Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5141 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. I, 03/03/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5141

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PROTO Vincenzo – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.D. (C.F. (OMISSIS)) vedova B.,

B.R. (C.F. (OMISSIS)), B.

C. (C.F. (OMISSIS)), nella qualità di eredi di

B.M., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA PANAMA

12, presso l’avvocato COLARIZI MASSIMO, rappresentati e difesi

dall’avvocato SBANO NICOLA, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

SIMA MECCANICA OLEODINAMICA S.P.A. IN AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA

(C.F. (OMISSIS)), in persona del Commissario liquidatore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO TRIESTE 87, presso

l’avvocato ANTONUCCI ARTURO, rappresentata e difesa dall’avvocato

ASCOLI VITO LUDOVICO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 123/2007 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 24/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato SBANO che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

RUSSO Rosario Giovanni che ha concluso per l’inammissibilità del

terzo motivo e inammissibilità o rigetto altri motivi, con condanna

alle spese.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

B.M., assunto alle dipendenze della SIMA -Meccanica Oleodinamica s.p.a. il 21.5.47, fu collocato a riposo il 31.1.1982, con decorrenza pensionistica dal 1.2.82.

Con D.M. 18 dicembre 1981, la SIMA venne ammessa alla procedura di amministrazione straordinaria, con prosecuzione dell’attività industriale per un biennio, via via prorogato sino al 1996, ai sensi della L. n. 95 del 1979.

Il credito del B. relativo al T.F.R. maturato nell’inquadramento riconosciutogli dalla datrice di lavoro fu ammesso allo stato passivo in prededuzione, ai sensi del D.L. n. 414 del 1981, art. 4, convertito, con modificazioni nella L. n. 544 del 1981 (norma che, agli effetti della L. Fall., art. 111, comma 1, n. 1, equipara le indennità dovute ai dipendenti ai debiti contratti per l’esercizio dell’impresa) e fu interamente saldato nel corso del 1982.

Il B. chiese peraltro, in via di opposizione, l’ammissione di un maggior credito, derivante dalle differenze retributive e per TFR pretese in ragione delle mansioni superiori effettivamente svolte alle dipendenze della società.

La domanda, respinta in primo grado, fu accolta dalla Corte d’Appello di Ancona che, con sentenza del 30.12.94 passata in giudicato, riconobbe, per ciò che in questa sede interessa, un ulteriore credito per TFR dell’opponente di L. 23.849.000 oltre accessori, che fu debitamente riportato fra i crediti prededucibili, in variazione dello state passivo dell’A.S..

Trattandosi di credito sorto anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982, istitutiva del Fondo di Garanzia, restò senza esito la richiesta del B. di ottenerne il pagamento dal predetto fondo. Nel 1998 fu depositato e approvato il piano di riparto finale della procedura di A.S. che, stante l’incapienza del residuo attivo, previde il soddisfacimento parziale del credito del B., posto in concorso con quelli vantati, in via di surroga, dagli enti previdenziali che avevano corrisposto il TFR ai dipendenti che godevano della copertura del fondo di garanzia per essere fuoriusciti dal lavoro dopo il 1982. Il ricorso L. Fall. ex art. 213, proposto dal B. avverso il riparto fu dichiarato inammissibile, perchè tardivo, dal Tribunale di Ancona, con sentenza del 29.6.2000.

L’appello proposto dal soccombente ed, a seguito del suo decesso, proseguito dai suoi eredi, P.D., B.C. e B.R., è stato respinto dalla Corte d’Appello di Ancona con sentenza del 24.3.07.

La Corte – premesso che con sentenza del 5.4.2006 il Giudice delle Leggi, accogliendo la q.l.c. da essa stessa sollevata, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della L. Fall., art. 213, comma 2, nella parte in cui fa decorrere, nei confronti dei creditori ammessi, il termine perentorio di venti giorni per proporre contestazioni al piano di riparto dalla data in cui la notizia del suo avvenuto deposito in cancelleria è pubblicata sulla G.U., anzichè comunicata con raccomandata con avviso di ricevimento – ha dichiarato tempestivo il ricorso, ma ha ritenuto nel merito che, poichè il credito del B. ed il credito del Fondo di Garanzia avevano medesimo rango e grado, fosse infondato l’assunto degli appellanti, secondo cui quello del loro dante causa, siccome cronologicamente prioritario, avrebbe dovuto essere soddisfatto per intero e prima del riparto finale, con precedenza rispetto ad ogni altro credito prededucibile. La Corte ha inoltre respinto l’appello incidentale proposto dall’A.S. avverso la statuizione di integrale compensazione delle spese del giudizio di primo grado, ma ha condannato gli appellanti a pagare alla controparte quelle del giudizio di gravame.

Gli eredi B. hanno chiesto la cassazione della sentenza, affidandola a quattro motivi di ricorso, sintetizzati in altrettanti quesiti di diritto. L’Amministrazione Straordinaria della SIMA s.p.a.

ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1) Con il primo motivo di ricorso, gli eredi B. denunciano violazione e falsa applicazione della L. Fall., art. 111 e del principio generale prior in tempore potior in iure, disciplinante l’istituto della prededuzione. Rilevano a riguardo che tutti i dipendenti della SIMA il cui rapporto di lavoro era cessato anteriormente all’entrata in vigore della L. n. 297 del 1982 hanno avuto liquidato dalla datrice di lavoro, per intero ed in via diretta, il TFR loro spettante e che inoltre l’A.S. ha sempre pagato, sino alla metà del 1996, i debiti contratti per la prosecuzione dell’esercizio industriale verso i dipendenti in attività, verso gli istituti di previdenza per contributi, verso i fornitori, il fisco ecc, senza distinguere fra posizioni privilegiate o chirografarie e senza alcuna preoccupazione per il credito accumulato dopo il 1.6.’82 dagli istituti previdenziali erogatori delle prestazioni del fondo di garanzia. Chiedono pertanto a questa Corte di affermare se il predetto principio costituisca o meno la regola dell’istituto della prededuzione e se tale regola faccia sì che i crediti in prededuzione vadano pagati man mano che scadono, fatta eccezione per quelli contestualmente sorti.

1.2) Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione della par condicio creditorum, rilevando che il credito del B. per TFR è l’unico, fra quelli vantati dai dipendenti il cui rapporto di lavoro con la SIMA è cessato entro il maggio del 1982, a non essere stato interamente soddisfatto e pongono la questione se la par condicio non risulti violata ove il creditore in prededuzione – saldato per intero per quanto ab initio riconosciutogli dall’organo della procedura unitamente ai creditori in uguale posizione – riceva, per il maggior credito di uguale causale e natura e di pari insorgenza, ma riconosciuto giudizialmente più tardi, trattamento differenziato, ottenendo pagamento solo parziale per effetto della messa a concorso di detta M parte di credito con altri crediti di pari privilegio, ma sorti successivamente.

1.3) Con il terzo motivo gli eredi B., denunciando violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7 della L. Fall., art. 111 e degli artt. 2751 bis e 2776 c.c. rilevano che la norma che prevede che il Fondo di Garanzia è surrogato di diritto al lavoratore nel privilegio a questi spettante sul patrimonio del datore di lavoro non richiama l’art. 111 L. Fall. e dunque non estende al Fondo il diritto ad essere pagato in prededuzione.

Formulano quesito al fine di sentir confermare tale argomentazione e chiedono in subordine che, in ogni caso, sia affermato che in sede di riparto i crediti del Fondo devono essere soddisfatti dopo i crediti dei dipendenti.

I motivi, che sono fra loro collegati e che possono essere congiuntamente esaminati, sono infondati e devono essere respinti.

Come è stato ampiamente chiarito in dottrina, prededuzione e prelazione esprimono concetti eterogenei ed inconfondibili: la prededuzione è una qualità meramente procedurale dei cd. crediti “Verso la massa” che fa sì che, all’interno del processo fallimentare, essi debbano essere soddisfatti con priorità rispetto a quelli concorsuali, mentre la prelazione è una qualità sostanziale dei crediti, che esprime il titolo di preferenza che va ad essi accordato sia all’interno che fuori da detto processo.

Alla luce di tale premessa, va allora, in primo luogo, rilevato che è privo di pregio l’argomento a contrario che i ricorrenti traggono dal disposto della L. n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, sostenendo che la norma – che richiama gli artt. 2751 bis e 2776 c.c. ma non anche la L. Fall., art. 111 – nell’attribuire al credito del Fondo di Garanzia il privilegio spettante al dipendente sul patrimonio del datore di lavoro, ne escluderebbe al contempo la prededucibilità.

Invero, l’art. 1203 c.c., nell’elencare alcune ipotesi di surrogazione legale, prevede, al n. 5. che essa abbia luogo negli altri casi stabiliti dalla legge. Al di fuori delle fattispecie disciplinate dagli artt. 1201 e 1202 c.c., compete dunque al legislatore di accordare tutela al terzo che abbia pagato un debito non proprio, riconoscendogli il diritto a surrogarsi nelle ragioni dell’originario creditore, e ciò spiega la necessità di un’espressa disposizione normativa che tale diritto contempli.

Ma, una volta che la norma sia operante, il terzo che ha pagato succede al creditore nella titolarità dal lato attivo del rapporto obbligatorio e perciò gli subentra, nella medesima posizione sostanziale e processuale. Ne consegue che, per effetto automatico della surrogazione, e pertanto senza che occorra a riguardo una specifica previsione di legge, il Fondo di Garanzia che ha anticipato il TFR avrà diritto ad essere pagato in prededuzione se (come nel caso di specie) tale è la collocazione che, nell’ambito della procedura, spetta al credito del lavoratore soddisfatto.

Non appaiono meritevoli di accoglimento neppure le ulteriori censure mosse dai ricorrenti alla sentenza impugnata.

La L. Fall., art. 111, comma 2 (nel testo antecedente alla riforma introdotta dal D.Lgs. n. 5 del 2006 ed applicabile ratione temporis al caso di specie) si limita a stabilire che i prelevamenti necessari al pagamento dei debiti cd. “di massa” sono determinati con decreto del giudice delegato.

La norma, dunque, consente che i debiti in questione vengano pagati al di fuori del riparto, ma non contiene alcuna previsione volta a regolarne il soddisfacimento in termini strettamente cronologici, nè si preoccupa di dettare i criteri in base ai quali i pagamenti dovranno essere eseguiti in caso di insufficienza dell’attivo. Ne consegue che il principio prior in tempore potior in iure invocato dagli eredi B. – che fa sì che i debiti prededucibili possano essere saldati mano a mano che si presentano e che vengono a scadenza, e che impedisce che i titolari di crediti verso la massa sorti in data successiva possano contestare 1 pagamenti eseguiti ai creditori anteriori – in tanto può trovare applicazione in quanto la procedura disponga delle liquidità occorrenti allo scopo.

Se invece l’attivo è incapiente, il principio non può operare. Nel silenzio della norma, infatti, in tale ipotesi deve necessariamente farsi ricorso alle regole generali in tema di riparto, sicchè i crediti di cui all’art. 111, comma 1, rimasti insoddisfatti (pur precedendo quelli concorsuali) concorreranno alla distribuzione delle somme ricavate con il rispetto delle cause e del grado di prelazione a ciascuno di essi assegnati dalla legge, senza che possa essere accordata preferenza a quelli più antichi.

La conclusione trova conforto nella disciplina dei crediti prededucibili oggi contenuta nella L. Fall., art. 111 bis (introdotto dal D.Lgs. n. 5 del 2006 e modificato dal decreto “correttivo” n. 169/07), che, ancorchè non applicabile al caso di specie, costituisce valido parametro ermeneutico di riferimento, essendo stata dettata proprio per eliminare i dubbi interpretativi sorti nel vigore della precedente normativa. Va da ultimo rilevato che la circostanza (per il vero neppure esplicitamente dedotta dai ricorrenti) che, alla data di passaggio in giudicato della sentenza della Corte d’Appello di Ancona che riconobbe il maggior credito del B. e di conseguente variazione dello stato passivo della procedura, l’A.S. avesse la disponibilità delle somme necessarie a provvedere all’immediato pagamento del credito giudizialmente accertato, risulta irrilevante nel presente giudizio di opposizione al piano di riparto, promosso ai sensi della L. Fall., art. 213, nel quale non è in discussione la legittimità dell’operato del Commissario Liquidatore, ma unicamente la correttezza dei criteri da questi utilizzati per la ripartizione finale del residuo attivo.

2) Con il quarto motivo di ricorso gli eredi B., denunciando violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. e della L. n. 263 del 2005, art. 3, nonchè vizio di motivazione, lamentano che la Corte di merito, dopo aver confermato la sentenza di primo grado nella parte in cui ha integralmente compensato le spese di lite “in ragione della natura del credito”, li abbia condannati al pagamento di quelle del secondo grado. Il motivo è infondato.

Può convenirsi con i ricorrenti laddove rilevano che la Corte territoriale, avendo interamente riformato la sentenza di primo grado, non avrebbe dovuto esaminare -peraltro respingendolo – il motivo d’appello incidentale con il quale l’A.S. aveva chiesto la riforma della pronuncia sulle spese assunta dal primo giudice (caducata per effetto della riforma) ed avrebbe dovuto procedere ad una nuova regolamentazione di tali spese con riguardo all’intero giudizio, tenendo presente l’esito complessivo della lite (Cass. 8727/2010).

Resta, tuttavia, che regolando le spese del grado secondo il principio della soccombenza la Corte non ha fatto altro che applicare il disposto dell’art. 91 c.p.c., comma 1 (rispetto al quale la possibilità di compensazione prevista dall’art. 92, comma 2 costituisce eccezione, che pertanto richiede apposita motivazione):

non si vede, dunque, come la pronuncia possa ritenersi viziata setto uno dei profili invocati dai ricorrenti.

La natura del credito in contestazione e la parziale novità delle questioni dibattute giustificano l’integrale compensazione fra le parti delle spese del presente grado.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso, dichiara interamente compensate fra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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