Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5166 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

V.S. (OMISSIS) E.G.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE BRUNO

BUOZZI 59, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO STEFANO,

rappresentati e difesi dall’avvocato MIGNONE ALBERTO, giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

TRENITALIA SPA (OMISSIS) – Società con socio unico, soggetta

all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato

SpA, in persona dell’Institore, elettivamente domiciliata in ROMA,

PIAZZA DELLA CROCE ROSSA (Direzione Legale Lavoro), presso lo studio

dell’avvocato SERICA GIUSEPPE, rappresentata e difesa dall’avvocato

TOSI PAOLO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 423/2009 della CORTE D’APPELLO di MILANO del

13.5.09, depositata il 21/05/2009;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

Con ricorso notificato il 1-2 marzo 2010, E.G. e V.S., dipendenti della s.p.a. Trenitalia inquadrati nel livello ottavo di cui al C.C.N.L. applicato, hanno chiesto, con due motivi, la cassazione della sentenza depositata il 21 maggio 2009, con la quale la Corte d’appello di Milano, in riforma della decisione di primo grado, aveva respinto le loro domande di inquadramento nel livello 9, il più elevato tra i due in cui è articolata la categoria dei quadri.

In sintesi, i ricorrenti hanno dedotto col primo motivo, relativo al difetto di procura in appello ex art. 83 c.p.c. anche in relazione all’art. 1716 c.c., comma 2, che l’atto di appello avrebbe dovuto essere sottoscritto da ambedue i difensori e non, come accaduto, dal solo avv. Tosi, essendo stata la relativa procura conferita dalla società a tale difensore “unitamente” all’avv. Antonino Russo.

Col secondo motivo, relativo alla violazione dell’art. 116 c.p.c. e al vizio di motivazione, i ricorrenti hanno censurato il fatto che la Corte territoriale avrebbe erroneamente interpretato e omesso di valutare l’effettiva portata delle dichiarazioni testimoniali raccolte in primo grado nonchè la documentazione ivi prodotta, compresi i testi dei contratti collettivi la cui applicazione è invocata in giudizio.

L’intimata Trenitalia ha resistito alle domande con rituale controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dagli artt. 360 e segg. c.p.c., con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Ritenendo il ricorso inammissibile, il consigliere designato ha redatto in proposito una relazione ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. e chiesto al Presidente la fissazione dell’adunanza della Corte in camera di consiglio.

E’ seguita la rituale comunicazione al P.M. e la notifica alle parti della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in camera di consiglio.

E.G. e V.S. hanno infine depositato una memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, con la quale preliminarmente deducono l’inammissibilità della procedura camerale in quanto il provvedimento del Presidente che ha fissato la data dell’adunanza in camera di consiglio sarebbe antecedente (30 novembre 2010) rispetto alla data di deposito della relazione ex art. 380 bis c.p.c. (1 dicembre 2010).

In proposito, va ribadito che la data rilevante è quella di deposito degli atti, come attestata dall’organo titolare del relativo potere certificativo, vale a dire il cancelliere, che nel caso in esame ha attestato il deposito sia della relazione che del provvedimento del presidente alla data del 1 dicembre 2010.

La deduzione è pertanto manifestamente infondata.

Il ricorso è inammissibile.

In esso, contenente nel primo motivo nonchè nel secondo, nella parte in cui investe l’Interpretazione delle declaratorie del C.C.N.L. relative al livello rivendicato (oggi infatti possibile oggetto di diretta Interpretazione da parte di questa Corte, a norma del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2), censure relative alla violazione di norme di diritto e di un C.C.N.L, difetta anzitutto la formulazione del quesito di diritto, necessario anche in tal caso (cfr. Cass. n. 4008/08) ai fini dell’ammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c (applicabile ratione temporis al caso in esame a norma della D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, artt. 6 e 27, comma 2 prima della sua abrogazione, operata a decorrere dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d)) il quale, per quanto qui interessa, recita:

“Nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4.

L’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

In proposito è stato ripetutamele affermato da questa Corte che “il legislatore, nel porre a carico del ricorrente l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica di cui egli auspica una certa soluzione, rende palese come a questo particolare strumento impugnai or io sia sottesa una funzione affatto peculiare: non solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione del la lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata (in un senso, ovviamente, che il ricorrente prospetta a sè più favorevole), ma anche quella di enucleare – con valenza più ampia e perciò nomofilattica il corretto principio di diritto al quale ci si deve attenere in simili casi. L’interesse personale e specifico del ricorrente deve, insomma, coniugarsi qui con l’interesse generale all’esatta osservanza e all’uniforme interpretazione della legge” (cfr, per tutte, Cass. 22 giugno 2007 n. 14682 o Cass. 10 settembre 2009 n. 19444).

Una tale formulazione del quesito di diritto è stata ritenuta necessaria da questa Corte (Cass., sent. 20 giugno 2008) anche nel caso di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) (quale potrebbe essere correttamente qualificato quello di cui al primo motivo), nel caso in cui la violazione denunciata comporti necessariamente, come nel caso di specie, la soluzione di una questione di diritto e non unicamente un mero errore di fatto (ad esempio, l’omessa pronuncia su di una domanda).

Nella memoria depositata ai sensi del terzo comma dell’art. 380 bis c.p.c. i ricorrenti contestano peraltro tale valutazione di inammissibilità, richiamando Cass. 5 ottobre 2009 n. 21291, secondo la quale la mancanza di una esplicita formulazione del quesito di diritto non determina tale inammissibilità allorchè questo sia desumibile, in via interpretativa dal contenuto della proposta censura e sostenendo che nel caso in esame, trattandosi di eccezione inerente l’osservanza di regole processuali, da esse deriverebbe un errore di fatto riconoscibile attraverso l’esame degli atti, che pertanto, proprio alla luce della giurisprudenza citata di questa Corte non richiederebbe la formulazione di un quesito.

Al riguardo, rilevato che la sentenza citata dalla difesa dei ricorrenti in ordine al quesito di diritto è rimasta isolata, il collegio intende qui dare continuità alla giurisprudenza di gran lunga prevalente di questa Corte, la quale interpreta l’art. 366 bis c.p.c. nel senso sopra indicato.

Per quanto riguarda poi il primo motivo di ricorso, con esso i ricorrenti non denunciano in realtà un errore di mero fatto, ma una erronea interpretazione del termine “congiuntamente” usato dall’art. 1726 c.c., comma 2, con riguardo al mandato conferito, in pretesa violazione dei principi elaborati da questa Corte in materia, con la conseguente denuncia di violazione dell’art. 83 c.p.c.. Ne consegue che in tale caso era sicuramente necessario, a norma delle legge processuale la formulazione di un quesito di diritto.

Infine, con riferimento alla censura che investe la interpretazione delle clausole del C.C.N.L. applicato, i ricorrenti non hanno osservato la regola stabilita a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, secondo la quale, qualora il ricorso per cassazione fondi su di una clausola di tale atto, questo, a pena di improcedibilità deve essere depositato in questa sede nella sua interezza e non nella sola parte ritenuta di interesse (cfr. Cass. S.U. n. 20075/10), come viceversa avvenuto nel caso in esame in cui il ricorso da atto della produzione di soli estratti.

Anche la restante parte del secondo motivo di ricorso, che investe sostanzialmente la valutazione delle prove operata dai giudici dell’appello, è inammissibile.

Secondo, infatti, l’univoca interpretazione di questa Corte dell’art. 366 bis c.p.c. (secondo cui “nel caso previsto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione dei fatto controverso in relazione ai quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”), anche l’illustrazione del motivo relativo al preteso vizio di motivazione deve concludersi con una chiara, sintetica, evidente ed autonoma indicazione de fatto controverso in relazione al quale viene dedotto l’uno o l’altro dei vizi possibili (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 16528/08 e, più recentemente, Cass. 27680/09 e 4556/09).

Il collegio intende attenersi a tale interpretazione della norma di legge, pur contrastata dai ricorrenti, richiamando in proposito le ampie argomentazioni di sostegno contenute nelle precedenti decisioni richiamate.

La Corte rileva pertanto che nel secondo motivo di ricorso, oltre a difettare la formulazione di un quesito di diritto, manca altresì un siffatto momento di sintesi con riguardo alle deduzioni di difetto di motivazione; ed anzi, per effetto di tali omissioni, non è neppure chiaro a quale delle censure svolte nel corso del motivo siano da riferire le indicazioni di vizio in procedendo e di leggi violate presenti in rubrica e a quale argomentazione della sentenza sia da riferire il vizio di omessa piuttosto di quella di insufficiente o contraddittoria motivazione, per cui il motivo è piuttosto inammissibilmente diretto ad ottenere in questa sede di legittimità un riesame dell’intero materiale istruttorio raccolto, in funzione di una lettura meramente alternativa dello stesso nel senso voluto dal ricorrente, ciò che eccede i limiti del controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza di merito.

Concludendo, sulla base delle considerazioni svolte, il ricorso va dichiarato inammissibile, con le normali conseguenze di legge in ordine al regolamento delle spese di giudizio, operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, a rimborsare alla società le spese di questo giudizio, liquidate complessivamente in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 4.000,00, oltre spese generali, IVA e CPA, per onorari.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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