Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5168 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. trib., 26/02/2020, (ud. 26/06/2019, dep. 26/02/2020), n.5168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17485-2014 proposto da:

C.V., elettivamente domiciliato in ROMA VIA ATANASIO

KIRCHER 7, presso lo studio dell’avvocato STEFANIA IASONNA,

rappresentato e difeso dall’avvocato ENRICO ROMANO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 240/2013 della COMM. TRIB. REG. di NAPOLI,

depositata il 15/11/2013;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

26/06/2019 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

Fatto

RILEVATO

che:

C.V. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 240/44/2013, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania il 15.11.2013;

ha riferito di aver presentato istanza di rimborso dei versamenti eseguiti ai fini Irap per gli anni d’imposta 2004/2008 perchè, esercitando l’attività di medico generico convenzionato con il Sistema Sanitario Nazionale senza autonoma organizzazione, contestava i presupposti di assoggettamento all’imposta. Seguiva il silenzio della Agenzia, avverso il quale aveva presentato ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, che con sentenza n. 284/32/11 rigettava la domanda. L’Ufficio però adiva la Commissione Tributaria Regionale della Campania, che con la pronuncia ora impugnata accoglieva l’appello.

Il contribuente censura con due motivi la sentenza:

con il primo per violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, artt. 2 e 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per l’erronea interpretazione della disciplina Irap, in rapporto ai presupposti di assoggettamento all’imposta e in particolare al concetto di “autonoma organizzazione”, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, per l’erronea valutazione della natura ed incidenza delle spese riportate nelle dichiarazioni dei redditi e delle mansioni svolte dalla segretaria di studio;

con il secondo per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, nonchè l’omesso esame di un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per non aver chiarito in qual modo i beni strumentali e il lavoro dipendente della segretaria, peraltro assunta solo per gli anni 2007 e 2008, potessero incidere sulla organizzazione del lavoro del contribuente, riconducendolo tra i soggetti passivi dell’imposta.

Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con le conseguenti statuizioni.

Si è costituita l’Agenzia, che ha contestato i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.

Diritto

CONSIDERATO

che:

il primo motivo, che sebbene apparentemente sovrapponga vizi motivazionali ed errores iuris sostanzialmente nel corpo delle argomentazioni distingue le censure sui due vizi denunciati, è fondato e trova pertanto accoglimento, sebbene limitatamente alla violazione e falsa applicazione di norme di diritto, rivelandosi inammissibile il vizio motivazionale, anche invocato, alla luce della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Presupposto per l’assoggettamento all’imposta è “l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla…. prestazione di servizi” (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 2), applicabile anche alle “persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma del predetto testo unico, art. 5, comma 3, (ndr. D.P.R. n. 917 del 1986), esercenti arti e professioni, di cui al medesimo testo unico, art. 49, comma 1,” (D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 3, lett. c).

Quanto al significato di “autonoma organizzazione” già la Corte Costituzionale, con sent. n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l’imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l’assoggettamento al tributo, il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Corte di legittimità ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell’esercizio dell’attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l’id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già cfr. Cass., sent. 3676 del 2007; Cass., sent. n. 25311 del 2014). Nel perimetrare ulteriormente l’assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo le Sez. U, da ultimo intervenute, hanno affermato che il requisito dell’autonoma organizzazione, previsto quale presupposto dell’imposta dall’art. 2 cit., non ricorre quando il contribuente responsabile dell’organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all’esercizio dell’attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l’impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Sez. U, sent. n. 9451/2016).

La Corte ha anche affermato che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, in conseguenza non riconoscendo ad esempio la soggettività passiva all’imposta dell’avvocato che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (Cass., ord. n. 4080/2017, con riferimento alla attività di avvocato). Si è anche detto che il professionista che svolga l’attività all’interno di una struttura altrui, così difettando di autonomia organizzativa, non è assoggettato all’Irap (Cass., sent. n. 21150/2014). Con specifico riferimento alla professione di medico generico convenzionato con il SSN si è affermato che la disponibilità di uno studio, avente le caratteristiche e dotato delle attrezzature indicate nell’art. 22 dell’Accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici di medicina generale, reso esecutivo con D.P.R. n. 270 del 2000, rientrando nell’ambito del “minimo indispensabile” per l’esercizio dell’attività professionale, ed essendo obbligatoria ai fini dell’instaurazione e del mantenimento del rapporto convenzionale, non integra, di per sè, in assenza di personale dipendente, il requisito dell’autonoma organizzazione ai fini del presupposto impositivo (Cass., 22027/2017; 13405/2016).

E’ stato anche chiarito, con orientamento ormai consolidato, che non ricorre il necessario presupposto della autonoma organizzazione ove il professionista si avvalga di un cd. assistente di sedia, ossia di un infermiere generico assunto “part time”, il quale si limiti a svolgere mansioni di carattere esecutivo, o di una segretaria, figure collaborative che anche per i tempi e le modalità di impiego non sono idonee ad accrescere le potenzialità professionali del medico (ex multis, Cass., 12084/2018; 9786/2018). Peraltro si è affermato che incombe sull’Ufficio l’onere di dimostrare le caratteristiche della strumentazione tecnica e la portata dell’eventuale attività di collaborazione, indicando gli elementi di fatto necessari ad integrare il presupposto d’imposta (Cass., 23999/2016).

L’accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato.

Questi gli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il giudice tributario d’appello ha riconosciuto la sussistenza dei presupposti dell’imposta nei confronti del C. considerando che il contribuente “…dichiarò, nel quadro RE della dichiarazione dei redditi, costi relativi a: 1) quote di ammortamento per l’acquisto di beni mobili; 2) spese per prestazioni di lavoro dipendente; 3) compensi corrisposti a terzi per attività professionali, ammontanti ad Euro 18.574,00 per l’anno 2008, a fronte di un compenso lordo totale di Euro 127.602,00, a Euro 20.455,00 per l’anno 2007, a fronte di un compenso lordo totale di Euro 133.748,00, a Euro 18.800,00 per l’anno 2006, a fronte di un compenso totale di Euro 104.824,00, ed a Euro 17.625,00 per l’anno 2005, a fronte di un compenso lordo totale di Euro 101.792,00.

Inoltre l’Ufficio ha allegato, senza che l’affermazione sia stata contestata dall’appellato che, per gli anni di imposta in esame il C. aveva sostenuto costi per un lavoratore dipendente”. Da ciò ha desunto la sussistenza dei presupposti per l’assoggettamento del ricorrente all’Irap.

Risulta evidente che gli elementi assunti a sostegno della attribuzione della soggettività passiva al tributo siano del tutto inadeguati. Si pretende di valorizzare l’occupazione di un dipendente, di cui non sono neppure accennate le funzioni esplicate, si fa riferimento a costi, che incidono sul reddito complessivo nella misura del 15-18%, senza chiarire la natura dei medesimi, e peraltro, tenendo conto che almeno per alcuni anni il ricorrente ha tenuto una segretaria, del tutto coerenti con il pagamento di una retribuzione minima per un dipendente regolarmente denunciato. Trattasi in ogni caso di costi che risultano sostenuti nella misura che ci si possa attendere per la gestione di uno studio medico.

Dunque la pronuncia del giudice regionale non fa corretta applicazione delle norme che regolano l’assoggettamento all’irap del professionista, alla luce della interpretazione resa dalla giurisprudenza di legittimità.

L’accoglimento del primo motivo assorbe il secondo.

Ritenuto che:

La sentenza va dunque cassata e il giudizio rinviato dinanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, per un nuovo esame sulla base dei principi enunciati e degli elementi probatori disponibili, oltre che per la decisione sulle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Campania, in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 26 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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