Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5145 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. I, 26/02/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 26/02/2020), n.5145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 23077/2015 proposto da:

COMUNE DI (OMISSIS), in persona del Sindaco in carica, elettivamente

domiciliato in Roma, Via Mecenate, 27 presso lo studio dell’avvocato

Andreina Di Torrice e rappresentato e difeso dall’avvocato Pietro

Bisconti per procura speciale in calce al ricorso e determina D.G.

n. 71/2015;

– ricorrente –

contro

CURATELA FALLIMENTO (OMISSIS) S.r.l., in persona del curatore

elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Cavour presso la

cancelleria della Corte di Cassazione e rappresentato e difeso

dall’avvocato Maria Amoroso per procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

nonchè

Impresa individuale M. Dott. G., in persona

dell’amministratore giudiziario, rag. C.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1247/2014 della Corte di appello di Palermo

depositata il 24/07/2014;

udita la relazione della causa svolta dal Cons. Laura Scalia nella

camera di consiglio del 19/11/2019.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Corte di appello di Palermo con la sentenza in epigrafe indicata, in accoglimento dell’impugnazione proposta dalla curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l. ed in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Agrigento del 24 gennaio 2008, aveva condannato il Comune di (OMISSIS) al pagamento della ulteriore, rispetto a quella per cui era intervenuta condanna in primo grado, somma di Euro 41.316,55.

Il Tribunale nel giudizio introdotto per il pagamento del saldo lavori e del residuo premio di incentivazione dovuto all’A.t.i. – che si era costituita tra l’Impresa M.G., la (OMISSIS) S.r.l. e la Olivetti S.p.A. – per l’esecuzione dell’appalto relativo ai lavori di ammodernamento della rete idrica del Comune di (OMISSIS), aveva invece dichiarato il difetto di legittimazione attiva della

curatela del fallimento della mandante, intervenuto nel corso del giudizio, e ritenuto la legittimazione esclusiva, anche processale della capogruppo, l’Impresa M.G..

Ricorre per la cassazione dell’indicata sentenza il Comune di (OMISSIS) con tre motivi.

Resiste con controricorso il Fallimento (OMISSIS) S.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente fa valere la violazione del D.Lgs. n. 406 del 1991, art. 23, e dell’art. 1723 c.c., comma 2.

La capogruppo sarebbe stata, ex art. 23, comma 9, D.Lgs. cit., ratione temporis applicabile, il solo soggetto legittimato a stare in giudizio anche per le associate mandanti, nei giudizi sui contratti conclusi dall’Associazione Temporanea di Imprese o A.t.i..

L’evidenza avrebbe ricevuto conferma nella disciplina di cui all’art. 1723 c.c., comma 2, là dove si prevede la mancata estinzione del mandato per sopravvenuta incapacità del mandante ove il mandato sia stato conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi, posizione, quest’ultima, nella specie ravvisabile in capo alla stazione appaltante.

1.1. Il motivo è infondato.

In materia di appalto di opere pubbliche, stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, ai sensi del D.Lgs. n. 406 del 1991, artt. 23 e 25, la dichiarazione di fallimento della società mandante, anche se non determina lo scioglimento del contratto d’appalto, alla cui esecuzione, a norma del citato art. 25, comma 2, resta obbligata l’impresa capogruppo, comporta L. Fall., ex art. 78 (nel testo anteriore al D.Lgs. n. 5 del 2006, applicabile “ratione temporis”), lo scioglimento del rapporto di mandato conferito a quest’ultima, sicchè la mandataria capogruppo non ha più la legittimazione ad agire in nome e per conto della mandante fallita, per far valere i crediti dalla stessa vantati nei confronti dell’ente committente e la mandante recupera una propria autonoma legittimazione (Cass. 13/10/2015 n. 20558; vd., Cass. 30/07/2010 n. 17926; Cass. 29/12/2011 n. 29737; in precedenza: Cass. 30/01/2003 n. 1396).

Nè può diversamente ritenersi, essendo la capogruppo mandataria in rem propriam in favore di un soggetto terzo, nella specie la stazione appaltante.

La tutela delle vantate posizioni in corso di esecuzione delle opere commesse, per espressa disposizione di legge, consente alla prima, invero, solo di proseguire il rapporto con una impresa diversa da quella fallita.

Nella fase dei pagamenti, l’interesse della stazione appaltante ad avere un unico centro di imputazione al fine di una più agevole e sollecita esecuzione delle opere viene meno e l’interesse, residuo, della prima a definire in un unico contesto processuale le ragioni di dare ed avere con le imprese riunite in una a.t.i. è recessivo rispetto alle ragioni del fallimento della mandante e, in genere, delle imprese già riunite (vedi Cass. 17/01/2017 n. 973 sulla perdita della legittimazione ad agire, per la mandante, della mandataria-capogruppo in quanto fallita).

2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione degli artt. 75,324,327 e 342 c.p.c., e dell’art. 2909 c.c..

Nella carenza di legittimazione processuale attiva della curatela del Fallimento (OMISSIS) S.r.l., la Corte territoriale avrebbe omesso di dichiarare l’inammissibilità del gravame ed il conseguente passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

La sentenza sarebbe stata inoltre contraddittoria là dove aveva accolto il gravame della curatela (OMISSIS) con il riconoscimento del premio alla incentìvazione e confermato la sentenza di primo grado in punto di condanna in favore della sola mandataria capogruppo, la Ditta M..

2.1. La prima parte del motivo resta assorbita dal rigetto del precedente.

Residua allo scrutinio di questa Corte di legittimità il profilo di censura sulla condanna ed i relativi destinatari.

Se, per vero, si scioglie l’A.t.i. e l’impresa mandante fallita può rivendicare con la mandataria il credito maturato rispetto alla stazione appaltante per i lavori eseguiti, tanto, però, potrà avvenire pro-quota nei limiti dei lavori attribuibili alle singole imprese riunite in associazione.

Venuta meno l’unicità dell’imputazione in capo alla mandataria, la condanna al pagamento, nell’intervenuta modifica del soggetto destinatario, non interviene in solido, ma in via parziaria o pro-quota.

Tanto la Corte di appello non ha chiarito, limitandosi a riformare in dispositivo la sentenza impugnata solo in ordine al premio di incentivazione e nulla affermando, invece, in punto di legittimazione attiva, accogliendo, solo, in motivazione, il motivo di appello del fallimento.

Anche se dal complesso della sentenza impugnata può dirsi che una legittimazione attiva è stata riconosciuta in appello alla curatela, la sentenza però nulla dice sul destinatario, beneficiario della condanna del Comune al premio di incentivazione, non precisando, segnatamente, se sì tratti della mandante o la mandataria o di entrambe, ed a che titolo.

Va, per vero, accertato dalla Corte di merito, dandosi in tal modo pieno sviluppo al tema dello scioglimento dell’a.t.i. e della conseguente insorgenza delle diverse e distinte legittimazioni, la misura, in concorso, rispetto alla posta creditoria derivante dalla condanna del Comune di (OMISSIS), delle due imprese, delle tre che costituiscono l’a.t.i. (nella cui struttura figurava anche Olivetti S.p.A.), dovendo quantificare i giudici di appello la quota spettante a ciascuna impresa sull’intero.

3. Con il terzo motivo si deduce la violazione della L.R. Sicilia n. 21 del 1985, art. 35, comma 3, ratione temporis applicabile, anche in relazione all’art. 1230 c.c..

Il contratto originario aveva subito tre varianti con atti di sottomissione accettati dall’appaltatore che avrebbe comportato una complessiva riduzione dei lavori da eseguire, con anticipata ultimazione, e una corrispondente riduzione del corrispettivo.

Sarebbero stati modificati, quindi, i termini originari del contratto nella cui sola osservanza sarebbe insorto il diritto al premio incentivazione delle imprese.

Neanche la legge imporrebbe poi di inserire di nuovo il premio incentivazione nella ipotesi di variante.

Nella intervenuta novazione oggettiva del rapporto obbligatorio, nulla statuendo le parti, dovendosi peraltro avere riguardo, secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità, all’originario assetto contrattuale per poi riconoscersi il premio, la decisione di appello sarebbe stata errata.

Il motivo è fondato.

3.1. La mancata rinegoziazione del premio a fronte delle novate condizioni oggettive del contratto, con, peraltro, riduzione delle lavorazioni commesse, del motivo esclude il fondamento.

In tema di appalti di opere pubbliche nella regione Sicilia, la norma di cui alla L.R. n. 21 del 1985, art. 35, – nel prevedere il diritto alla corresponsione di un “premio di incentivazione”, da corrispondere all’impresa in caso di anticipata ultimazione dei lavori rispetto ai termini contrattuali inizialmente previsti dal capitolato d’appalto – deve essere interpretata, sul piano letterale, logico e sistematico, nel senso che tale premio è collegato solo ad una ultimazione anticipata rispetto al termine inizialmente fissato dal contratto, con esclusione, quindi, del premio in tutti i casi in cui il termine finale sia posticipato, tanto se ciò avvenga a seguito di proroga anche concordata, quanto nell’ipotesi di sospensioni e varianti, ancorchè disposte dalla stazione appaltante, quanto, infine, per fatti dovuti a slittamento o differimento per forza maggiore, dal momento che l’interesse pubblico all’esecuzione dell’opera prima del tempo inizialmente fissato, valutato positivamente in relazione ai tempi iniziali, può non sussistere rispetto ai diversi tempi sopravvenuti nel corso dell’esecuzione, essendo irrilevante la causa del differimento (Cass. 30/03/2011 n. 7204).

3.2. Vale poi l’ulteriore rilievo che una siffatta clausola imposta normativamente trova giustificazione nel fatto che, se è interesse dell’Amministrazione fruire dell’opera pubblica prima del momento in cui il contratto d’appalto prevede che essa sia completata, un analogo pubblico interesse può non sussistere in relazione ai diversi tempi sopravvenuti nel corso dell’esecuzione, quale che sia la causa del differimento (Cass. 22/06/2005 n. 13434).

4. In accoglimento del secondo e del terzo motivo la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Corte di appello di Palermo che provvederà altresì alla disciplina delle spese di lite del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa e rinvia dinanzi alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Prima Civile, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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