Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5164 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. I, 03/03/2010, (ud. 13/11/2009, dep. 03/03/2010), n.5164

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.R. (c.f. (OMISSIS)), domiciliato in ROMA,

PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA CIVILE DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARRA ALFONSO LUIGI,

giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositato il

06/09/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

13/11/2009 dal Consigliere Dott. RAGONESI Vittorio;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

La Corte:

 

Fatto

OSSERVA

quanto segue.

S.R. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di otto motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Napoli dep il 6.9.07 con cui la PDCM veniva condannata ex lege n. 89 del 2001 al pagamento di un indennizzo di Euro 16250,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo svoltosi innanzi al Tar Campania.

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha resistito con controricorso.

Osserva:

Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di circa sedici anni e tre mesi sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni tre.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu.

Il motivo appare del tutto inconsistente limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Con il secondo ed, il terzo motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale: a) il mancato computo dell’indennizzo riferito all’intera durata del processo anziche’ al solo periodo di irragionevole durata; b) la insufficienza della liquidazione del danno.

I motivi sono manifestamente infondati. Per quanto concerne il periodo di tempo in relazione al quale rapportare la liquidazione del danno, questa Corte ha, a piu’ riprese, affermato che la L. n. 89 del 2001, art. 2 espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole.

Per quanto concerne l’ammontare della liquidazione, di cui si deduce la insufficienza (16250,00 Euro per sedici anni e tre mesi di ritardo pari a 1000,00 Euro per anno di ritardo), la Corte d’appello, si e’ attenuta ai parametri minimi della Cedu che, come e’ noto, oscillano tra i mille/00 ed i millecinquecento/00 Euro per anno).

Con quarto, il quinto ed il sesto motivo, si deduce sotto diversi profili il mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia.

Tali censure sono manifestamente infondate.

La Corte di Strasburgo ha, infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto cio’ non significa che dette cause sono necessariamente di per se’ particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, e’ possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che, come e’ noto, dispone di una certa discrezionalita’ nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da mille/00 a millecinquecento/00 salvo limitato discostamento in piu’ o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, puo’ arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto cio’ non implica uno specifico obbligo di motivazione essendo tutto cio’ compreso in quella che concerne la liquidazione del danno, per cui,se il giudice non si pronuncia sul bonus, implicitamente cio’ sta a significare che non ha ritenuto la controversia di tale rilevanza da riconoscerlo.

Con il settimo e l’ottavo motivo si duole che la Corte d’appello abbia erroneamente compensato ovvero dichiarato irripetibili le spese di giudizio, nonostante essa ricorrente sia risultata vittoriosa, deducendo altresi’ la violazione della Convenzione dei diritti dell’uomo. I motivi appaiono manifestamente infondati.

La giurisprudenza prevalente di questa Corte si e’ costantemente espressa nel senso che in tema di regolamento delle spese processuali, la relativa statuizione e’ sindacabile in sede di legittimita’, nei soli casi di violazione di legge, quale si verificherebbe nell’ipotesi in cui, contrariamente al divieto stabilito dall’art. 91 c.p.c., le stesse venissero poste a carico della parte totalmente vittoriosa.

La valutazione dell’opportunita’ della compensazione totale o parziale rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca sia in quella della sussistenza di giusti motivi con il solo limite che occorre fornire adeguata motivazione della decisione presa ai sensi dell’art. 92 c.p.c..

Nel caso di specie detta motivazione e’ stata adeguatamente fornita in ragione del limitato accoglimento della domanda, che e’ risultata invero molto ridimensionata rispetto a quella proposta. Circa il rispetto della Convenzione dei diritti dell’uomo, questa Corte ha gia’ chiarito che nei giudizi di equa riparazione, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, trova applicazione la disciplina della responsabilita’ delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese. Tale principio non e’ in contrasto con l’art. 34 della Convenzione Europea per i diritti dell’uomo, come modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali. Pertanto, anche nel caso di accoglimento parziale della domanda o quando sussistano giusti motivi, l’autonomia della normativa nazionale comporta l’applicabilita’ della regola dettata dell’art. 92 c.p.c. (Cass. 16542/09).

Il ricorso va pertanto respinto. Segue alla soccombenza la condanna al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore dell’Amministrazione liquidate per l’intero in Euro 1000,00 per onorati oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 13 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

 

 

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