Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5147 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 26/02/2020), n.5147

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17987/2019 proposto da:

S.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dagli avvocati Limentani Corrado e Bolognesi Dario;

– ricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2019 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 04/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2019 dal cons. CARADONNA LUNELLA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

MATTEIS Stanislao, che ha concluso per l’inammissibilità del

ricorso, come da requisitoria scritta depositata;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato Limentani Corrado che ha chiesto

la trasmissione del ricorso ad una sezione penale della Corte di

Cassazione e, in subordine, l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza impugnata la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto da S.A. avverso il decreto emesso in data 13 novembre 2018 dal Tribunale di Brescia con cui era stato approvato l’Albo dei giudici popolari della Corte d’Assise d’Appello del distretto di Brescia.

La Corte di appello ha dichiarato l’inammissibilità del reclamo perchè proposto in mancanza dei presupposti di legge, atteso che il reclamo era stato fondato su allegazioni generiche che richiedevano accertamenti istruttori non previsti dalla normativa di cui alla L. 10 aprile 1951, n. 278.

2. La sentenza, depositata in cancelleria il 4 aprile 2019, è stata impugnata da S.A., con ricorso per cassazione, affidato a un unico motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo S.A. lamenta la violazione di legge, in quanto la Corte ha dato una erronea interpretazione alle norme che regolano la materia e specificamente alla L. n. 287 del 1951, artt. 16 e segg..

In particolare, il ricorrente afferma che la formulazione degli articolati della L. 10 aprile 1951, n. 287 non sembra consentire alcuna limitazione in capo ai poteri dell’Autorità giudiziaria circa gli eventuali accertamenti, anche se essi riguardino lo stesso richiedente e la stessa richiesta già eventualmente esaminata e disattesa dal presidente del tribunale ai sensi dell’art. 18 e che l’art. 20, nel prevedere e regolare l’azione giudiziale, non produce effetti impeditivi di carattere amministrativo.

Inoltre, il reclamante deduce di essersi specificamente e concretamente attivato, censurando non solo la gravità delle irregolarità, ma fornendo l’indicazione di tutte le caratteristiche personali di quattordici cittadini che avrebbero consentito una verifica puntuale ed effettiva con tutte le relative conseguenze.

Da ultimo, il ricorrente rileva che l’Albo che, ai sensi dell’art. 19, doveva essere trasmesso unitamente al decreto di approvazione emesso dal tribunale di Brescia il 13 novembre 2018, è stato depositato con nota difensiva del 26 marzo 2019.

2. Il ricorso, tempestivamente depositato, come risulta in atti, in data 19 aprile 2019, è inammissibile.

La L. 10 aprile 1951, n. 287, art. 20, comma 3, rubricato “Decisioni della Corte di appello – Ricorso in cassazione”, dispone che contro la sentenza della Corte di appello è ammesso ricorso per cassazione nel termine di quindici giorni dalla comunicazione da parte degli interessati e del pubblico ministero e che si applicano le disposizioni del primo capoverso.

Il primo capoverso della L. 10 aprile 1951, n. 287, art. 20, prevede che la corte di appello, previa comunicazione alla parte, decide con sentenza in via d’urgenza, su relazione in pubblica udienza, sentiti la parte o il suo procuratore, se si presenta, e il pubblico ministero, che conclude oralmente.

La previsione della comunicazione alla parte personalmente e la circostanza che la Corte possa sentire la parte e il procuratore, ma soltanto se questi si presenta all’udienza, fa ritenere che, in questa specifica ipotesi, il ricorso in cassazione possa essere proposto sia dalla parte personalmente, sia dalla parte a mezzo procuratore.

Ne consegue l’ulteriore corollario che se la parte decide di ricorrere al patrocinio di un difensore, questi per la presentazione del ricorso in Cassazione deve necessariamente munirsi della procura speciale.

Trova, infatti, applicazione il principio dell’onere del patrocinio affermato dall’art. 82 c.p.c., a norma del quale il ricorrente non può stare in giudizio, nel procedimento di legittimità davanti la Corte, senza il ministero di un avvocato iscritto nell’apposito albo, nonchè il principio della procura alle liti, di cui all’art. 83 c.p.c., secondo cui quando la parte sta in giudizio con il ministero di un difensore, questi deve essere munito di procura e, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, della procura speciale in capo al difensore iscritto nell’apposito albo.

Nel caso in esame, il ricorso non è stato proposto dalla parte personalmente, ma dall’avvocato in difetto di procura speciale alle liti. Ed invero, la procura per il ricorso per cassazione ha carattere speciale ed è valida solo se rilasciata in data successiva alla sentenza impugnata, ma prima della notificazione del ricorso per cassazione, stante l’esigenza di assicurare la riferibilità dell’attività svolta al difensore al titolare della posizione giuridica soggettiva sostanziale controversa.

Risulta dagli atti, altresì, che il ricorso non è stato notificato ad alcuno.

In ragione delle argomentazioni esposte priva di rilievo è la richiesta di riassegnazione alla Corte di Cassazione penale, formulata dal ricorrente nella memoria difensiva in atti, venendo comunque in esame, la ritualità dell’assegnazione dell’affare in base alle tabelle di ripartizione degli affari previste dal R.D. n. 12 del 1941, art. 7-bis, che non involge una questione di competenza, nè può dare luogo ad un vizio del provvedimento giurisdizionale conseguente (Cass. civ., 26 aprile 2019, n. 11332).

In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nessuna statuizione va assunta con riguardo alle spese processuali, non essendovi controparti costituite.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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