Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5160 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 14/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 24082-2011 proposto da:

COGEFA SPA, in persona del Presidente del C.d.A. e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

CRESCENZIO 91, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO LUCISANO, che

lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati NATALE MANGANO,

UMBERTO GIARDINI giusta delega a margine;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 59/2010 della COMM.TRIB.REG. DEL PIEMONTE,

depositata il 13/07/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/12/2016 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE LOCATELLI;

udito per il ricorrente l’Avvocato LUCISANO che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato GUIZZI che ha chiesto il

rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL

CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

A seguito di verifica compendiata nel processo verbale di constatazione del 20.7.2005 l’Agenzia delle Entrate notificava a Co.Ge.Fa spa un avviso di accertamento, relativo all’anno di imposta 2003, con il quale determinava maggiori imposte Irpeg, Irap ed Iva dovute sulla base di sei rilievi.

La società proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Roma che con sentenza n. 83 del 2008 lo accoglieva parzialmente con riguardo al rilievo relativo a minusvalenza indeducibili per Euro 310.935, ed al corrispondente rilievo relativo ad omessi ricavi per cessione contratto preliminare per il corrispettivo di Euro 316.634, importi che riduceva in entrambi i casi ad Euro 119.789.

La società proponeva appello principale con riguardo al diverso rilievo relativo al recupero a tassazione dell’accantonamento nel bilancio della somma di Euro 820.000 a titolo di fondo rischi per contratto su derivati. L’Agenzia delle Entrate si costituiva proponendo appello incidentale relativamente ai due recuperi annullati parzialmente dalla Commissione tributaria provinciale.

La Commissione tributaria regionale del Piemonte con sentenza del 3.7.2010 rigettava l’appello principale della società ed accoglieva l’appello incidentale dell’Ufficio. Con riferimento all’appello principale n giudice di secondo grado riteneva che il contratto derivato denominato di “interest rate swap” o più semplicemente di swap (contratto di scambio di flussi finanziari dovuti a titolo di interessi), stipulato da Cogefa con Unicredit spa, era un contrato meramente speculativo e pertanto non poteva costituire oggetto di accantonamento fiscalmente deducibili a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 70 e ss.; non riteneva applicabile il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103 bis che consentiva anche alle società non creditizie e non finanziarie di considerare componenti negativi del reddito di impresa le perdite derivanti dal contratti su derivati perchè la società non aveva valutato l’operazione tra i conti d’ordine oppure nelle note integrative al bilancio; riteneva inapplicabili il D.Lgs. n. 87 del 1992, artt. 18 e 20 in quanto i contratti di “swap” non costituiscono “immobilizzazioni finanziarie” e neppure sono “titoli o valori mobiliari”. In accoglimento dell’appello incidentale dell’Ufficio confermava integralmente l’avviso di accertamento nella parte in cui aveva ritenuto indeducibile la minusvalenza di euro 310.935 dichiarata dalla società in relazione alla cessione di un contratto preliminare di acquisto di due appartamenti, stipulato in data 21.2.2000 per il corrispettivo di Euro 490.634 e ceduto in data 23.12.2003 per un corrispettivo di Euro 174.000; in particolare il giudice di appello reputava antieconomica ed ingiustificata la cessione del contratto preliminare di acquisto degli immobili effettuato dalla società tre anni dopo, in un periodo di costante aumento dei prezzi del mercato immobiliare, ad un valore pari ad un terzo dell’originario costo sostenuto; riteneva inverosimili ed indimostrate le controdeduzioni della società che allegava la presenza di vizi strutturali degli immobili che ne avrebbero ridotto grandemente il valore, osservando che tale tesi era incompatibile con il pagamento del saldo del prezzo effettuato dalla società alla promettente venditrice nell’anno 2003, senza alcuna contestazione circa gli asseriti vizi dei beni immobili oggetto del preliminare di acquisto.

La società propone ricorso per cassazione per tre motivi sotto indicati. Deposita memoria.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 23 e L. n. 212 del 2000, art. 7 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nella parte in cui ha il giudice di appello ha escluso che l’Agenzia delle Entrate con le proprie controdeduzioni avesse introdotto, a giustificazione del recupero a tassazione del fondo rischi, un titolo nuovo, indicato nella insussistenza dei requisiti previsti dal previgente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, mentre nell’avviso di accertamento il recupero era stato giustificato con la violazione della disciplina sugli accantonamenti prevista dal previgente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 4.

Il motivo è infondato. Vero che la natura impugnatoria del processo tributario (per cui il sindacato del giudice tributario sulla legittimità e fondatezza della pretesa tributaria è necessariamente intermediato e delimitato dall’atto tributario impugnato), unitamente all’obbligo di motivazione dell’avviso di accertamento, espressamente esteso dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42 alla specifica indicazione dei “presupposti di fatto e ragioni giuridiche che lo hanno determinato”, comportano che la motivazione dell’atto impositivo debba assolvere, anche, la funzione di delimitare l’ambito delle ragioni deducibili dall’Ufficio nella successiva fase processuale contenziosa, con conseguente impossibilità di modificare o sostituire nel giudizio le ragioni originariamente poste a fondamento dell’atto ed esplicitate nella motivazione di esso (in senso conforme Sez. 5, Sentenza n. 22003 del 17/10/2014, Rv. 632769 – 01; Sez. 5, Sentenza n. 7056 del 26/03/2014, Rv. 630415). Tuttavia nel caso in esame il giudice di merito ha rilevato che l’avviso di accertamento impugnato conteneva ab origine un espresso riferimento alla indeducibilità del componente negativo di reddito, costituiti dall’ accantonamento fondo rischi su derivati, per mancanza del requisito di certezza e determinazione del costo richiesto ai fini della deducibilità dal previgente D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora 109).

2. Violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103 bis in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 nella parte in cui non ha ritenuto fiscalmente deducibile il componente negativo derivante dalla perdita relativa al contratto derivato perchè non indicato tra i conti d’ordine oppure nelle note integrative, senza considerare che la società aveva già inserito la valutazione del contratto su derivati nello stato patrimoniale (Fondo rischi su derivato) e nel conto economico (Accantonamento per rischi), con conseguente inutilità della iscrizione del derivato nei conti d’ordine, e deducibilità di tale componente negativo a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103 bis, comma 2 bis vigente ratione temporis.

Il motivo è infondato nei termini di seguito indicati. La società non contesta che l’accantonamento della somma di Euro 820.000 a titolo fondo per la copertura del rischio inerente al contratto “swap” stipulato con la banca Unicredit non fosse deducibile in applicazione del principio di tassatività degli accantonamenti ammessi in deduzione stabilito dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 73, comma 4 (ora art. 107, comma 4) tra i quali non è compreso l’accantonamento del fondo-rischio in oggetto. Tuttavia sostiene che esso era deducibile in quanto componente negativo del reddito di impresa derivante da contratto che assumeva come parametro di riferimento per la determinazione della prestazione l’andamento di un indice su tassi di interesse, in conformità alla previsione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103 bis, comma 1, applicabile anche ai soggetti non svolgenti attività creditizia o finanziaria (come la società ricorrente) a norma del successivo comma 2 bis. La censura svolta difetta del requisito della decisività non essendo idonea a contrastare la ratio decidendi complessivamente desumibile dalla sentenza impugnata. Anche ritenendo fondato il rilievo secondo cui l’indicazione della perdita, derivante dal contratto derivato, nello stato patrimoniale e nel conto economico ne rendeva superflua l’ulteriore indicazione, pretesa dal giudice di merito, nei conti d’ordine o nella nota integrativa, rimane comunque ferma l’indeducibilità del componente negativo per la preliminare ragione, indicata dall’Ufficio e confermata nella sentenza impugnata, della mancanza dei requisiti generali richiesti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75 (ora D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109) per la deducibilità dei costi (inerenza, certezza e determinazione),In particolare la Commissione tributaria regionale ha ritenuto fondata la tesi dell’Ufficio circa la mancanza dei requisiti richiesti dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 75, perchè al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi per l’anno di imposta 2003 difettavano i requisiti di certezza e determinazione del costo, poichè la società non era ancora in possesso della documentazione della banca Unicredit circa il valore negativo del contratto derivato, di cui aveva comunicazione soltanto con e-mail del 7.6.2005 (premessa in fatto pag. 7 ricorso), documentazione necessaria anche ai fini di esprimere la valutazione dell’operazione “in corso alla data di chiusura del bilancio” a norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 103 bis, comma 1. In via ancora pregiudiziale risulta dirimente la fondatezza del rilievo circa l’insussistenza delle condizioni di deducibilità dei costi di cui all’art. 75 sotto il profilo della mancanza del preliminare requisito della inerenza del costo alla attività di impresa svolta dalla società. Non è controverso che la società Co.Ge.fa. (Costruzioni Generali Fantini) spa non opera nel settore creditizio o finanziario e che il contratto derivato di “interest rate swap” sottoscritto tra la società e la banca non era un contratto derivato di copertura rischi inerenti all’attività di impresa, ma era un contratto derivato di tipo puramente speculativo, essendo finalizzato ad ottenere un profitto dalla “scommessa” sull’andamento dei tassi di interesse. Posto che il principio di inerenza costituisce un presupposto necessario per la deducibilità dei componenti negativi che incidono nella determinazione del reddito di impresa, nessun correlazione, anche indiretta o mediata, è ravvisabile tra la perdita derivante dalla stipulazione di un contratto di “interest rate swap” speculativo ed i ricavi o componenti positivi derivanti dalla attività di impresa svolta da una società il cui oggetto sociale non è costituito dalla assunzione di rischi finanziari ma dalla produzione di beni.

3. Violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67 ed erronea applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9 nella parte in cui, ritenendo fondato il recupero a tassazione della minusvalenza di Euro 310.935,44 (risultante dalla cessione di contratto preliminare di compravendita di immobile ad un prezzo ritenuto antieconomico e difforme dal valore normale) ha operato una doppia imposizione recuperando due volte a tassazione la medesima somma dapprima come minusvalenza e poi come maggiore ricavo.

Il motivo è inammissibile perchè introduce una eccezione nuova formulata per la prima volta con il ricorso per cassazione. Come riportato nella illustrazione dello svolgimento del giudizio di appello, la società ricorrente, in riferimento al disconoscimento della minusvalenza dichiarata in relazione alla cessione del contratto preliminare ed al conseguente recupero dei maggiori ricavi conseguenti alla predetta cessione, non ha mai opposto la violazione del divieto di doppia imposizione previsto dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, ma si è difesa esclusivamente nel merito, sostenendo, in entrambi i gradi di giudizio, la effettività della minusvalenza dichiarata in ragione dei vizi degli immobili che avevano comportato la cessione del relativo contratto preliminare ad un prezzo inferiore al corrispettivo originariamente versato.

Spese liquidate come da dispositivo.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al rimborso delle spese in favore della Agenzia delle Entrate, liquidate in Euro 12.000 oltre a eventuali spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 14 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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