Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5151 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. I, 03/03/2010, (ud. 23/10/2009, dep. 03/03/2010), n.5151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Presidente –

Dott. FELICETTI Francesco – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BERNABAI Renato – rel. Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9179-2008 proposto da:

D.P.A.T. (c.f. (OMISSIS)) elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA NICOLO’ TARTAGLIA 21, presso l’avvocato

FORGIONE SALVATORE, che la rappresenta e difende, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il

04/04/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/10/2009 dal Consigliere Dott. RENATO BERNABAI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato SALVATORE FORGIONE che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

VELARDI MAURIZIO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in riassunzione depositato l’11 Novembre 2005 la signora D.P.A. conveniva dinanzi alla Corte d’appello di Roma il Ministero della Giustizia per sentirlo condannare all’equa riparazione, ex art. 6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per la violazione del termine ragionevole del processo avente ad oggetto il pagamento dell’indennità di maternità per il periodo di astensione facoltativa dal lavoro: processo, promosso nei confronti dell’Inps dinanzi al Pretore di Benevento, quale giudice del lavoro, con ricorso depositato l’11 Maggio 1994 e definito in primo grado con sentenza 21 novembre 2000.

Esponeva di aver adito la Corte europea dei diritti dell’uomo, che però non si era ancora pronunziata sulla ricevibilità del ricorso;

onde, riproposta la domanda di equa riparazione, la Corte d’appello di Roma l’aveva respinta con decreto 18 marzo 2002, successivamente cassato dalla Suprema Corte con rinvio alla medesima corte territoriale. Questa, con decreto emesso il 4 aprile 2007, accertata la violazione del termine ragionevole in anni quattro, rispetto ad un termine ragionevole che per tale tipo di controversia andava valutato in anni due mesi sei, aveva condannato il Ministero alla giustizia al pagamento dalla somma di Euro 3200,00 (Euro 800,00 per anno), oltre gli interessi legali dalla predetta data e con la condanna alla rifusione delle spese del solo giudizio di rinvio, compensate quelle dei gradi precedenti di merito e di legittimità.

Avverso il provvedimento proponeva ricorso per cassazione la D. P., deducendo la violazione dell’art.6, paragrafo 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della L. n. 89 del 2001 nonchè la carenza di motivazione nella liquidazione troppo riduttiva dell’indennizzo – che doveva comprendere sia la perdita subita che il mancato guadagno con valutazione equitativa – difforme dalla giurisprudenza alla Corte europea dei diritti dell’uomo, e nella compensazione delle spese dei primi due gradi di giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile per assoluta inadeguatezza dei quesiti di diritto formulati in conclusione dei singoli motivi di censura (art. 366 bis cod. proc. civ.).

Sul punto, deve essere richiamato, in sede concettuale, il principio ormai consolidato che i quesiti di diritto imposti dal nuovo art. 366 bis cod. proc. civ., secondo una prospettiva volta a riaffermare la cultura del processo di legittimità, rispondono all’esigenza di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della controversia diversa da quella cui è pervenuta il provvedimento impugnato; e, nel contempo, con più ampia valenza, di enucleare, collaborando alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione, il principio di diritto applicabile alla fattispecie. Pertanto, il quesito di diritto integra il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del principio giuridico generale; risultando altrimenti inadeguata, e quindi non ammissibile, l’investitura stessa del giudice di legittimità (Cass., sez. unite 14 febbraio 2008, n. 3519; Cass., sez. 3, 25 luglio 2008, n. 20454).

Alla stregua di tali principi, è dunque inammissibile il motivo del ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto privo di aderenza alla fattispecie concreta ed al decisum (Cass., sez. unite, 5 gennaio 2007, n. 36).

E’ questo il caso verificatosi nel presente ricorso, in cui i quesiti proposti consistono in formulazioni astratte, senza stretta aderenza con la ratio decidendi: laddove enunciano la necessità del rispetto della consolidata giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (quesito n. 1); o la violazione degli artt. 2056 e 1226 cod. civ. nella liquidazione equitativa del danno (quesito n. 2); o ancora, censurano la violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e la disapplicazione della L. n. 89 del 2001 o contestano la correttezza della compensazione delle spese processuali:

enunciazioni, tutte, che si risolvono in una sintesi generica delle argomentazioni difensive, priva di specificità individualizzante.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

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