Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5154 del 28/02/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 07/12/2016, dep.28/02/2017),  n. 5154

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrico – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 20112/2011 R.G. proposto da:

Pioneer Global Asset Management s.p.a., rappresentata e difesa dagli

Avv.ti Zoppini Giancarlo, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe

Pizzonia, presso il cui studio in Roma alla via della Scrofa n. 57

è elettivamente domiciliata, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Equitalia Nord s.p.a., rappresentata e difesa dall’Avv. Giuseppe

Fiertler, elettivamente domiciliata in Roma alla via Federico Cesi

n. 21 presso lo studio dell’Avv. Salvatore Torrisi, per procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

generale dello Stato, presso i cui uffici in Roma alla via dei

Portoghesi n. 12 domicilia ex lege;

– resistente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Lombardia n. 6/44/11 depositata il 19 gennaio 2011.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 dicembre 2016

dal Consigliere Enrico Carbone.

Udito l’Avv. Giuseppe Russo Corvace per la ricorrente.

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Del Core Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Su ricorso della Pioneer GAM s.p.a., la Commissione Tributaria Provinciale di Milano annullava il ruolo n. 2008/450227 e la cartella di pagamento n. (OMISSIS) emessi per recupero IRES anno d’imposta 2004 nei confronti della società italiana quale controllante di due società estere residenti in territori a fiscalità privilegiata.

La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia accoglieva l’appello dell’Agenzia delle entrate, riformava la sentenza di primo grado e respingeva l’impugnazione di ruolo e cartella.

La società contribuente ricorre per cassazione sulla base di nove motivi.

L’agente della riscossione Equitalia Nord s.p.a. (già Equitalia Esatri s.p.a.) resiste mediante controricorso.

L’Agenzia delle entrate ha depositato “atto di costituzione” ai fini della discussione orale.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., n. 4 per non aver il giudice di appello rilevato l’inammissibilità del gravame da acquiescenza impropria.

L’appello sarebbe stato inammissibile perchè rivolto contro una sola delle rationes decidendi della sentenza di primo grado, quella relativa all’infondatezza della pretesa fiscale, e non anche contro l’altra, relativa all’improprio utilizzo della procedura di controllo automatizzato.

1.1. Il motivo è infondato.

L’acquiescenza impropria ex art. 329 c.p.c., comma 2, postula la completa autonomia tra le diverse parti della decisione, essa non operando quando tra la parte impugnata e la parte non impugnata ricorra una sequenzialità logica (Cass. 13 febbraio 2001, n. 2062, Rv. 543822; Cass. 6 agosto 2002, n. 11790, Rv. 556729; Cass. 7 gennaio 2008, n. 33, Rv. 601561).

Nella specie, la questione dell’infondatezza della pretesa fiscale in rapporto all’aliquota applicata e la questione dell’improprio utilizzo della procedura automatizzata in rapporto ai dubbi sull’aliquota applicata sono tutt’altro che autonome l’una dall’altra, essendo piuttosto derivazioni logiche di un’identica questione – madre (scilicet, la questione dell’aliquota applicabile).

2. Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 36 bis e 42.

Il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare che l’amministrazione finanziaria non poteva avvalersi della procedura automatizzata e doveva invece notificare l’ordinario avviso di accertamento, atteso il dubbio interpretativo ricorrente sull’aliquota applicabile.

2.1. Il motivo è infondato.

Per il combinato disposto del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 – bis e L. n. 212 del 2000, art. 6, la presenza di incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione non esclude l’impiego della procedura automatizzata, ma solo impone l’instaurazione del contraddittorio prima dell’iscrizione a ruolo (Cass. 25 maggio 2012, n. 8342, Rv. 622681; Cass. 8 luglio 2014, n. 15584, Rv. 631667).

Nella specie, è pacifico che la verifica abbia avuto natura cartolare, riguardando la dichiarazione dei redditi (modello Unico 2005), e che la società contribuente abbia ricevuto l’invito a contraddire.

3. Il terzo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3, L. n. 212 del 2000, artt. 7 e 17, D.P.R. n. 602 del 1973, art. 25.

Il giudice di appello avrebbe dovuto rilevare che la cartella di pagamento era priva della diffusa motivazione richiesta dalla sua natura di atto amministrativo.

3.1. Il motivo è infondato.

La cartella di pagamento emessa all’esito del controllo formale può essere motivata col semplice richiamo alla dichiarazione fiscale, in quanto il contribuente è naturalmente in grado di conoscere gli estremi della pretesa tributaria, perchè fondata sulla dichiarazione da lui stesso redatta (Cass. 28 novembre 2014, n. 25329, Rv. 633304; Cass. 27 luglio 2016, n. 15564, Rv. 640655).

Nella specie, la cartella fa testuale riferimento al modello Unico 2005, oggetto del controllo automatizzato, nonchè al ruolo descrittivo delle imposte riprese, sicchè la difesa della contribuente non risulta essere stata in alcun modo compressa e si è potuta invero largamente dispiegare.

4. Il quarto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 3 e L. n. 212 del 2000, art. 7.

Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere che la motivazione della cartella di pagamento fosse integrata dalla comunicazione di irregolarità.

4.1. Il motivo è infondato.

Per quanto detto al p. 3.1., la cartella esattoriale godeva di motivazione autosufficiente, e non necessitava quindi di alcuna relatio integrativa.

5. Il quinto motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, artt. 77 e 167 (ratione temporis, l’art. 77 stabiliva in generale l’aliquota IRES del 33 per cento, mentre l’art. 167 prevedeva che i redditi dell’impresa estera controllata imputati per trasparenza al soggetto residente controllante fossero assoggettati a tassazione separata “con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente e, comunque, non inferiore al 27 per cento”).

Assume la ricorrente che, ove il soggetto residente controllante non avesse un imponibile proprio – come nella specie -, i redditi della controllata estera imputati per trasparenza sarebbero rimasti soggetti all’aliquota minima del 27 per cento, sicchè avrebbe errato il giudice di appello nel convalidare la tesi erariale nel senso dell’applicazione dell’aliquota ordinaria del 33 per cento.

5.1. Il motivo è infondato.

La legislazione fiscale sulle società controllate estere (controlled foreign companies CFC) ha una ratio spiccatamente antielusiva, in quanto la c.d. imputazione per trasparenza richiama alla disciplina tributaria interna redditi anche solo apparentemente prodotti in territori esteri a fiscalità privilegiata.

Per effetto della regola antielusiva (CFC rule), il reddito della controllata estera viene trattato come reddito della controllante domestica, restando quindi assoggettato all’aliquota interna: pro tempore, l’aliquota del 33 per cento.

L’ente controllante che sia in perdita fiscale o senza redditi propri – sprovvisto quindi di una sua “aliquota media” – non può invocare per i redditi esteri imputati in trasparenza l’aliquota del 27 per cento, giacchè in tal modo reclamerebbe un trattamento agevolato.

La misura del 27 per cento è concepita dal legislatore come la soglia minima dell’aliquota media e pertanto non viene in rilievo laddove non vi sia un’aliquota media: unica aliquota applicabile, in tal caso, è l’aliquota ordinaria.

La previsione di una soglia minima dell’aliquota media è un residuo della disciplina dell’imposta duale sul reddito delle società (dual income tax DIT), nel cui regime la concorrenza tra aliquota ordinaria e aliquota agevolata trovava un margine di salvaguardia nell’aliquota minima del 27 per cento (D.Lgs. n. 466 del 1997, art. 1).

Peraltro, seppur molto tempo dopo l’abolizione della DIT, la locuzione rimasta nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 167, (“non inferiore al 27 per cento”) è stata infine sostituita con la dizione “non inferiore all’aliquota ordinaria”: L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 142.

6. Il sesto motivo di ricorso denuncia la nullità della sentenza per omissione di pronuncia ex art. 360 c.p.c., n. 4.

Il giudice di appello non avrebbe pronunciato sull’illegittimità delle sanzioni, irrogate malgrado l’errore incolpevole sul fatto.

6.1. Il motivo è infondato.

La ricorrente assume di aver invocato la scusante dell’errore sul fatto, ma per tale essa intende l’errore sull'”inquadramento della fattispecie” (pag. 85 di ricorso), che viceversa è un errore di diritto nella forma dell’errore di sussunzione.

In realtà, essendo i fatti pacifici, controversa solo l’interpretazione delle norme sull’aliquota, la ricorrente non ha invocato – non avrebbe potuto – l’esimente dell’errore di fatto (D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, comma 1), ma quella dell’incertezza normativa (art. 6, comma 2).

In ordine a quest’ultima, non è mancata la pronuncia del giudice di appello, che ne ha negato la ricorrenza.

7. Il settimo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 6, L. n. 212 del 2000, art. 10, D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 8.

Attesa l’incertezza normativa circa l’aliquota applicabile, il giudice di appello avrebbe mal disconosciuto l’errore di diritto della contribuente, peraltro attenutasi alle istruzioni dell’amministrazione per la compilazione della dichiarazione dei redditi.

7.1. Il motivo è fondato.

Pur dando atto che la società ha osservato “pedissequamente” le istruzioni dell’Agenzia per la compilazione del modello Unico 2005, la sentenza di appello non ha escluso il debito per sanzioni e interessi; in tal modo, ha violato il principio di diritto secondo il quale l’osservanza delle circolari ministeriali – pur non esonerando il contribuente dall’adempimento dell’obbligazione tributaria – esclude l’irrogazione delle sanzioni e la richiesta degli interessi, a tutela dell’affidamento L. n. 212 del 2000, ex art. 10, comma 2, (Cass. 10 settembre 2009, n. 19479, Rv. 609770; Cass. 9 marzo 2012, n. 3757, Rv. 621927; Cass. 18 maggio 2016, n. 10195, Rv. 639903).

8. L’ottavo motivo di ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 25 Cost. e D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, come modificato dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2 conv. L. n. 286 del 2006.

Il giudice di appello avrebbe errato nel ritenere legittima la cartella di pagamento laddove grava sul contribuente un aggio di riscossione determinato in base al più severo regime introdotto nel 2006, quindi in epoca successiva all’anno impositivo di riferimento, applicazione retroattiva incompatibile con la natura “afflittiva” e “sanzionatoria” della nuova disciplina.

8.1. Il motivo è infondato.

L’aggio di riscossione ha natura retributiva, trattandosi del compenso per l’attività esattoriale, e questa natura non muta in base al soggetto – contribuente, ente impositore od entrambi pro quota a carico del quale è posto il pagamento nelle varie circostanze (Cass. 3 aprile 2014, n. 7868, Rv. 630747; Cass. 23 dicembre 2015, n. 25932, Rv. 638287).

Per questa sua invariabile natura retributiva, l’aggio deve essere determinato secondo la disciplina vigente al tempo dell’attività di riscossione, senza che possa farsi questione di (ir)retroattività rispetto all’anno d’imposta cui si riferisce l’iscrizione a ruolo.

Nella specie, la cartella di pagamento è stata formata nel 2008, sicchè era soggetta alla disciplina in vigore dal 2006, anche se i fatti imponibili risalivano al 2004.

9. Il nono motivo di ricorso denuncia l’illegittimità del D.Lgs. n. 112 del 1999, art. 17, modificato dal D.L. n. 262 del 2006, art. 2, conv. L. n. 286 del 2006, per violazione degli artt. 3, 53 e 97 Cost..

Il giudice di appello avrebbe dovuto sollevare questione di legittimità costituzionale della disciplina introdotta nel 2006, perchè essa violerebbe il principio di uguaglianza laddove correla la percentuale dell’aggio all’andamento degli incassi esattoriali nell’ambito territoriale di appartenenza del contribuente; violerebbe altresì il principio di capacità contributiva laddove onera il contribuente pur in assenza di un’attività esattoriale ulteriore alla notifica della cartella e per ciò stesso violerebbe infine il principio di buona amministrazione.

9.1. Il motivo è infondato.

Alcuni giudici di merito non hanno ritenuto manifestamente infondate questioni analoghe all’odierna, risultate poi inammissibili in punto di rilevanza (Corte cost. 21 giugno 2013, n. 158; Corte cost. 9 luglio 2015, n. 147).

Tuttavia, la natura retributiva e non tributaria dell’aggio esclude il parametro della capacità contributiva e lascia alla discrezionalità del legislatore la fissazione dei criteri di quantificazione del compenso, non essendo irragionevole che tra questi sia previsto il criterio territoriale degli indici di esazione, nè che una parte del compenso dell’organizzazione esattoriale sia posta a carico del contribuente il quale pure abbia osservato il termine di pagamento della cartella.

La questione di legittimità costituzionale è, dunque, manifestamente infondata.

10. Il ricorso deve essere accolto quanto al settimo motivo, respinti gli altri; la sentenza deve essere cassata in relazione al motivo accolto; non essendo necessari accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito con l’annullamento di ruolo e cartella limitatamente a sanzioni e interessi moratori.

11. Attesa la novità e complessità delle questioni nonchè la parziale reciprocità della soccombenza, devono essere compensate le spese processuali di merito e legittimità.

PQM

Accoglie il ricorso nel settimo motivo, respinti gli altri; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e – decidendo nel merito annulla ruolo e cartella limitatamente a sanzioni ed interessi, fermo il resto; dichiara compensate le spese processuali di merito e legittimità.

Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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