degli stessi e la durata del possesso in capo al contribuente interessato dall’accertamento, pur non essendo lo stesso tenuto, altresì, a dimostrare l’impiego di detti redditi per l’effettuazione delle spese contestate, attesa la fungibilità delle diverse fonti di provvista economica”;

infine, Cass.n. 10037 del 24/04/2018 ha, condivisibilmente, affermato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, commi 4 e s.s., nella formulazione anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 78 del 2010, conv., con modif., nella L. n. 122 del 2010, nella parte in cui consente l’accertamento con metodo sintetico mediante il cd. redditometro, con riferimento sia all’art. 23 Cost., poichè i relativi decreti ministeriali non contengono norme per la determinazione del reddito, assolvendo soltanto ad una funzione accertativa e probatoria, sia agli artt. 24 e 53 Cost., in quanto il contribuente può dimostrare, attraverso idonea documentazione, che il maggior reddito accertato è insussistente ovvero costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenute alla fonte a titolo di imposta;

7.2 Così evidenziati i principi regolatori della materia la sentenza impugnata va esente dalle censure mossele con i primi tre motivi; la C.T.R., invero, ha correttamente ritenuto idoneamente motivato l’avviso di accertamento, laddove l’Ufficio deve solo indicare gli elementi indicatori di reddito e lo scostamento derivatone rispetto al reddito dichiarato;

egualmente in linea con l’indirizzo ermeneutico di questa Corte, come sopra illustrato, è poi la sentenza impugnata laddove, riconosciuta la legittimità dell’operato dell’Ufficio, ha negato che la documentazione (ritualmente) prodotta dalla contribuente fosse idonea a comprovare la disponibilità di un reddito, esente perchè derivato da liberalità ricevute dal padre, in mancanza della dimostrazione che gli importi ricevuti a mezzo di assegni circolari sul suo conto fossero effettivamente stati tratti, in suo favore, dal genitore;

8 ne consegue il rigetto del ricorso senza pronuncia sulla spese in mancanza di espletamento di attività difensiva da parte dell’intimata;

9 ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione, il 23 ottobre 2019.

Depositato in cancelleria il 26 febbraio 2020

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