Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5171 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 5171 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: GIANNITI PASQUALE

Cron. 514H

ORDINANZA
Rep.

sul ricorso 5487-2016 proposto da:
Ud. 15/12/2017

ISOLA LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
CC

DEI SALESIANI 4, presso il suo studio, rappresentato e
difeso da se medesimo ;
– ricorrente contro

COSTANZA CARLO;
– intimato 2017
2571

Nonché da:
COSTANZA

CARLO,

DINO,

COSTANZA

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA N. RICCIOTTI 11, presso lo
studio dell’avvocato DINO COSTANZA, che li rappresenta
e difende giusta procura in calce al controricorso e

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Data pubblicazione: 06/03/2018

ricorso incidentale;
– ricorrenti incidentali contro

ISOLA LUIGI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE
DEI SALESIANI 4, presso il suo studio, rappresentato e

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 5780/2015 della CORTE D’APPELLO
di ROMA, depositata il 20/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 15/12/2017 dal Consigliere Dott.
PASQUALE GIANNITI;

2

difeso da se medesimo ;

RILEVATO CHE

1.Nel 2007 l’avv. Luigi Isola conveniva davanti al Tribunale di
Roma gli avvocati Carlo Costanza e Dino Costanza, chiedendo la
condanna di questi ultimi al risarcimento dei danni subiti per effetto
di alcune espressioni sconvenienti ed offensive, che erano stati
dagli stessi utilizzate davanti a quel Tribunale in un atto di reclamo
ante causam

nel

procedimento n. 49929/2005. Aggiungeva che il Tribunale di Roma
con sentenza n. 25219/2006, nel definire la causa di merito
(recante n. 60838/2005), aveva disposto la cancellazione di dette
frasi ai sensi dell’art. 89 c.p.c..

2. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 815/2010, ritenuta
la fondatezza della domanda attorea, condannava i legali convenuti
in via solidale al risarcimento del danno in favore del legale attoreo,
liquidandolo in complessive euro 20 mila, oltre alle spese legali.

3. Avverso la sentenza del Giudice di primo grado,
proponevano appello i legali soccombenti, i quali – dopo aver
premesso che: a) la causa di merito n. 60838/2005 aveva avuto
ad oggetto lo scioglimento della comunione su un appartamento,
sito in Roma, via Benaco; b) in vista della causa di merito, l’avv.
Costanza aveva promosso procedimento n. 49929/2005 per
sequestro conservativo in mani proprie nei confronti ditale Laracca
Mariangela (assistita dall’avv. Isola); c) il ricorso per sequestro
conservativo era stato rigettato dal primo giudice, ma, a seguito di
reclamo, era stato accolto dal Collegio; d) successivamente le parti
avevano raggiunto una transazione e si erano impegnati ad
abbandonare la causa di merito ai sensi dell’art. 309 c.p.c.; e) il
giudice della causa di merito era stato informato della intervenuta
transazione, ma, ciò nonostante, aveva trattenuto la causa in
decisione sulle sole conclusioni dell’avv. Isola, in ordine alla
3

avverso rigetto di istanza di sequestro

domanda di cancellazione ex art. 89 c.p.c. (all’udienza di
discussione l’avv. Costanza non era comparso non essendo stato
posto in condizione di partecipare all’udienza), senza disporre alcun
risarcimento in favore dell’avv. Isola (che non ne aveva fatto
richiesta) – deducevano:
– in via preliminare, che: la sentenza del giudice di primo
grado era stata emessa in violazione del contraddittorio; e che una

proposta in seno alla causa di merito n. 60838/2005, non
ricorrendo alcuno dei casi ostativi individuati dalla giurisprudenza;
– nel merito, che: le espressioni contestate non avevano il
carattere sconveniente ed offensivo, ex adverso lamentate, avendo
l’avv. Isola effettivamente tenuto le condotte oggetto di lagnanza,
condotte che dovevano essere necessariamente segnalate al
giudicante, in quanto afferenti a giudizio cautelare, ove il giudice
era stato chiamato a decidere allo stato degli atti; inoltre vi era
stato comunque nei fatti approfittamento di un errore di
annotazione del catasto, di cui la parte si era giovata al fine di
ottenere in sede cautelare una pronuncia favorevole, come in
effetti si era verificato nella prima fase; non era stata prospettata
alcuna frode processuale, essendo stata semplicemente segnalata
al giudicante una condotta percepita come non appropriata sul
piano deontologico;
– in via subordinata, in punto di quantum debeatur, che: il
danno era stato in ogni caso liquidato in misura eccessiva, sulla
base di una generica motivazione; eccessiva era stata anche la
misura delle spese alle quali erano stati condannati.

4. L’avv. Isola si costituiva nel giudizio di appello,
contestando la fondatezza del gravame, del quale chiedeva il
rigetto, con la conferma della sentenza impugnata.

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eventuale richiesta di risarcimento danni avrebbe dovuto essere

5. La Corte di appello di Roma con la impugnata sentenza – in
parziale accoglimento dell’appello (e, quindi, in riforma della
sentenza di primo grado) – riduceva la somma dovuta dai legali
appellanti da 20 a 5 mila euro; riduceva altresì le spese di primo
grado ad euro 2000; dichiarava compensate tra le parti le spese
del giudizio di appello nella misura del 50%; liquidava il residuo
50% nella misura di euro 1000, oltre a spese generali ed oneri di

6. Avverso la sentenza della Corte territoriale proponevano:
ricorso principale, l’avv. Isola; e ricorso incidentale, gli avv.ti Carlo
Costanza e Dino Costanza.

7. Dal ricorrente principale veniva presentato controricorso al
ricorso incidentale.

8. Infine, in vista dell’odierna camera di consiglio, venivano
presentate note da parte del legale ricorrente in via principale e da
parte dei legali, ricorrenti in via incidentale.

CONSIDERATO CHE

1.Entrambi i ricorsi non sono fondati.

2. Non fondato è il secondo motivo del ricorso incidentale,
che viene trattato per primo, in quanto involge questione
processuale.
2.1. Si premette che la Corte di appello nella impugnata
sentenza, quanto alla doglianza relativa alla dissociazione tra la
causa in cui erano state usate le espressioni in contestazione e la
causa di risarcimento del danno promossa dal difensore, ne ha
rilevato l’infondatezza, sottolineando, anche con richiamo a principi
affermati nella giurisprudenza di legittimità, la diversità della
5

legge, ponendolo a carico dei legali appellanti.

fattispecie prevista dall’art. 89 c.p.c. rispetto a quella prevista
dall’art. 96 c.p.c.
2.2. Nel motivo in esame si censura la sentenza impugnata,
in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5, nella parte in cui la
Corte di appello, ritenendo ammissibile l’azione ai sensi dell’art. 89
c.p.c., aveva operato una dissociazione tra il procedimento in cui le
espressioni contestate erano state utilizzate ed il procedimento nel

conseguenti all’utilizzo delle suddette frasi.
2.3. Il motivo non è fondato.
Questa Corte regolatrice anche di recente ha avuto modo di
precisare (cfr. ord. n. 19907 del 29/08(2013, Rv. 627574 – 01;
oltre alla sent. n. 16121 del 09/07/2009, Rv. 608962 – 01, già
richiamata dalla Corte di merito) che competente ad accertare e
liquidare il danno derivante dall’uso di espressioni offensive
contenute negli atti del processo, ai sensi dell’art. 89 cod. proc.
civ., è sì di norma lo stesso giudice dinanzi al quale si svolge il
giudizio nel quale sono state usate le suddette espressioni; ma che
a tale competenza è necessario derogare quando il giudice non
possa, o non possa più, provvedere con sentenza sulla domanda di
risarcimento, come per l’appunto è avvenuto nel caso di specie nel
quale l’avv. Isola, davanti al Tribunale di Roma, nel c.d. giudizio
presupposto, ha insistito sulla domanda di cancellazione, ma non
ha chiesto il risarcimento del danno e la domanda risarcitoria è
stata successivamente avanzata nei confronti (non della parte ma)
del difensore di quest’ultima.
Occorre qui ribadire che – poiché la responsabilità processuale
ha natura analoga a quella aquiliana, e, quindi, l’antigiuridicità dei
comportamenti non si esaurisce nell’ambito del processo l’esperibilità dell’azione di danni per responsabilità processuale
all’interno dello stesso processo rappresenta una facoltà per il
danneggiato, prevista e nel contempo imposta esclusivamente
quando la tutela del danneggiato sia possibile nel medesimo
6

quale era stata esperita l’azione per il ristoro degli asseriti danni

processo. Ne consegue che, ogni qualvolta non ricorra detto
presupposto (ad es. perchè, si ribadisce, la domanda risarcitoria è
stata avanzata non nei confronti della parte, ma nei confronti del
difensore), detta azione è esperibile davanti al giudice competente
secondo le norme ordinarie.

3. Inammissibili sono il primo motivo del ricorso principale ed

congiuntamente, in quanto tutti concernenti l’an debeatur.
3.1. Si premette che la Corte di appello nella impugnata
sentenza, in punto di an debeatur, in integrale conferma della
sentenza di primo grado – dopo aver richiamato le 5 espressioni
contestate – ha rilevato che: a) dette espressioni esulavano dalle
esigenze meramente difensive e, dipingendo un comportamento di
tipo fraudolento e doloso, integravano un eccesso reprensibile del
diritto di difesa e critica, assumendo i caratteri offensivi di una
manifestazione dell’onore e del decoro della persona, alla quale
erano rivolte, non indispensabili ai fini difensivi; b) era irrilevante la
prova della verità del fatto, dovendosi in quella sede valutare
unicamente quanto le espressioni contestate trascendevano i limiti
della difesa tecnica.
3.3. Nel primo motivo del ricorso principale si censura la
sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5,
nella parte in cui la Corte di appello – accogliendo una eccezione
introdotta nella comparsa conclusionale (e, quindi tardivamente) aveva riformato la sentenza di primo grado (nonostante che la
stessa, per difetto di appello, era da ritenersi già passata in
giudicato laddove tutte e cinque le frasi contestate erano state
ritenute riferibili alla Sig.ra Laracca e all’avv. Isola), e pronunciandosi ultra petitum – aveva ritenuto riferibili all’avv. Isola
soltanto 2 delle 5 frasi contestate, senza indicare le ragioni per le
quali aveva ritenuto che le residue 3 frasi non fossero riferibili
all’avv. Isola.
7

il primo motivo del ricorso incidentale, che qui si trattano

3.4. Nel primo motivo del ricorso incidentale si censura la
sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5,
nella parte in cui la Corte di appello – senza considerarne la stretta
correlazione con la materia controversa e senza chiarire il perché le
locuzioni contestate avrebbero inverato un abuso del diritto di
difesa – aveva ritenuto la portata offensiva di 2 delle 5 frasi in
contestazione.

La Corte di merito – con apprezzamento in fatto insindacabile
nella presente sede di legittimità – ha ritenuto che soltanto 2 delle
5 frasi in contestazione si riferivano al difensore, e, sulla base di
tale criterio, ha ritenuto che soltanto dette 2 frasi avessero un
contenuto rilevante ai sensi e per gli effetti dell’art. 89 c.p.c. E la
valutazione delle risultanze processuali costituisce un accertamento
di fatto non censurabile in sede di legittimità, se sorretto da
motivazione immune da vizi logici e giuridici, come per l’appunto
nel caso di specie.

4. Inammissibili sono anche il secondo motivo del ricorso
principale ed il terzo motivo del ricorso incidentale, che qui si
trattano congiuntamente, in quanto entrambi concernenti il
quantum debeatur.
4.1. Si premette che la Corte di appello nella impugnata
sentenza, in punto di quantum debeatur, in parziale riforma della
sentenza di primo grado, ha ritenuto congrua la somma di euro 5
mila (in luogo di quella di 20 mila euro liquidata in primo grado),
argomentando sul fatto che:
a) soltanto la seconda e la terza delle 5 espressioni in
contestazione erano riferibili al difensore;
b) il danno all’immagine e alla reputazione non poteva essere
ritenuto sussistente in re ipsa nel comportamento contrario a
norme dell’autore dell’illecito, ma richiedeva l’allegazione di dati
specifici;
8

3.5. Entrambi i motivi sono inammissibili.

c) le due frasi ritenute in concreto offensive erano sì
contenute in scritti difensivi di una causa civile, ma questa era di
normale portata, nonché di nessun interesse pubblico o di studio;
e, inoltre, non erano state mai pronunciate in udienza o in altro
pubblico contesto.
4.2. Nel secondo motivo del ricorso principale si censura la
sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 n. 3 e n. 5, nella parte

risarcibile da 20 a 5 mila euro – argomentando sotto diversi profili
(precisamente: a) la posizione delle parti; b) il contesto nel quale
le parti operavano e l’offesa si era consumata; c) gli effetti e lo
scopo che erano stati attribuiti all’offesa), senza considerarne altri
(precisamente: a) la pubblicità, che la vicenda aveva avuto; b) la
personalità delle parti coinvolte; c) il fatto che i legali convenuti,
essendosi costituiti tardivamente nel giudizio di primo grado, erano
decaduti dalla facoltà di proporre eccezioni diverse da quelle
proponibili d’ufficio, con conseguente passaggio in giudicato della
sentenza del Tribunale di Roma) e dimenticando che gli appellanti
soltanto in sede di comparsa conclusionale presentata nel giudizio
di appello avevano introdotto argomenti in punto di

quantum

debeatur.
4.3. Nel terzo motivo del ricorso incidentale, in via
subordinata, si censura la sentenza impugnata, in relazione all’art.
360 comma 1 n. 3 e n. 5, nella parte in cui la Corte di appello,
nonostante l’assenza di dati specifici da cui poter desumere il
pregiudizio di carattere oggettivo subito, si era limitata a ridurre il
quantum debeatur, senza considerare che in radice mancava la
prova del danno asseritamente subito.
4.4. I motivi sono entrambi inammissibili.
Contrariamente a quanto dedotto dalle parti, anche in punto
di quantum, la Corte territoriale ha indicato l’iter logico seguito quello sopra ripercorso – per addivenire alla parziale riforma della
sentenza di primo grado.
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(i

in cui la Corte d’appello aveva ridotto l’ammontare del danno

E Le censure di entrambe le parti, in quanto dirette
sostanzialmente a sollecitare una terza pronuncia di merito, sono
inannnissibili in sede di legittimità.

5. Inammissibili sono, infine, il terzo motivo del ricorso
principale ed il quarto motivo del ricorso incidentale, che qui si
trattano congiuntamente, in quanto entrambi concernenti la

5.1. Si premette che la Corte di appello nella impugnata
sentenza, in punto di regolamentazione delle spese processuali: ha
ridotto le spese di primo grado in ragione della riduzione del valore
della causa e, quanto alle spese di secondo grado, ha ritenuto
sussistenti giustificati motivi per dichiarare compensate le spese
nella misura della metà, condannando gli appellanti in solido tra
loro a rifondere all’appellato la residua metà, che ha liquidato in
euro 1000.
5.2. Nel terzo motivo del ricorso principale si censura la
sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 comma 1 numero 3 e
numero 5, nella parte in cui la Corte territoriale ha regolamentato
nel termine di cui sopra le spese processuali, senza distinguere le
competenze dagli onorari, liquidando somme omnicomprensive e
andando al di sotto dei limiti tariffari.
5.3. Nel quarto si censura la sentenza impugnata, in
relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5, nella parte in cui la
Corte di appello, nonostante l’accoglimento in misura sostanziale
dell’appello, ha comunque condannato gli appellanti alla refusione
del 50% delle spese processuali, liquidandole nella misura di euro
1000.
5.4. Entrambi i motivi sono inammissibili.
Il terzo motivo del ricorso principale è inammissibile, in
quanto difetta della specifica indicazione dei diritti e degli onorari
che, a dire del difensore, avrebbero dovuto essere liquidati._

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regolamentazione delle spese processuali.

Quanto poi al quarto motivo del ricorso incidentale, i
controricorrenti in realtà non si confrontano con quanto
argomentato dalla Corte di merito, che non ha condannato questi
ultimi alle spese processuali, nonostante il parziale accoglimento
dell’appello, ma ha effettuato la regolamentazione delle spese
processuali, sopra richiamata, tenendo conto del complessivo esito
della vertenza: una vittoria parziale esclude in radice la dedotta

4.Avuto riguardo alla reciproca soccombenza, si dichiarano
integralmente compensate le spese processuali relative a questo
giudizio di legittimità. Ricorrono invece i presupposti per il
pagamento ad opera di entrambe le parti dell’importo, dovuto per
legge ed indicato in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale.
Rigetta il ricorso incidentale.
Dichiara compensate tra le parti le spese relative al presente
giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1 comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso
principale a norma del comma 1-bis del citato art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza

insanabile contraddittorietà nella motivazione.

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