Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5155 del 06/03/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 5155 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: RUBINO LINA

ORDINANZA

sul ricorso 11850-2015 proposto da:
KOVAVIC

ROBERT,

CANTE

XENIA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA FRANCESCO SIACCI, 38, presso
lo studio dell’avvocato ALESSANDRO GIUSSANI,
rappresentati e difesi dall’avvocato ALESSANDRO TUDOR
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrenti contro

PASSIONI

RENATO,

SIRACO

ANGELA,

elettivamente

domiciliati in ROMA, V.PANARO li, presso lo studio
dell’avvocato MARIA ELISABETTA RENDE, rappresentati e
difesi dall’avvocato FURIO STRADELLA giusta procura a
margine del controricorso;

Data pubblicazione: 06/03/2018

- controricorrenti

avverso la sentenza n. 650/2014 della CORTE D’APPELLO
di TRIESTE, depositata il 31/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 10/10/2017 dal Consigliere Dott. LINA

RUBINO;

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R.G. 11850\ 2015

RAGIONI IN FATTO E IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Robert Kovacic e Xenia Cante propongono ricorso per cassazione articolato in
due motivi, nei confronti di Renato Passioni e di Angela Siraco, per la cassazione
della sentenza n. 650\2014 depositata il 31 ottobre 2014 dalla Corte d’Appello

Rappresentano di aver convenuto in giudizio i controricorrenti, proprietari di un
immobile confinante col loro, essendo le due proprietà divise da un muro di
contenimento a secco, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali riportati
a seguito del crollo parziale del muro divisorio, di proprietà esclusiva dei
convenuti, all’interno della loro proprietà, avvenuto nella loro ricostruzione per
esclusiva responsabilità dei convenuti proprietari del fondo confinante i quali,
pur avvisati dagli attori dello sgretolamento del muro in atto, non si erano attivati
in alcun modo per evitare il verificarsi del danno.
Il Tribunale di Trieste accoglieva in parte la domanda risarcitoria degli odierni
ricorrenti, previa riconduzione dell’ipotesi risarcitoria all’art. 2053 c.c. 8 danno
da rovina di edifici), escludendo che i convenuti avessero fornito idonea prova
del caso fortuito, che essi avrebbero voluto ricondurre al comportamento tenuto
dagli stessi danneggiati, e condannava la controparte a risarcire loro i danni nella
misura di 6000 euro.
La Corte d’Appello concorda con il primo giudice sulla responsabilità dei
proprietari del muro, ritenendo che essi non avessero in alcun modo assolto
all’onere di dimostrare che il crollo fosse stato diretta ed esclusiva conseguenza
di un comportamento degli appellanti, ma, in parziale accoglimento dell’appello
dei Passioni, riduceva l’importo ad euro 3.500,00, rigettando l’appello incidentale
dei Kovacic volto ad ottenere un importo più elevato, e compensava le spese di
entrambi i gradi di merito.
Al ricorso dei signori Kovacic e Cante resistono i coniugi Passioni e Siraco con
controricorso.
Non sono state depositate memorie.
La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.
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di Trieste, non notificata.

Con il

primo motivo , i ricorrenti assumono la violazione dell’art. 1227 c.c. ,

nonchè degli artt.1175, 1176 e 2729 c.c. e degli artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto
la corte d’appello, pur avendo escluso una qualsiasi loro responsabilità nel crollo
del muro, avrebbe ridotto l’importo loro liquidato in primo grado
illegittimamente, prendendo in considerazione il comportamento da essi tenuto
in corso di causa, dopo l’instaurazione del giudizio di primo grado, e

responsabilità concorrente ex art. 1227 c.c.
Il motivo è infondato, ai limiti dell’inammissibilità.
I ricorrenti rivolgono alla sentenza impugnata critiche sull’apprezzamento dei
fatti in essa contenuto e non sui principi di diritto utilizzati per decidere, facendo
diretto richiamo ad atti e documenti prodotti nel giudizio di merito al fine di
contrapporre una diversa interpretazíone dei fatti e del loro stesso
comportamento processuale rispetto alla interpretazione data dalla corte
d’appello.
Nella sentenza impugnata, la corte territoriale ha ridotto l’importo liquidato in
primo grado in via equitativa stimando che il danno effettivamente conseguito
dagli appellati fosse inferiore a quanto liquidato in primo grado, con valutazione
in fatto non in questa sede rinnovabile, all’interno della quale essa ha tenuto
conto, come indice comportamentale indicativo del danno effettivamente subito,
anche del comportamento processuale degli odierni ricorrenti, che non avevano
consentito l’accesso nel loro fondo per verificare i danni e per asportare i massi
caduti, ritenendolo eccessivamente non collaborativo e tale da fornire elementi
nel senso che il danno effettivamente patito, connesso anche al ritrovarsi il
terreno ingombro da massi che i ricorrenti avevano mostrato non aver alcuna
urgenza di rimuovere, fosse meno significativo rispetto a quanti apprezzato in
primo grado. Essa attribuisce rilievo a tale comportamento – attinente non alla
prima fase, di messa in sicurezza dell’immobile, ma al comportamento
successivo, tenuto durante il processo – non in termini di condotta contraria al
principio di adoperarsi per contenere il danno, o di concorso causale nella sua
provocazione, come ritenuto dai ricorrenti con il riferimento alla violazione
dell’art. 1227 c.c., ma come chiara manifestazione del loro disinteresse rispetto
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qualificandolo come atteggiamento ostruzionistico, idoneo a fondarne una

alla permanenza del materiale crollato nel loro terreno, traendone una
conclusione in termini di scarsa rilevanza, per gli stessi danneggiati, della non
fruibilità del terreno perché occupato dai massi caduti, da tenere in conto ai fini
della liquidazione equitativa del danno subito.
Con il secondo motivo, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 91 e 92
c.p.c laddove la corte avrebbe illegittimamente, sulla base di una soccombenza

Segnalano inoltre che la corte d’appello non avrebbe tenuto in alcun conto
l’integrale rigetto della ben più cospicua domanda riconvenzionale dei Passioni.
Il motivo è infondato.
I ricorrenti in appello sono stati integralmente soccombenti, quindi non possono
legittimamente invocare la violazione, da parte del giudice di merito, dell’art. 91
c.p.c., laddove egli ha ritenuto di applicare, nei loro confronti, rispetto alla regola
generale dettata dal principio di soccombenza, la più favorevole compensazione
in conseguenza della soccombenza reciproca.
Per quanto concerne la decisione sulla compensazione delle spese di primo
grado, in base al regime pro tempore applicabile, occorre far riferimento al testo
dell’art. 92 con le modifiche apportate dall’art. 2, comma 1, lett. a), L. 28
dicembre 2005, n. 263,che introducono una locuzione aggiuntiva, la quale
stabilisce che i “giusti motivi” per i quali al giudice di merito è consentito disporre
la compensazione devono essere “esplicitamente indicati nella motivazione”.
Nessun altro obbligo aveva il giudice se non quello di indicare quali fossero i
motivi che lo hanno indotto a questa decisione, obbligo che non risulta essere
stato violato in quanto, a pag. 43 della sentenza impugnata la corte d’appello dà
ampio conto del fatto che l’esito del giudizio – che ha visto l’accoglimento della
originaria pretesa degli attori-appellati limitatamente ad un importo largamente
inferiore a quanto dagli stessi richiesto – nonché la soccombenza reciproca delle
parti in relazione a tutte le ulteriori domande svolte, unitamente alla particolare
complessità della vicenda le fa ritenere sussistenti i presupposti per la integrale
compensazione.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.

i
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reciproca che non ritengono ravvisabile, compensato le spese dei gradi di merito.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio
2013, e la parte ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravata dell’obbligo
di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater
del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.

sostenute dalla parte controricorrente, che liquida in complessivi euro 2.500,00
oltre 200,00 per esborsi, contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della parte
ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale.
Così deciso nella camera di consiglio della Corte di cassazione il 10 ottobre 2017
Il Pr sidente
A elo

La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico dei ricorrenti le spese di giudizio

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