Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5159 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2021, (ud. 04/11/2020, dep. 25/02/2021), n.5159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. ZOSO Liana Maria Teresa – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. RAGGIANI Eleonora – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10580/2016 promosso da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

Generali Properties s.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via XXIV Maggio 43,

presso lo studio degli avvocati Paolo Puri e Mauro del Vaglio, che

la rappresentano e difendono, in virtù di procura speciale a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4904/15 della CTR della Lombardia, depositata

il 12/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/11/2020 dal Consigliere ELEONORA REGGIANI.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza n. 4904/15, depositata il 12/11/2015, la CTR della Lombardia, in riforma della pronuncia di primo grado, ha accolto il ricorso proposto dalla contribuente contro l’avviso di rettifica e liquidazione n. (OMISSIS), con il quale era stato rideterminato D.P.R. n. 131 del 1986, ex art. 51, il valore dell’immobile oggetto della compravendita stipulata con atto del (OMISSIS), registrato il (OMISSIS) (da Euro 370.000,00 ad Euro 656.750.00), con conseguente recupero delle imposte di registro, ipotecaria e catastale.

Avverso la sentenza di appello, l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, formulando un solo motivo di impugnazione.

L’intimata si è difesa con controricorso ed ha depositato memoria ex art. 380-bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo e unico motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, nonchè degli artt. 2697 e 2729 c.c., e dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per avere la CTR ritenuto illegittimo l’operato dell’Amministrazione, che aveva provveduto alla rideterminazione del prezzo dichiarato, sulla scorta dei dati emersi dal raffronto con i valori OMI, avvalorati dalla definizione operata, in sede di adesione, dall’acquirente di un altro immobile, sempre di proprietà della Generali Properties s.p.a., simile a quello in esame, e con esso rientrante in una generale operazione di dismissione dei locali siti in (OMISSIS) (valore rideterminato in Euro 3.000,00 al mq).

L’Agenzia delle entrate ha inserito nel testo del ricorso l’intero avviso impugnato e uno stralcio delle controdeduzioni svolte in appello, deducendo che il giudice di appello aveva escluso la valenza probatoria degli elementi assunti dall’Ufficio, utilizzando argomenti in violazione dei principi generali sulla valutazione delle prove, tenuto conto che la perizia richiamata, prodotta dalla contribuente (dalla quale emergeva che l’immobile era occupato), era comunque un atto di parte, redatto per una finalità diversa dall’individuazione del valore di mercato (sufficienza della garanzia per la concessione del mutuo ipotecario) e che la stigmatizzata minore superficie dell’immobile era davvero minima (circa 20 mq).

2. La contribuente ha preliminarmente eccepito l’inammissibilità del ricorso avversario, perchè connotato da una mera riproposizione delle difese svolte nelle precedenti fasi di merito, al fine di ottenere una nuovo esame degli elementi di prova già valutati dal giudice di merito.

L’eccezione è infondata, tenuto conto che la ricorrente ha ‘semplicemente riportato le proprie difese in grado di appello (unitamente all’avviso impugnato), distinguendole chiaramente (anche dal punto di vista grafico) dagli argomenti impiegati nella censura formulata con il motivo di impugnazione, incentrata, come sopra evidenziato, sulla dedotta violazione di legge, conseguente alla mancata considerazione del supporto alle valutazioni OMI dato dal menzionato accertamento con adesione, a fronte del rilievo erroneamente attribuito ad altri elementi privi di valore probatorio.

3. Il motivo è infondato.

Si deve tenere presente che dalle stesse allegazioni della parte ricorrente si evince che l’atto di compravendita riguarda un appartamento, sito nel comune di (OMISSIS), alla (OMISSIS), in zona centrale (distinto in catasto al foglio (OMISSIS) mappale (OMISSIS) sub (OMISSIS) A/2, vani 9, RC 1.693,56, mq. 180) e la relativa cantina (distinta in catasto al foglio (OMISSIS) mappale (OMISSIS) sub (OMISSIS) C/2, RC 35,33).

E’ incontestato tra le parti che tale beni rientrasse in una operazione di liquidazione del patrimonio della contribuente, che infatti nello stesso anno ha provveduto alla vendita di un altro immobile, sito sempre in (OMISSIS).

3.1. Com’è noto, in materia di imposta di registro, il D.P.R. n. 131 del 1986, art. 51, stabilisce che, ai fini della determinazione della base imponibile, “si assume come valore dei beni o dei diritti, salvo il disposto dei commi successivi, quello dichiarato dalle parti nell’atto e, in mancanza o se superiore, il corrispettivo pattuito per l’intera durata del contratto. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari e per quelli che hanno per oggetto aziende o diritti reali su di esse, si intende per valore il valore venale in comune commercio. Per gli atti che hanno per oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari l’ufficio del registro, ai fini dell’eventuale rettifica, controlla il valore di cui al comma 1 avendo riguardo ai trasferimenti a qualsiasi titolo e alle divisioni e perizie giudiziarie, anteriori di non oltre tre anni alla data dell’atto o a quella in cui se ne produce l’effetto traslativo o costitutivo, che abbiano avuto per oggetto gli stessi immobili o altri di analoghe caratteristiche e condizioni, ovvero al reddito netto di cui gli immobili sono suscettibili, capitalizzato al tasso mediamente applicato alla detta data e nella stessa località per gli investimenti immobiliari, nonchè ad ogni altro elemento di valutazione, anche sulla base di indicazioni eventualmente fornite dai comuni”.

In caso di compravendita immobiliare, dunque, a parte le eccezioni di cui al D.P.R. cit., art. 52, commi 4 e 5, – che, come precisato nello stesso art., nel successivo comma 5-bis, (introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 23-ter, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006), si applicano alle sole cessioni pei confronti di persone fisiche, che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze – la base imponibile è data dal valore dell’immobile compravenduto, inteso come “valore venale in comune commercio”.

Nel determinare tale valore gli interpreti hanno subito fatto riferimento alla nozione di “valore normale”, fornita dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 9, comma 3, in materia di imposte sui redditi.

Per evitare valutazioni difformi nel territorio nazionale, la L. n. 296 del 2006, art. 1, comma 307, (legge finanziaria per il 2007) ha previsto l’adozione di un apposito provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate, al fine dr determinare modalità e criteri per la definizione del “valore normale” dei fabbricati da parte degli Uffici finanziari.

E’ così intervenuto il provvedimento direttoriale del 27 luglio 2007, ove, all’art. 1, è stato stabilito che “Ai fini della uniforme e corretta applicazione delle norme di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, comma 3, al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, e al testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 52, i criteri utili per la determinazione periodica del valore normale dei fabbricati ai sensi del citato decreto n. 633 del 1972, art. 14, del testo unico delle imposte sui redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 9, comma 3, e del citato decreto n. 131 del 1986, art. 51, comma 3, sono stabiliti sulla base dei valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare dell’Agenzia del Territorio e di coefficienti di merito relativi alle caratteristiche che influenzano il valore dell’immobile, integrati dalle altre informazioni in possesso dell’Ufficio”.

I valori dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) sono quotazioni immobiliari che l’Agenzia delle Entrate pubblica con cadenza semestrale.

L’Osservatorio, di fatto, è una banca dati, che mette a disposizione le quotazioni immobiliari di tutto il territorio nazionale, rilevando ed elaborando dati sul valore di vendita degli immobili, ma anche dei terreni, sul mercato degli affitti e sui tassi di rendita, con riferimento a tutti i comuni del territorio nazionale, per diverse tipologie edilizie, nell’ambito delle destinazioni residenziali, commerciali, terziarie e produttive.

In sostanza, le quotazioni OMI esprimono un intervallo di valori, tra un minimo e un massimo, per unità di superficie, riferite ad unità immobiliari “ordinarie” e tipizzate, classificate in una determinata tipologia edilizia e situate in un ambito territoriale omogeneo.

Sulla base di quanto appena evidenziato, ai fini della rettifica, l’Ufficio deve pertanto verificare scostamenti tra il valore dichiarato nell’atto e i dati OMI e, successivamente, prendere in considerazione elementi ulteriori di confronto e fattori che ne possono determinare scostamenti del valore di segno positivo ma, anche, negativo.

La sola differenza rispetto ai valori riconducibili alle quotazioni OMI non è però sufficiente a far ritenere che il valore dichiarato nell’atto registrato non corrisponda al valore venale del bene.

Il valore del bene rilevante ai fini dell’imposta e cioè, come sopra evidenziato, il “valore venale in comune commercio” non corrisponde automaticamente al “valore normale” dello stesso.

Si deve, infatti, tenere presente che, in materia di redditi d’impresa, la L. n. 88 del 2009, art. 24, comma 5, ha modificato il testo del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea, eliminando la presunzione legale relativa (introdotta dal D.L. n. 223 del 2006, art. 35, comma 3, conv. con modif. in L. n. 248 del 2006), di corrispondenza del corrispettivo della cessione di beni immobili al “valore normale” degli stessi (così ripristinando il precedente quadro normativo in base al quale, in generale, l’esistenza di attività non dichiarate può essere desunta “anche sulla base di presunzioni semplici, purchè siano gravi, precise e concordanti”).

L’accertamento del maggior reddito derivante dalla cessione ora non può essere fondato sulla sussistenza di uno scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il “valore normale” del bene risultante dalle quotazioni OMI, richiedendo la sussistenza di ulteriori elementi indiziari gravi, precisi e concordanti (così Cass., Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017 e Cass., Sez. 5, n. 2155 Al 25/01/2019).

Questo stesso principio, con orientamento condiviso, è stato applicato anche all’imposta di registro, sempre con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto dell’Unione Europea (Cass., Sez. 5, n. 11439 dell’11/05/2018; Cass. Sez. 5, n. 21813 del 07/09/2018; Cass., Sez. 5, n. 7655 del 02/04/2020).

Si è così ritenuto che le quotazioni OMI, risultanti dal sito web dell’Agenzia delle entrate, non costituiscono una fonte tipica di prova del “valore venale in comune commercio” del bene oggetto di accertamento, ai fini dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale, perchè sono idonee a condurre ad indicazioni di valore di larga massima (Cass., Sez. 6-5, n. 25707 del 21/12/2015).

Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili del medesimo comune, non è quindi sufficiente per giustificare la rettifica del valore dell’immobile, tenuto conto che quest’ultimo può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonchè lo stato delle opere di urbanizzazione.

3.2. In sintesi, la rettifica dell’imposta di registro non può essere fondata esclusivamente sullo scostamento tra il corrispettivo dichiarato nell’atto di compravendita ed il valore del bene risultante delle quotazioni OMI – perchè queste ultime non costituiscono la di prova del “valore venale in comune commercio” del bene, ma si limitano a fornire indicazioni di massima – dovendo esserè effettuata in base a presunzioni gravi, precise e concordanti (v. Cass., Cass. Sez. 5, n. 21813 del 07/09/2018 e, da ultimo, Cass., Sez. 5, n. 17005 del 13/08/2020).

Tra gli elementi di valutazione, possono, certo, rientrare anche le quotazioni OMI, ma devono essere corroborate da ulteriori indizi rilevanti, onde non incorrere nel divieto di presumptio de presumpto (cfr. Cass., Sez. 5, n. 2155 del 25/01/2019 e Cass., Sez. 5, n. 9474 del 12/04/2017).

Ovviamente l’onere della prova della sussistenza in concreto dei presupposti della rettifica operata spetta all’Amministrazione, mentre al contribuente spetta contrapporre altri elementi, sulla base del medesimo criterio utilizzato dall’Amministrazione di altri parametri (cfr. Cass., Sez. 6-5, n. 11560 del 06/06/2016 e Cass., Sez. 6 – 5, n. 11270 del 09/05/2017).

3.3. Nel caso di specie, parte ricorrente ha allegato di avere supportato le risultanze OMI con un altro elemento di valutazione, dato dall’intervenuta definizione con adesione dell’accertamento di valore di un altro immobile di proprietà della Generali Properties s.p.a.” sito nella stessa (OMISSIS), e venduto nello stesso anno. L’acquirente del bene aveva aderito alla determinazione del valore di Euro 3.000,00 il mq (mentre l’immobile in questione era stato venduto ad un prezzo di poco meno di Euro 2.000,00 il mq).

Come tuttavia emerso dalla sentenza impugnata, e noti contestato dalla parte ricorrente, l’immobile in questione non era un appartamento (categoria catastale A/2), ma un ufficio (categoria catastale A/10), ed era libero, mentre l’immobile per cui è causa è occupato, in quanto condotto in locazione (p. 4 della sentenza impugnata).

Tali elementi sono estremamente rilevanti e non consentono di equiparare l’immobile in questione a quello appena richiamato.

Non può, dunque, ritenersi che la valutazione operata dall’Amministrazione sia retta da presunzioni gravi precisi e concordanti. Come sopra illustrato, le risultanze OMI non possono ritenersi tali e neppure l’intervenuta definizione con adesione di terzi, riguardante l’altro immobile, essendo troppe, e rilevanti, le diversità riscontrate.

4. In conclusione, il ricorso deve essere respinto.

5. La statuizione sulle spese, liquidate in dispositivo, segue la soccombenza.

6. Non opera il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo la parte soccombente un’Amministrazione pubblica, difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato e ammessa al patrocinio a spese dello Stato (v. da ultimo Sez. 5, n. 22646 del 11/09/2019).

PQM

la Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali sostenute dalla contribuente che liquida in Euro 7.000,00, oltre rimborso forfettario e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V Sezione civile della Corte suprema di Cassazione, il 4 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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