Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5142 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. I, 03/03/2011, (ud. 08/02/2011, dep. 03/03/2011), n.5142

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – rel. Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. CULTRERA Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA s.p.a., con domicilio eletto in Roma,

via Boezio n. 6, presso l’Avv. Luconi Massimo che la rappresenta e

difende come da procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

E.D.C. COSTRUZIONI s.r.l., fallita, in persona del curatore pro-

tempore, con domicilio eletto in Roma, via Germanico n. 172, presso

l’Avv. Ozzola Massimo che la rappresenta e difende come da procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte d’appello di Roma n.

2093/08 depositata il 19 maggio 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio de

giorno 8 febbraio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Vittorio

Zanichelli.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Banca Monte Paschi di Siena s.p.a. ricorre avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma che ha accolto l’azione proposta dal fallimento della EDC Costruzioni s.r.l. per la revoca delle rimesse effettuate nei due anni antecedenti al fallimento (dichiarato il 5 novembre 1997) su due conti correnti intrattenuti dall’impresa fallita, con conseguente condanna della convenuta alla restituzione dell’importo di Euro 206.888,87, oltre accessori.

Il ricorso è affidato a due motivi ai quali resiste la curatela fallimentare con controricorso.

La causa è stata assegnata alla camera di consiglio in esito al deposito della relazione redatta dal Consigliere Dott. Vittorio Zanichelli con la quale sono stati ravvisati i presupposti di cui all’art. 375 c.p.c.. Entrambe te parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso si deduce, con riferimento alla pronuncia di primo grado, la “nullità della sentenza per insanabile contrasto tra motivazione e dispositivo” e si lamenta che la Corte d’appello non l’avrebbe rilevata nonostante la sollecitazione dell’appellante.

Il motivo è inammissibile in quanto propone una questione non sottoposta al giudice del gravame.

Come risulta dalla stessa enunciazione delle conclusioni dell’atto di appello della banca riportate nel ricorso l’appellante si è doluta della ritenuta revocabilità delle rimesse in conto corrente, soprattutto per quelle effettuate in adempimento di negozi di anticipazione perfezionati prima della conoscenza dello stato di insolvenza, nonchè del calcolo degli interessi ma non ha in alcun modo dedotto la nullità della sentenza per contrasto tra motivazione e dispositivo. E di ciò è conferma nella decisione del giudice d’appello che interviene in ordine all’interpretazione della sentenza di primo grado “preliminarmente all’esame dei motivi di appello” (che quindi non contenevano alcuna censura sul punto) solo perchè appariva “necessario interpretare la sentenza di primo grado essendovi contrasto tra le parti sul (integrazione dei relatore) suo contenuto decisorio” che è questione ben diversa dalla eventuale nullità della decisione, posto che la curatela sosteneva che tutte le rimesse contestate con l’atto di citazione erano state revocate mentre la banca propendeva per la tesa dell’intervenuta revoca solo ex art. 67, comma 2 e quindi non di quelle frutto di negozi anomali.

Del tutto tardiva è poi l’integrazione del motivo di ricorso operata con la memoria che, al fine di contestare la mancata allegazione della nullità, ha riportato il tenore dell’atto di appello dal momento che ciò non vale a sanare il difetto di autosufficienza sul punto del ricorso.

Manifestamente fondato è invece il secondo motivo con il quale ci si duole che siano state revocate anche rimesse conseguenti a negozi di anticipazione con cessioni di credito pro solvendo o mandati all’incasso sul presupposto che costituissero pagamenti anomali.

Premesso che è pacifico in fatto che tra le rimesse revocate vi sono anche quelle confluite sul conto corrente n. (OMISSIS) (conto anticipi) in seguito all’incasso da parte della banca dei crediti ceduti in esito ad anticipi su contratti o a mandati all’incasso attribuiti nello stesso ambito il giudice del merito (il Tribunale prima e la Corte d’appello poi) ha ritenuto tali operazioni un mezzo anomalo di pagamento in quanto effettuate in relazione ad un conto corrente su cui era stato superato il limite di fido concesso tanto che questo era stato revocato.

La tesi enunciata non è tuttavia corretta in quanto tralascia la decisiva circostanza (pacifica in fatto, posto che così viene ricostruita l’operazione nella pronuncia impugnata non ritualmente contestata sul punto) che le cessioni e i mandati non andavano a coprire una precedente esposizione ma venivano stipulati a fronte di anticipazioni contestualmente erogate. Sull’irrevocabilità di tale operazione in quanto costituente cessione di un credito a fronte della contestuale insorgenza di un debito del cedente si è già pronunciata la Corte che ha enunciato il principio secondo cui “In materia di revocatoria fallimentare, la cessione pro solvendo di un credito verso terzi, effettuata nell’ambito di un contratto di sconto ed al fine di ottenere dalla banca cessionaria l’anticipazione, previa deduzione degli interessi, dell’importo del credito stesso, non costituisce un mezzo anormale di pagamento posto che la cessione viene stipulata a scopo di garanzia, non già per estinguere un debito preesistente e scaduto ed e funzionalmente contestuale al sorgere del credito garantito” (Cassazione civile, sez. 1^, 19 ottobre 2007, n. 22014; conformi Cass., sez. 1, 6 dicembre 2006, n. 26154 e Cass. 12 luglio 1991 n. 7794); analogamente, per quanto attiene al rilascio di un mandato all’incasso, è stato ritenuto che “Agli effetti dell’esercizio della revocatoria fallimentare ai sensi del R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 67, comma 1, n. 2, la cessione di credito non può ritenersi mezzo anormale di pagamento, ove non sia stipulata per estinguere un debito preesistente e scaduto, ma sia funzionalmente contestuale al sorgere del credito garantito, dovendo il concetto di contestualità essere inteso non in senso formale o semplicemente cronologico, bensì in senso preminentemente sostanziale e causale. (Fattispecie in tema di mandato all’incasso conferito contestualmente alla richiesta e al riconoscimento di un nuovo affidamento)’ (Cassazione civile, sez. 1^, 6 dicembre 2006, n. 26154; conformi Cass. 31 agosto 2005 n. 17590; Cass. 23 aprile 2002 n. 5917).

Altro è che il ricavato dell’anticipazione sia stato utilizzato per coprire una pregressa esposizione debitoria, trattandosi di operazione che, in difetto di prova circa il collegamento funzionale tra la cessione del credito e la riduzione dell’esposizione di cui nella sentenza impugnata non è traccia, configura un’ipotesi di normale pagamento di un debito.

Il ricorso deve dunque essere accolto nei limiti indicati e cassata l’impugnata decisione con rinvio della causa, anche per le spese, alla stessa Corte d’appello in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 8 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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