Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5153 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. trib., 25/02/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 25/02/2021), n.5153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. NONNO G. Maria – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA M. Rosaria – Consigliere –

Dott. GALATI Vincenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

Sul ricorso iscritto al numero 27013 del ruolo generale dell’anno

2013, proposto da:

Distillerie S. s.r.l., in persona del legale rappresentante

pro tempore S.M., rappresentata e difesa, giusta

procura speciale a margine al ricorso, dall’Avv.to Prof. Lupi

Raffaello, dall’Avv.to Lucisano Claudio, dall’avv.to Toniolatti

Paolo, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Lucisano

Claudio, in Roma Via Crescenzio n. 91;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Trentino Alto-Adige, n. 30/02/2013, depositata in data

17 aprile 2013, non notificata;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10

dicembre 2020 dal Relatore Cons. Putaturo Donati Viscido di Nocera

Maria Giulia;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Mucci

Roberto che ha concluso per il rigetto del ricorso;

uditi per la contribuente l’Avv.to Lupi Raffaello, l’Avv.to Lucisano

Claudio e l’Avv.to Toniolatti Paolo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1.Con sentenza n. 30/02/2013, depositata in data 17 aprile 2013, non notificata non notificata, la Commissione tributaria regionale del Trentino-Alto Adige rigettava l’appello proposto da Distillerie S. s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, nei confronti dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 75/04/10 della Commissione tributaria di 1 grado di Trento che aveva rigettato il ricorso proposto dalla suddetta società avverso alcuni avvisi di accertamento, un atto di contestazione e un avviso di irrogazione delle sanzioni con i quali l’Ufficio di Trento, in relazione agli anni 2003-2006, aveva recuperato l’Iva nei confronti di quest’ultima, quale esportatore abituale, in relazione ad assunte operazioni fittizie di esportazione di prodotti alcolici, con indebita utilizzazione del relativo plafond.

2. Il giudice di appello, in punto di fatto, ha premesso che:1) a seguito di procedimento penale a carico, tra l’altro, di S.D., all’epoca legale rappresentante di Distillerie S. s.r.l. (d’ora in poi DS) – conclusosi con sentenza di patteggiamento – nel quale era stata accertata una frode fiscale finalizzata alla riduzione di imponibile da assoggettare alle imposte sui redditi e realizzata attraverso la costituzione di due società, ALLGE AG e VERDE AG, con sede in Lichtenstein, facenti capo all’imputato, alle quali DS, esportatore abituale, vendeva simulatamente prodotti alcolici a prezzi molto bassi, che poi venivano rivenduti, a prezzo di mercato, dalle suddette società estere interposte agli effettivi clienti tedeschi, tramite trasporti organizzati direttamente da DS con automezzi propri, passando per la Svizzera- l’Ufficio di Trento aveva notificato a DS sei atti impositivi recuperando a tassazione l’Iva in relazione a 213 operazioni fittizie di esportazione verso le società del Lichtenstein, con decurtazione delle stesse dal plafond disponibile; 2) avverso gli atti impositivi aveva proposto separati ricorsi la società contribuente chiedendo la declaratoria di inesistenza degli atti per radicale nullità delle notifiche; di illegittimità in quanto fondati su presunzioni semplici e, in subordine, l’applicazione del D.Lgs. n. 4717 del 1997, art. 6, comma 2, previa riqualificazione giuridica della fattispecie; 3) aveva controdedotto l’Ufficio chiedendo la declaratoria di inammissibilità dei ricorsi e, nel merito, di infondatezza; 4) la Commissione tributaria di 1 grado, previa riunione, aveva rigettato i ricorsi ritenendo legittima la pretesa impositiva, sul presupposto – anche alla luce della sentenza di patteggiamento – della rilevata inesistenza soggettiva delle operazioni contestate per simulazione delle vendite alle società estere del Lichtenstein; 5) avverso la sentenza di primo grado aveva proposto appello la società contribuente deducendone la erroneità: a) per non avere il primo giudice correttamente individuato l’oggetto della contestazione dell’Ufficio, ritenendo le società estere “società di fatto, prive di operatività e di consistenza”, trattandosi tuttalpiù di un’ipotesi di interposizione reale, stante la esistenza e concreta operatività delle dette società; b) per non avere la CTP colto la natura delle operazioni in questione, trattandosi di esportazioni o, in subordine, di vendite intracomunitarie “produttive” di corrispondente plafond; c) per avere il giudice di prime cure attribuito efficacia di prova legale alla sentenza penale di patteggiamento; d) per non avere la CTP rilevato la inesistenza della notificazione degli atti impostivi; 6) aveva controdedotto l’Ufficio chiedendo la conferma della sentenza di primo grado.

3. In punto di diritto, per quanto di interesse, la CTR ha osservato che: 1) dalle dichiarazioni rese dall’autista di DS, nel corso del processo penale a carico di S.D., era emerso chiaramente – stante il trasporto delle merci in questione, scortate da tre documenti accompagnatori (uno di esportazione e due di transito comune interno), da parte di D.S. direttamente ai clienti tedeschi passando per la Svizzera – l’inesistenza soggettiva delle società con sede in Lichtenstein, tramite le quali era stata realizzata la simulazione delle vendite con emissione di fatture soggettivamente fittizie; 2) l’interposizione fittizia di tali società estere era stata confermata dalle dichiarazioni di natura confessoria rese dallo stesso S.D. agli inquirenti circa l’avvenuta simulazione delle vendite da DS a ALLGE AG e VERDE AG, due società facenti capo al medesimo, e da quest’ultime alle società tedesche con utilizzo di fatture fittizie compilate direttamente da Se.Da. ;3) tali elementi, acquisiti in sede penale, erano utilizzabili anche nel giudizio tributario, essendo la sentenza penale di patteggiamento basata sugli stessi fatti posti a base dell’accertamento tributario; 4) la sentenza penale costituiva, dunque, “un importante elemento di prova” nel giudizio tributario ma non l’unico sul quale si basava la decisione; 4) le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non potevano costituire plafond, non esistendoci soggetti terzi ed essendo stato S.D., legale rappresentante di DS, artefice esclusivo delle operazioni; 5) le operazioni in questione- in quanto soggettivamente inesistenti tra DS e le società del Lichtenstein – non potevano essere ricondotte a cessioni intracomunitarie tra la società contribuente e gli acquirenti tedeschi, trattandosi di violazioni sostanziali (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 7) e non formali (D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6).

4.Avverso la sentenza della CTR, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui ha resistito, con controricorso, l’Agenzia delle entrate.

5. La causa fissata originariamente in camera di consiglio, all’udienza del 12 novembre 2019 veniva rinviata a nuovo ruolo per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 1414 c.c. per avere la CTR erroneamente qualificato la fattispecie in questione in termini di simulazione per interposizione fittizia, ancorchè, nella specie, dagli stessi elementi evincibili dalla sentenza di appello (vendita della merce da DS alle società del Lichtenstein, sebbene a prezzi irrisori, e rivendita delle merci da parte di queste ultime ai clienti tedeschi a prezzi notevolmente superiori a quelli di acquisto; mancata prova della partecipazione del terzo contraente all’accordo simulatorio; finalità di lasciare una parte dell’utile delle vendite nelle società estere e di godere del regime tributario di favore di quel paese) fosse evidente essersi trattato di interposizione reale di soggetti terzi, stante l’avvenuto trasferimento valido ed efficace a favore delle società interposte sul presupposto che queste ultime si fossero obbligate ad un ulteriore trasferimento a favore dei beneficiari del rapporto; b) del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 per avere il giudice di appello erroneamente affermato che “le fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non (potevano) costituire plafond”, ancorchè DS avesse effettivamente effettuato una cessione all’esportazione in favore delle società estere maturando il diritto al plafond di cui all’art. 8, comma 2, cit.; in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente in relazione alla asserita “inesistenza soggettiva” delle società estere che il giudice di appello aveva tratto avuto riguardo esclusivamente alle dichiarazioni rese dall’autista di DS nell’ambito del procedimento penale, senza considerare i molteplici comprovati indici della esistenza delle dette società (regolare registrazione con propria sede sociale; deposito di bilanci e pagamento delle imposte; disponibilità di propri conti correnti bancari e di magazzini a titolo di locazione; sostenimento dei costi per i trasporti dalla Svizzera alla Germania etc.); in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b), in quanto non applicabile la novella al processo tributario ai sensi dell’art. 54, del comma 3- bis cit.- per avere la CTR, con una insufficiente motivazione, tratto dalla rilevata vendita della merce a prezzi irrisori da DS alle società estere e rivendita da parte di queste ultime ai clienti tedeschi a prezzi notevolmente superiori a quelli di acquisto, un significato estraneo al senso comune ovvero l’inesistenza delle società interposte.

Esclusa l’inammissibilità del motivo per contemporanea deduzione di più vizi tra quelli tassativamente indicati nell’art. 360 c.p.c. stante la separata intellegibile trattazione nell’unico motivo delle diverse censure formulate (e ciò nella prospettiva indicata da Cass., Sez. U., n. 9100 del 2015), i tre sub motivi, che possono essere esaminate congiuntamente stante la loro stretta connessione, sono infondati.

La fattispecie in esame rientra nel fenomeno dell’interposizione, per accertare la quale il giudice di merito deve indicare elementi indizianti coi requisiti della prova presuntiva. Essi sono raggiunti quando o la ricorrenza del fatto ignoto risulti da ragionevole valutazione probabilistica; ovvero quando il fatto o fatti noti siano ben definiti e il giudice di merito si basi anche su un solo elemento grave e preciso e il fatto ignoto sia conseguenza del fatto noto con ragionevole probabilità. Il correlato giudizio di rilevanza dei fatti opera, ovviamente, con valutazione globale che investe i rapporti tra soggetto interponente e soggetto ritenuto interposto, avuto riguardo all’attività svolta da quest’ultimo, ai rapporti con il primo e alla destinazione effettiva delle movimentazioni di danaro. Nell’interposizione reale, diversamente da quella fittizia, non si ha simulazione vera e propria ma l’accordo interno devolve all’interponente gli effetti e i risultati dei negozi con terzi rimasti estranei all’accordo, poichè il soggetto interposto negozia coi terzi a nome proprio e acquisisce effettivamente quanto deriva dal negozio (Cass. n. 12763 del 2016).

Nella specie, il giudice di appello – a fronte della contestazione dell’Ufficio mossa sul presupposto che la società contribuente avesse qualificato come cessioni all’esportazione in sospensione di imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, e, quindi, come vendite con trasferimento di proprietà (di prodotti alcolici), quelle che, invece, dovevano considerarsi “cessioni simulate” per interposizione fittizia delle società estere site nel Lichtenstein, con conseguente irregolare utilizzo delle fatture emesse ai fini della costituzione del plafond per l’effettuazione di acquisti in sospensione di imposta – sulla base di elementi indiziari emersi in sede penale e valutati complessivamente – quali le dichiarazioni dell’autista di DS in ordine al trasporto diretto della merce in questione da DS in Germania, passando per la Svizzera, delle dichiarazioni di Diego S., legale rappresentante di DS, in ordine alla personale redazione di fatture fittizie, anche per conto delle società estere del Lichtenstein, operanti quali soggetti interposti nonchè la sentenza penale di patteggiamento nei confronti di Diego S., in ordine agli stessi fatti sui quali si basava l’accertamento tributario, considerata “un importante elemento di prova” – ha correttamente sussunto la fattispecie in questione nello schema dell’interposizione fittizia soggettiva e, dunque, “della simulazione nei rapporti” tra la società contribuente e le società estere, con conseguente ritenuta indebita utilizzazione di plafond Iva per merci esportate; ciò, peraltro, in ossequio anche alla giurisprudenza di legittimità in tema di rilevanza probatoria della sentenza penale di “patteggiamento” nel giudizio tributario secondo cui “la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. “patteggiamento”) costituisce indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito, il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilità ed il giudice penale vi abbia prestato fede. Detto riconoscimento, pertanto, pur non essendo oggetto di statuizione assistita dall’efficacia del giudicato, ben può essere utilizzato come prova dal giudice tributario nel giudizio di legittimità dell’accertamento” (da ultimo, Cass. Sez. 5 -, Ord. n. 13034 del 24/05/2017, in applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza della Commissione tributaria centrale che aveva ritenuto ininfluente, ai fini della prova a carico del contribuente, la sentenza di patteggiamento emessa in sede penale nei suoi confronti per gli stessi fatti oggetto della pretesa tributaria).

Priva di pregio è anche la censura di assunta nullità della sentenza impugnata per motivazione apparente in relazione alla asserita “inesistenza soggettiva” delle società estere, in quanto, da un lato, non coglie la ratio decidendi, per avere la CTR fondato la decisione non solo sulle risultanze delle dichiarazioni dell’autista di DS ma anche su quelle rese agli inquirenti da Diego S. circa la fittizietà delle fatture nonchè sulla sentenza di patteggiamento in ordine ai medesimi fatti posti a fondamento dell’accertamento tributario, dall’altro, chiara è la ratio decidendi della sentenza impugnata, avendo la CTR, con una valutazione complessiva di una serie di elementi indiziari, ritenuto comprovata la simulazione dei rapporti per interposizione fittizia soggettiva delle società estere con utilizzo di fatture fittizie al solo fine di permettere alla società contribuente di usufruire indebitamente del regime proprio delle cessioni all’esportazione in sospensione di imposta D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 8, chiaramente fondato la decisione di legittimità degli atti impositivi sulla riscontrata violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, il che porta ad escludere il denunciato vizio di motivazione omessa o apparente avendo, al riguardo, questa Corte chiarito che “l’inosservanza dell’obbligo di motivazione integra violazione della legge processuale, denunciabile con ricorso per cassazione, solo quando si traduca in mancanza della motivazione stessa (con conseguente nullità della pronuncia per difetto di un indispensabile requisito di forma), e cioè nei casi di radicale carenza di essa o del suo estrinsecarsi in argomentazioni non idonee a rivelare la ratio decidendi (cosiddetta motivazione apparente) o fra loro logicamente inconciliabili o comunque perplesse ed obiettivamente incomprensibili. (Cass., sez. un., n. 23832 del 2004; Cass. n. 25972 del 2014). Questa Corte ha, altresì, precisato che “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da “error in procedendo”, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture” (Cass., sez. un., n. 22232 del 2016; conf. Cass. n. 1756 del 2006, n. 16736 del 2007, n. 9105 del 2017, secondo cui ricorre il vizio di omessa motivazione della sentenza, nella duplice manifestazione di difetto assoluto o di motivazione apparente, quando il Giudice di merito ometta di indicare, nella sentenza, gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento ovvero indichi tali elementi senza una approfondita disamina logica e giuridica, rendendo in tal modo impossibile ogni controllo sull’esattezza e sulla logicità del suo ragionamento; da ultimo, Cass. n. 326 del 2018). Nella specie, le considerazioni svolte dalla CTR nella motivazione della sentenza, sono tali da disvelare quale sia la ratio decidendi e l’iter logico seguito per pervenire al risultato enunciato, tendendo ogni altra argomentazione sottesa alla proposta censura ad una inammissibile rivalutazione di fatti e risultanze probatorie come accertate dal giudice di appello.

Inammissibile è poi la censura relativa all’assunta “insufficiente motivazione” di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 nella versione anteriore alle modifiche di cui al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b); ciò in quanto, nella specie, trattasi di sentenza di appello depositata in data 17 aprile 2013 e, come tale, soggetta all’applicazione della nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; il che non può essere escluso in forza del preteso art. 54, comma 3-bis, cit., avendo questa Corte, a sezioni unite, nelle sentenze n. 8053 e n. 8054 del 2014 già chiarito che “Le disposizioni sul ricorso per cassazione, di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, circa il vizio denunciabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed i limiti d’impugnazione della “doppia conforme” ai sensi dell’art. 348-ter c.p.c., u.c., si applicano anche al ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale, atteso che il giudizio di legittimità in materia tributaria, alla luce del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 62, non ha connotazioni di specialità. Ne consegue che il D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3-bis, quando stabilisce che “le disposizioni di cui al presente articolo non si applicano al processo tributario di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546″, si riferisce esclusivamente alle disposizioni sull’appello, limitandosi a preservare la specialità del giudizio tributario di merito”.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 per avere la CTR erroneamente escluso in capo alla società contribuente il diritto al plafond anche se costituiva circostanza pacifica l’effettiva uscita della merce dal territorio della Comunità economica Europea (stante l’avvenuto trasporto dei prodotti in svizzera con tre documenti accompagnatori uno di esportazione e due di transito comune di merce interna).

Il motivo è inammissibile non essendo attinente al decisum, avendo la CTR fondato la decisione circa l’indebito utilizzo da parte della società contribuente del plafond Iva sul presupposto che, nella specie, si fosse trattato – in disparte il trasporto dei prodotti “passando per la Svizzera” e, dunque, l’uscita di questi dal territorio della Comunità economica Europea – di cessioni fittizie all’esportazione stante la riscontrata simulazione dei rapporti per interposizione fittizia soggettiva delle società estere e utilizzo di fatture fittizie.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 la violazione e falsa applicazione del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8 per avere la CTR erroneamente negato il diritto al plafond in capo alla contribuente non ravvisando, anche nel caso di inesistenza soggettiva delle operazioni tra DS e le società estere, delle operazioni intracomunitarie tra DS e gli acquirenti tedeschi, smontando una realtà unitaria in due eventi contraddittori, da un lato, la cessione fittizia all’esportazione da DS verso le società estere e, dall’altro, la rivendita fittizia dalle società estere ai clienti tedeschi.

Anche questa censura non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata per avere il giudice di appello, confermando l’operato dell’Ufficio, ravvisato, nella specie, l’illegittimo utilizzo del plafond, sul presupposto che si fosse trattato non già di una violazione formale (di cui al D.Lgs. n. 471 del 197, art. 6) ma sostanziale (di cui al D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 7) in presenza di cessioni fittizie all’esportazione mediante “operazioni soggettivamente inesistenti tra DS e le società del Lichtenstein”, mentre di fatto le stesse avvenivano tra DS e le società tedesche (pag. 14 della sentenza impugnata). E’ evidente che la CTR abbia negato la riconducibilità delle operazioni in questione a cessioni intracomunitarie tra la società contribuente e gli acquirenti tedeschi, essendosi, nella specie, trattato di cessioni all’esportazione simulate mediante interposizione fittizia delle due società estere site nel Lichtenstein e falsa fatturazione da parte di DS unicamente nei confronti di queste ultime e non già dei clienti tedeschi.

In ogni caso, il terzo motivo è, comunque, infondato, in quanto, avuto riguardo allo schema fraudatorio evidenziato dall’Agenzia e confermato dalla CTR, il plafond non poteva operare alla luce del principio di diritto affermato dalla Corte di Giustizia nella sentenza del 17 ottobre 2019 nella causa C-653/18, Unitel sp.zo.o. contro Dyrektor Izby Skarbowej w Warszawie – con riferimento ad un’ipotesi di esportazione a società ucraine (non UE) inesistenti e applicabile in estensione, ad avviso di questo Collegio, stante la identità di ratio, anche alla presente fattispecie di operazioni soggettivamente inesistenti di esportazione verso due società del Lichtenstein fittiziamente interposte, quali mezzi per commettere la frode – secondo cui “il principio di neutralità fiscale non può essere invocato, ai fini dell’esenzione dall’IVA, da un soggetto passivo che abbia partecipato intenzionalmente a una frode fiscale mettendo a repentaglio il funzionamento del sistema comune dell’IVA. Secondo la giurisprudenza della Corte, non è contrario al diritto dell’Unione esigere che un operatore agisca in buona fede e adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l’operazione effettuata non lo conduca a partecipare a una frode fiscale. Nell’ipotesi in cui il soggetto passivo di cui trattasi sapesse o avrebbe dovuto sapere che l’operazione da esso effettuata rientrava in una frode posta in essere dall’acquirente e non avesse adottato tutte le misure ragionevoli a sua disposizione per evitare la frode medesima, dovrebbe essergli negato il beneficio dell’esenzione (sentenze dell’8 novembre 2018, Cartrans Spedition, C-495/17, EU:C:2018:887, punto 41, e del 28 marzo 2019, Ving, C-275/18, EU:C:2019:265, punto 33)”.

Essendo, nella specie, la non operatività del principio di neutralità fiscale e, quindi, del plafond riconnessa alla configurazione di un meccanismo di frode fiscale – qual è la cessione fittizia all’esportazione – al quale aveva partecipato intenzionalmente la contribuente, inammissibile per irrilevanza si profila la domanda di rimessione pregiudiziale alla Corte di giustizia, ai sensi dell’art. 267 TFUE, par. 3 e dell’art. 295 c.p.c. (se la negazione della formazione del plafond in capo a DS ai sensi del D.L. n. 331 del 1993, art. 41 venisse giustificata sulla base della mancata osservanza degli adempimenti di cui al mdesimo D.L., artt. 46 e 47) della questione di compatibilità tra il diritto nazionale (artt. 41, 46 e 47 cit.) con l’art. 18, n. 1, lett. D) della VI Direttiva CEE 77/388, “quando non vi sia, come nel caso in esame, comunque, dubbio circa l’effettuazione della cessione all’esportazione da parte del contribuente”.

In conclusione, il ricorso va complessivamente rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e vengono liquidate come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna Distillerie S. s.r.l. in persona del legale rappresentante pro tempore, al pagamento in favore dell’Agenzia delle entrate, in persona del Direttore pro tempore, delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in Euro 8.000,00 per compensi oltre spese prenotate a debito;

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza del presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

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