Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5139 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 5139 Anno 2018
Presidente: MANNA FELICE
Relatore: LOMBARDO LUIGI GIOVANNI

ORDINANZA
sul ricorso 15157-2016 proposto da:
GUGLIOTTA ANGELINA, elettivamente domiciliata in Roma, Via
Gregorio VII 474, presso lo studio dell’avvocato Guido Orlando,
rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe Benvenga;
– ricorrente contro
PIZZO CLAUDIO, GUGLIELMINO GIUSEPPE, CARUSO MARIA
ANTONIETTA, VALORE FABIO, VALORE GIUSEPPE MARIA STEFANO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 11599/2015 della CORTE SUPREMA DI
CASSAZIONE di ROMA, depositata il 04/06/2015;

Data pubblicazione: 05/03/2018

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
23/11/2017 dal Consigliere LUIGI GIOVANNI LOMBARDO.
Rilevato che:
– Gugliotta Angelina ha proposto un unico motivo di ricorso per la
revocazione, ai sensi degli artt. 391-bis e 395 n. 4 cod. proc. civ.,

dichiarato inammissibile il ricorso dalla stessa proposto avverso la
sentenza della Corte di Appello di Messina n. 247 del 2008,
pronunciata nella causa tra la medesima, da un parte, e la società
Edilcenter s.r.l. (società ora estinta) e Pizzo Claudio, dall’altra;
– gli intimati non hanno svolto attività difensiva;
Considerato che:
– con l’unico motivo si deduce che questa Suprema Corte sarebbe
incorsa in errore di percezione della realtà nel ritenere mancanti i
momenti di sintesi, prescritti dall’art. 366-bis cod. proc. civ.,
relativamente al primo e al terzo motivo di ricorso (motivi entrambi
proposti per asseriti vizi della motivazione ai sensi dell’art. 360 n. 5
cod. proc. civ.);
– sul punto va ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa
Corte, l’art. 366-bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis alla
fattispecie (essendo stata la sentenza di appello impugnata pubblicata
prima del 4 luglio 2009, data della entrata in vigore dell’art. 47 della
legge 18 giugno 2009, n. 69, che ne ha disposto l’abrogazione), nel
prevedere le modalità di formulazione dei motivi del ricorso per
cassazione, dispone la declaratoria di inammissibilità del ricorso
qualora, in presenza dei motivi previsti dall’art. 360 cod. proc. civ.
comma 1 nn. 1, 2, 3 e 4, ciascuna censura, all’esito della sua
illustrazione, non si traduca in un quesito di diritto, funzionale, anche
alla luce dell’art. 384 cod. proc. civ., all’enunciazione del principio di
diritto ovvero a

dicta giurisprudenziali su questioni di diritto di
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della sentenza di questa Suprema Corte n. 11599 del 2015, che ha

particolare importanza; mentre, ove venga in rilievo il motivo di cui
all’art. 360 cod. proc. civ. n. 5 (per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione della decisione impugnata), è richiesta,
sempre a pena di inammissibilità, una illustrazione che, pur libera da
rigidità formali, si concretizzi in una esposizione chiara e sintetica del
fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume

insufficienza renderebbe la motivazione inidonea a giustificare la
decisione (Cass., Sez. L, n. 4556 del 25/02/2009);
– con particolare riferimento al caso in cui sia dedotto il vizio
della motivazione della sentenza impugnata (art. 360 n. 5 cod. proc.
civ.), questa Corte ha precisato che, per l’assolvimento dell’onere di
cui all’art. 366-bis cod. proc. civ., è necessario che, a conclusione
della esposizione della censura, sia formulato il c.d. “quesito di fatto”,
ossia un apposito “momento di sintesi”, che ponga la S.C. in
condizione di comprendere, dalla lettura del solo quesito, quale sia
l’errore motivazionale commesso dal giudice di merito (Cass., Sez. 5,
n. 24255 del 18/11/2011);
– la valutazione dell’idoneità dei quesiti e la loro adeguatezza
rispetto a quanto richiesto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. implica un
apprezzamento della Corte e non si riduce alla mera percezione di un
fatto;
– nulla lascia pensare che la Corte non abbia letto o percepito i
periodi, relativi al primo e nel terzo motivo del ricorso per cassazione,
trascritti dal ricorrente nel presente ricorso (pp. 11-13), dovendo
piuttosto ritenersi che li abbia ritenuti inidonei a costituire “momenti
di sintesi” secondo quanto prescritto dall’art. 366-bis cod. proc. civ.;
– è manifestamente infondato l’assunto della ricorrente secondo
cui l’art. 366-bis cod. proc. civ. non avrebbe potuto essere applicato
nel giudizio di cassazione che ha definito la controversia, perché nel
frattempo abrogato ad opera dell’art. 47 della I. n. 69 del 2009,

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omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali la dedotta

poiché tale norma si applica – per effetto della disposizione transitoria
contenuta nell’art. 58, comma 5, della medesima legge – solo con
riferimento alle controversie nelle quali il provvedimento impugnato
con il ricorso per cassazione sia stato pubblicato successivamente alla
data di entrata in vigore della legge, dovendosi peraltro ritenere
manifestamente infondato anche il dubbio di legittimità costituzionale

nella discrezionalità del legislatore disciplinare nel tempo
l’applicabilità delle disposizioni processuali e non appare irragionevole
il mantenimento della pregressa disciplina per i ricorsi per cassazione
promossi avverso provvedimenti pubblicati prima dell’entrata in
vigore della novella (Cass., Sez. L, n. 26364 del 16/12/2009; Sez. 3,
n. 15718 del 18/07/2011);
– è manifestamente infondata pure la dedotta questione di
legittimità costituzionale dell’art. 366-bis cod. proc. civ., posta dalla
ricorrente in relazione all’art. 3 Cost. e al diritto dell’Unione europea,
avendo questa Corte già statuito che la suddetta norma di cui all’art.
366-bis – come interpretata costantemente dalla giurisprudenza di
legittimità – non discrimina, in alcun modo, i cittadini, non lede il loro
diritto di agire in giudizio (peraltro esercitato mediante la difesa
tecnica di avvocati iscritti nell’apposito albo dei cassazionisti e, perciò,
dotati di particolare competenza professionale) e, infine, non
impedisce (né rende estremamente difficile) il ricorso per cassazione
(Cass., Sez. 3, n. 27680 del 30/12/2009);
– parimenti è manifestamente infondato l’assunto della
ricorrente secondo cui la previsione dell’art. 366-bis cod. proc. civ. si
porrebbe in contrasto con l’art. 6 della C.E.D.U. laddove tale norma
assicura il diritto di accesso ad un Tribunale, avendo – al contrario la Corte E.D.U. statuito sul punto che la condizione di ammissibilità
del ricorso in Cassazione prevista dall’art. 366-bis del codice di
procedura civile italiano (consistente – secondo la normativa in vigore

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di tale disposizione per contrasto con l’art. 3 Cost., in quanto rientra

all’epoca della presentazione del ricorso – nella formulazione di un
quesito di diritto che permetta di individuare il contenuto del ricorso e
il ragionamento della parte) non integra la violazione dell’art. 6
paragrafo 1 della C.E.D.U. sotto il profilo del diritto di accesso ad un
tribunale, in quanto essa non comporta alcuno sforzo particolare
supplementare da parte del ricorrente (sentenza Corte E.D.U. del

– poiché il ricorso, per quanto sopra, prospetta, piuttosto che
errori di percezione di un fatto, veri e propri errori di giudizio,
insuscettibili di essere dedotti con lo strumento processuale della
revocazione, esso va dichiarato inammissibile;

nulla va statuito sulle spese, non avendo la parte intimata

svolto attività difensiva;
– ricorrono i presupposti di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R.
n. 115/2002 per il raddoppio del versamento del contributo unificato;
P. Q. M.
dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei
presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore
importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione

15/09/2016, nel caso Trevisa nato contro Italia);

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