Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5162 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 25/02/2021), n.5162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Paolo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13588-2013 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.B.I.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SICILIA

66, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO GIULIANI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato AUGUSTO FANTOZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2012 della COMM. TRIB. REG. di BOLOGNA,

depositata il 26/03/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

L’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso avverso la sentenza n. 20/15/2012, depositata il 26 marzo 2012 dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che, a conferma della decisione del giudice di primo grado, aveva accolto il ricorso introduttivo di D.B.I.M. avverso l’avviso di accertamento, con cui ai sensi del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 11, alla contribuente erano state irrogate sanzioni amministrative quale autrice materiale delle violazioni contestate alla società Asian Byte s.p.a. ai fini IVA per l’anno d’imposta 2001.

Ha riferito che all’esito di verifica fiscale condotta dalla Guardia di Finanza sulla Asian Byte s.p.a. relativamente agli anni d’imposta 1996/2001 alla società era contestata la fatturazione di operazioni soggettivamente e oggettivamente inesistenti. Era dunque seguito il recupero ad imponibile ai fini Iva con rettifica dell’ammontare degli acquisti nella misura di Euro 2.265.327,25. Erano inoltre irrogate sanzioni dell’importo di Euro 566.331,79 per illegittima detrazione dell’imposta assolta nelle fatture e per dichiarazione d’imposta infedele. L’avviso di accertamento era stato notificato alla D.B. ai sensi del D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 5 e 11, nella qualità di amministratore delegato e legale rappresentante della società.

La contribuente aveva proposto ricorso con vari motivi, accolto con sentenza n. 51/15/2007 dalla Commissione tributaria provinciale di Bologna per carenza di motivazione del provvedimento di irrogazione delle sanzioni (primo motivo di ricorso). L’appello dell’ufficio era stato rigettato dalla Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna con la pronuncia ora impugnata. Il giudice regionale, interpretando il D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, comma 2, ha ritenuto che il testo normativo, secondo cui “fino a prova contraria si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi”, ha individuato il soggetto nell’autore materiale della violazione e, invocando taluni precedenti giurisprudenziali, secondo cui anche l’amministratore può essere chiamato a rispondere quando autore materiale delle violazioni, ha ritenuto onere dell’Amministrazione finanziaria dimostrare “documentalmente come l’amministratore abbia materialmente redatto i documenti o compiuto i fatti ascritti alla persona giuridica.”. Ha tuttavia concluso che tale prova non era stata offerta dall’Agenzia delle entrate.

La ricorrente ha censurato la sentenza affidandosi ad un unico motivo, con il quale ha denunciato la violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5 e art. 11, comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver tenuto conto degli obblighi e degli adempimenti di natura contabile e gestionale dell’amministratore, idonei a ricondurre alla sua persona il compimento degli atti illegittimi e dunque la condotta sanzionabile.

Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza.

Si è costituita la contribuente, che ha contestato la ricostruzione interpretativa offerta dall’Agenzia delle entrate ed ha chiesto il rigetto del ricorso.

Nell’adunanza camerale del 4 novembre 2020 la causa è stata trattata e decisa.

Diritto

CONSIDERATO

che:

La questione sulla quale le parti controvertono afferisce alla portata del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 11, comma 2, ed in particolare alla individuazione dei presupposti che giustifichino l’applicazione della sanzione fiscale a carico dell’amministratore delegato di una società dotata di personalità giuridica.

E’ necessario premettere che la disciplina dettata dal D.Lgs. n. 472 del 1997, a quasi settant’anni dalla prima legge generale sulle sanzioni fiscali – L. 7 gennaio 1929, n. 4, – aveva introdotto un innovativo sistema organico, attento alle condizioni soggettive del trasgressore, più vicino dunque ai principi penalistici, così valorizzando il principio di personalizzazione della sanzione e abbandonando criteri automatici. Va anche evidenziato che la disciplina è stata ulteriormente innovata dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in L. 24 novembre 2003, n. 326, in vigore dal 2 ottobre 2003, ma questa non può trovare applicazione al caso di specie per il consolidato principio secondo cui in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie relative al rapporto fiscale proprio di società o enti con personalità giuridica, il D.L. 269 del 2003, art. 7, comma 1, che ha introdotto il principio della riferibilità esclusiva alla persona giuridica delle sanzioni amministrative tributarie, si applica solo alle violazioni che, alla data di entrata in vigore del decreto non siano state ancora contestate o la sanzione irrogata (Cass., 12/12/2011, n. 26507; 10/04/2013, n. 8733; 16/04/2014, n. 8848; 3/07/2015, n. 13730). Ipotesi esulante dalla fattispecie oggetto di causa.

Dovendo pertanto regolare la controversia secondo il dettato dell’art. 11 cit., occorre verificare se nel caso concreto di esse sia stata fatta corretta applicazione nella pronuncia impugnata e per conseguenza se siano o meno fondate le censure mosse dall’Amministrazione finanziaria.

Il giudice tributario, dopo aver avvertito che la disciplina de quo risponde all’esigenza di riferire la sanzione “alla persona fisica che ha commesso o ha concorso a commettere la violazione sanzionata”, ha affermato che l’amministratore può essere chiamato a rispondere in solido solo quando si tratti di violazioni a lui personalmente ascritte ed egli ne risulti l’autore materiale, a tal fine invocando alcuni precedenti di questa Corte (Cass., 18160/2002). A questo punto ha rilevato che “la presunzione, perciò, dell’art. 11, comma 2, che inverte l’onere della prova dall’ufficio al contribuente, può essere applicata solamente nel caso in cui l’accertatore dimostri documentalmente come l’amministratore abbia materialmente redatto i documenti o compiuto fatti ascritti alla persona giuridica. Nel caso di specie manca questa dimostrazione preliminare per far insorgere la presunzione a carico degli amministratori della Società.”.

La motivazione è stata censurata dalla ricorrente per un verso evidenziando che l’art. 11 cit., comma 2, nel riconoscere presuntivamente che l’autore della violazione sia chi ha sottoscritto o compiuto gli atti illegittimi, è disposizione a favore dell’Amministrazione finanziaria. Per altro verso ha affermato che la qualità di amministratore delegato della società identifica l’autore medesimo, sia per gli adempimenti contabili e gestionali facenti capo alla medesima funzione, sia perchè, quand’anche delegate a terzi dipendenti talune funzioni, persiste in capo al medesimo una responsabilità per culpa in eligendo o in vigilando. Ha dunque concluso che è suo onere dimostrare il contrario superando la presunzione.

Occorre allora verificare se, alla luce delle ragioni del ricorso, la decisione censurata sia coerente con i parametri interpretativi della norma invocata.

Questa recita “1. Nei casi in cui una violazione che abbia inciso sulla determinazione o sul pagamento del tributo è commessa dal dipendente o dal rappresentante legale o negoziale di una persona fisica nell’adempimento del suo ufficio o del suo mandato ovvero dal dipendente o dal rappresentante o dall’amministratore, anche di fatto, di società, associazione od ente, con o senza personalità giuridica, nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze, la persona fisica, la società, l’associazione o l’ente nell’interesse dei quali ha agito l’autore della violazione sono obbligati solidalmente al pagamento di una somma pari alla sanzione irrogata, salvo il diritto di regresso secondo le disposizioni vigenti. Se la violazione non è commessa con dolo o colpa grave, la sanzione, determinata anche in esito all’applicazione delle previsioni dell’art. 7, comma 3, e art. 12, non può essere eseguita nei confronti dell’autore, che non ne abbia tratto diretto vantaggio, in somma eccedente Euro 50.000, salvo quanto disposto dall’art. 16, comma 3, e art. 17, comma 2, e salva, per l’intero, la responsabilità’ prevista a carico della persona fisica, della società, dell’associazione o dell’ente. L’importo può essere adeguato ai sensi dell’art. 2, comma 4. 2. Fino a prova contraria, si presume autore della violazione chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi.”.

Ebbene, non può certo negarsi che la funzione ed i poteri gestionali dell’amministratore delegato autorizzino astrattamente a reputare che a questo possano ricondursi quelle condotte che materializzano il compimento degli atti illegittimi, compresa la materiale formazione dell’atto illegale, come ad esempio l’infedele dichiarazione dei redditi. E tuttavia non si farebbe buona applicazione dei principi introdotti dal D.Lgs. n. 472 del 1997, ove alla funzione in sè rivestita dall’amministratore delegato dovesse ritenersi automaticamente corrispondente l’imputazione delle condotte illecite. Se, come riconosciuto dalla giurisprudenza e dalla dottrina, l’introduzione del principio di personalizzazione della sanzione consente di rivolgere particolare attenzione alle condizioni soggettive del trasgressore, ciò implica un’indagine quanto meno sufficiente a identificare quegli elementi di base che, al di là della formazione materiale dell’atto illecito, possano far ritenere che l’amministratore delegato di una società dotata di personalità giuridica ne sia l’autore. Se così non fosse, non avrebbe avuto alcun senso, specie in riferimento alle società più grandi e in particolare alle società per azioni, elencare nel comma 1, il “dipendente” o il “rappresentante” oppure “l’amministratore” (e dunque non solo quest’ultimo) tra coloro che “nell’esercizio delle sue funzioni o incombenze” possano commettere illeciti. E ciò tanto più considerando la preoccupazione, pur opportunamente affiorata nella dottrina, per le implicazioni che sanzioni elevatissime possano applicarsi a soggetti estranei ai vantaggi fiscali conseguibili dall’ente, tra cui, in termini generali, non può escludersi vi sia anche l’amministratore delegato, che non necessariamente è soggetto facente parte della proprietà della compagine sociale.

E d’altronde, soprattutto nelle società per azioni, non è scontato che l’amministratore della società abbia poteri di rappresentanza oltre che di gestione dell’ente, dovendo comprendersi in concreto se, pur in presenza di un presidente del consiglio d’amministrazione, sia stata conferita all’amministratore la rappresentanza legale (ad es. cfr. Cass., 17/07/2013, n. 17467; oppure, con riguardo alla disciplina societaria anteriore alla riforma attuata con D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, vigente all’epoca dei fatti di causa, Cass., 4/03/2005, n. 4787). Ciò si riflette peraltro sull’identificazione delle persone preposte alla tenuta delle scritture contabili ex art. 2214 c.c., (ai fini civilistici ed ovviamente anche fiscali, da esse dipendendo la regolarità contabile e dunque in ultima analisi, ai fini degli adempimenti tributari, la formazione della dichiarazione dei redditi), che nelle società di maggiori dimensioni può ricondursi non solo all’organo amministrativo, ma anche ad un direttore generale o, ancora, ad una struttura amministrativa della società, cioè a dipendenti addetti al relativo ufficio.

Pertanto, qualora identificati i poteri dell’amministratore delegato di una società e la sua struttura organizzativa, la presunzione del D.Lgs. n. 472 del 1997, ex art. 11, comma 2, sarebbe agevolmente riconducibile ad esso per l’emersione di indici che riconducono alla sua persona poteri e responsabilità, e l’Agenzia delle entrate deve almeno individuare i poteri dell’amministratore nell’espletamento di quelle attività da cui possano scaturire atti illegittimi o responsabilità omissive. In assenza di una identificazione di tal genere, al contrario, e proprio a tutela del rispetto del principio di personalizzazione della sanzione (secondo la normativa vigente ratione temporis), la riconducibilità della responsabilità in capo all’amministratore della società, in quanto tale, avvalorerebbe una inaccettabile principio di responsabilità oggettiva, contrastante con la norma. Ad un tempo però la responsabilità dell’amministratore ai sensi dell’art. 11 cit., non può essere vincolata alla ricerca di una condotta materiale che metta in relazione diretta condotta e atto illecito. La norma cioè non richiede che l’amministratore sia l’autore materiale del fatto sanzionabile.

Ebbene, nel caso di specie è pur vero che occorreva chiarire il perchè fosse stata identificata nell’amministratrice della società il soggetto cui sono state ricondotte le violazioni e gli atti illegittimi, tenendo anche conto che la società aveva un presidente del consiglio d’amministrazione, partecipante del 75% delle azioni sociali. Ma l’onere della prova, a carico dell’Amministrazione, non richiedeva la dimostrazione che la D.B. fosse stata l’autrice materiale dell’illecito.

La sentenza impugnata infatti non ha tenuto conto dei principi di diritto sopra esposti. Per circoscrivere l’ambito applicativo della norma ha riportato letteralmente l’art. 11, comma 2, riconoscendo la presunzione di responsabilità, con conseguente inversione dell’onere della prova, ma ha poi ritenuto che tale presunzione richiedesse una dimostrazione preventiva, incombente sull’Ufficio accertatore, che la redazione materiale dei documenti o il compimento dei fatti ascritti alla persona giuridica fossero stati opera della D.B.. Ora, a parte la contraddittorietà tra riconoscimento della presunzione e onere di dimostrazione del compimento materiale degli atti, l’argomentazione della Commissione regionale evidenzia come non si sia tenuto conto che la responsabilità di un amministratore possa evincersi non solo dalla materialità degli atti compiuti, ma anche dalla emersione di poteri – gestionali, organizzativi, rappresentativi – utili comunque ad identificare, in chi riveste cariche di vertice nella struttura organizzava della compagine sociale, le condizioni per ricondurre a sè la responsabilità dei fatti illegali attribuiti alla società. Così argomentando, di fatto la Commissione ha svuotato del tutto la regola della presunzione.

Il ricorso va pertanto accolto e la sentenza va cassata, con rinvio del giudizio alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, che in diversa composizione, oltre che alla liquidazione della spese del giudizio di legittimità, provvederà a riesaminare la controversia tenendo conto dei principi di diritto enunciati in sentenza.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione tributaria dell’Emilia-Romagna, che in diversa composizione provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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