Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5157 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 5157 Anno 2018
Presidente: VIVALDI ROBERTA
Relatore: SAIJA SALVATORE

CC

ORDINANZA

sul ricorso 17321-2014 proposto da:
CONSORZIO AUTOTRASPORTATORI BOARIO CABO in persona
del presidente del consiglio di amministrazione
legale rappresentante pro tempore LANZANOVA PIETRO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLA GIULIANA
63, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO GARATTI,
che la rappresenta e difende giusta procura speciale
a margine del ricorso;
– ricorrente contro

CONSORZIO TRASPORTATORI RIUNITI CTR in persona del
legale rappresentante il Presidente LUIGI SCHIAVETTO,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE PARIOLI 43,

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Data pubblicazione: 06/03/2018

presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO D’AYALA
VALVA,

rappresentato

e

difeso

dagli

avvocati

FRANCESCO CARETTA, MARIO BELLICINI giusta procura
speciale in calce al ricorso notificato;
– controricorrente –

di BRESCIA, depositata il 08/01/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 23/11/2017 dal Consigliere Dott.
SALVATORE SAIJA;

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avverso la sentenza n. 40/2014 della CORTE D’APPELLO

N. 17321/14 R.G.

FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 7.5.2010, respinse la domanda
proposta dal Consorzio Autotrasportatori Boario (di seguito, C.A.B0.) nei
confronti del Consorzio Trasportatori Riuniti (di seguito, C.T.R.), per la

contratto inter partes del 31.12.2002 (avente ad oggetto la cessione di una
quota dei servizi di autotrasporto franco destino commissionati all’odierno
ricorrente dalla società Italaquae s.p.a.), esercitato con dichiarazione del
17.1.2005, con conseguente condanna del convenuto al risarcimento dei danni
patiti, previa condanna all’esecuzione del contratto stesso. Rilevò il Tribunale
che, alla luce del disposto dell’art. 1569 c.c., applicabile nella specie per il
richiamo di cui all’art. 1677 c.c., non essendo stato pattuito il termine del
preavviso del recesso, quello in concreto osservato dal C.T.R., pari a 30 giorni,
poteva considerarsi congruo.
Proposto gravame dal C.A.B0., la Corte d’appello di Brescia lo rigettò con
sentenza del 8.1.2014, confermando la prima decisione.
Il C.A.B0. ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi. Resiste con
controricorso il C.T.R. Nell’interesse di quest’ultimo, con nota pervenuta il
5.10.2017, s’è infine costituito un nuovo procuratore.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1 – Con il primo motivo, deducendo “violazione degli artt. 183 e 184 c.p.c., in
relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. ed occorrendo dell’art. 360 n. 3 e n. 5 c.p.c.”,
si rileva che la Corte d’appello, in riferimento alla denunciata carenza
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declaratoria dell’illegittimità del recesso unilaterale di quest’ultimo dal

N. 17321/14 R.G.

d’istruttoria da parte del primo giudice (che aveva omesso l’esame di elementi
probatori ritenuti decisivi, come da istanze contenute nella memoria istruttoria
del 9.5.2007), ha concordato sul giudizio di irrilevanza, omettendo però di
fornire una motivazione “sufficiente”.

artt. 1375 e 1175 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. ed occorrendo n. 5
c.p.c.”, si censura ulteriormente la decisione impugnata perché il recesso
unilaterale è istituto di carattere eccezionale e non può essere arbitrario:
spetta al giudice valutare se, per le modalità concrete, il recesso sia frutto di
abuso del diritto, ovvero sia stato esercitato nel rispetto dei principi generali di
correttezza e buona fede. Erra quindi la Corte d’appello quando afferma che il
termine di trenta giorni è congruo, perché non ha tenuto conto della
documentazione prodotta dal C.A.B0., da cui si evince che il recesso è del tutto
privo di giustificazione, nonché foriero di danni.
2.1 – Preliminarmente, deve rilevarsi l’inammissibilità della costituzione di
nuovo procuratore del C.T.R. Infatti, è consolidato l’orientamento di questa
Corte secondo cui, avuto riguardo ai giudizi iniziati prima del 4.7.2009, come
nella specie, “Nel giudizio di cassazione, la procura speciale può essere
rilasciata a margine o in calce solo del ricorso o del controricorso trattandosi
degli unici atti indicati, con riferimento al giudizio di legittimità, dall’art. 83,
terzo comma, cod. proc. civ., sicché, ove non sia rilasciata in occasione di tali
atti, il conferimento deve avvenire, ai sensi del secondo comma del citato
articolo, con atto pubblico o con scrittura privata autenticata che facciano
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1.2 – Con il secondo motivo, deducendo “violazione dell’art. 1569 c.c. e degli

N. 17321/14 R.G.

riferimento agli elementi essenziali del giudizio, quali l’indicazione delle parti e
della sentenza impugnata, senza che ad una diversa conclusione possa
pervenirsi nel caso in cui sopraggiunga la sostituzione del difensore” (così, ex
multis,

Cass. n. 13329/2015). Pertanto, poiché la procura allegata alla

di detti requisiti e il giudizio di primo grado è iniziato nel 2005, essa va
considerata tamquam non esset.
3.1 – Ciò posto, il primo motivo è inammissibile, per almeno tre concorrenti
ragioni. Invero, a parte l’inconferente richiamo agli artt. 183 e 184 c.p.c. (sulla
cui pretesa violazione il ricorrente non spende alcun argomento), ci si lamenta
della mancata valutazione da parte della Corte del merito (che ha condiviso la
valutazione del giudice di primo grado) di una serie di elementi istruttori
indicati dal C.A.B0. nella memoria del 9.5.2007, senza però che ne venga
riprodotto (neanche per riassunto) il contenuto, e ciò in violazione del disposto
di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c.
Inoltre, è evidente che la censura svolta dal ricorrente attiene espressamente
ad una presunta insufficienza della motivazione (basti considerare il tenore
della giurisprudenza di legittimità invocata), vizio non più denunciabile in sede
di legittimità ai sensi del “nuovo” art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.
Infine, il C.A.B0. mostra di non aver colto la ratio decidendi della sentenza
impugnata, perché la Corte d’appello ha ribadito il giudizio di irrilevanza dei
mezzi istruttori in questione, rilevando (a torto o a ragione, non importa) che
“l’oggetto della causa non può che vertere sulla congruità o meno del termine
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comparsa di costituzione del nuovo procuratore, avv. Giampiero Maffi, è priva

N. 17321/14 R.G.

del preavviso”. Sul punto, il C.A.B0. non ha mosso alcuna specifica censura:
anzitutto, non ha rilevato che, in base alla tesi attorea originariamente
propugnata, l’oggetto del contendere era ben diverso, perché esso ricorrente
aveva dapprima sostenuto l’illegittimità del recesso in quanto “privo di ogni

caso, non ha spiegato il perché – qualora l’oggetto della causa fosse stato
effettivamente quello ritenuto dalla Corte – le istanze istruttorie in questione
mantenevano comunque la loro rilevanza.
4.1 – Anche il secondo motivo è inammissibile. Per quanto la questione della
violazione del principio di correttezza e buona fede, contrariamente a quanto
sostenuto dal controricorrente, non possa dirsi nuova, perché dalla
ricostruzione delle vicende processuali effettuata dalla Corte d’appello si evince
il contrario, anche in tal caso il C.A.B0. non ha colto la ratio decidendi, per
considerazioni analoghe a quelle espresse riguardo al primo motivo.
Infatti, riguardo all’esercizio del potere di recesso unilaterale, la Corte
bresciana ha rilevato che: a) esso, ai sensi dell’art. 1569 c.c., è sempre
possibile; b) il primo giudice aveva ritenuto congruo, in relazione alle
circostanze del caso in esame, il termine di 30 giorni in concreto osservato dal
C.T.R.; c) il C.A.B0., pur negando la congruità del detto termine, non aveva
neanche allegato, né provato, quale fosse invece il termine ritenuto congruo;
d) in tale evenienza, qualunque diversa determinazione avrebbe assunto i
connotati dell’arbitrarietà; e) ogni questione ulteriore, come quella dell’abuso
del diritto, era irrilevante.
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giustificazione” (v. sentenza impugnata, p. 4); in secondo luogo, ed in ogni

N. 17321/14 R.G.

In proposito, il ricorrente si dilunga in una illustrazione del principio di buona
fede oggettiva, alla luce del quale leggere il recesso operato dal C.T.R., ma non
censura specificamente nessuno degli snodi essenziali della decisione prima
riassunti, se non assai genericamente quello sub b) (ossia, quello della ritenuta

prodotta, “è palese e pacifico che il preavviso di 30 giorni, oltre ad essere stato
privo di qualunque giustificazione, ha creato notevoli danni …” (v. ricorso, p.
12).
Insomma, a fronte del pur chiaro percorso argomentativo seguito dalla Corte
d’appello – che, nel solco della decisione di primo grado, ha ritenuto che
l’oggetto della controversia concernesse non già l’illegittimità

tout court del

recesso, bensì quello della congruità del termine – il ricorrente ha continuato a ;spendere gli argomenti originariamente proposti, senza percepire fino in fondo
l’opzione interpretativa della domanda svolta dai giudici di merito e senza
quindi coglierne le implicazioni sul contenuto della decisione: da qui il difetto di
specificità delle censure e, quindi, l’inammissibilità del motivo in esame.
5.1 – In definitiva, il ricorso è inammissibile. Le spese di lite del giudizio di
legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al
30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art.13, comma 1 quater,
del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
legge 24 dicembre 2012, n. 228).

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congruità del termine), limitandosi a rilevare che, dalla documentazione

N. 17321/14 R.G.

P.Q.M.
dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente alla rifusione delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in C 6.000,00 per compensi ed C
200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario spese generali in misura del 15%,

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228), si dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il

oltre accessori di legge.

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