Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5138 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2011, (ud. 02/02/2011, dep. 03/03/2011), n.5138

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. MANCINI Rossana – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

AEM S.P.A., – (Azienda Energetica Milanese s.p.a), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA PO 25/B, presso lo studio dell’avvocato GENTILE GIOVANNI

GIUSEPPE, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato PRISCO

LUIGI MARIA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

T.C.;

– intimato –

e sul ricorso 32210-2007 proposto da:

T.C., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato CIVITELLI ANTONIO, giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

AEM S.P.A., – (Azienda Energetica Milanese s.p.a);

– intimata –

avverso la sentenza n. 873/2007 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/09/2007 R.G.N. 176/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/02/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato GIOVANNI GIUSEPPE GENTILE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

BASILE Tommaso, che ha concluso per l’inammissibilità in subordine

rigetto del ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 24 maggio 2006 la s.p.a. AEM appellava la sentenza 27 gennaio 2005, n. 291 del Tribunale di Milano, che l’aveva condannata ad assegnare a T.C. mansioni equivalenti a quelle di capo turno, e a pagargli a titolo risarcitorio una retribuzione globale di fatto per ogni anno dal 15 maggio 1995. Secondo l’appellante non sussisteva il demansionamento alla base delle statuizioni del Tribunale, posto che, come era risultato dall’istruttoria acquisita, quella di capo turno attribuita al T. era una dicitura esprimente il raggiungimento di un certo grado di anzianità e non una qualifica, facendo il T. e continuando a fare la guardia giurata dopo la ristrutturazione avvenuta presso l’AEM nel maggio 1995.

L’attore – sosteneva sempre l’appellante – non aveva subito, e comunque non aveva provato, danno alla professionalità o alla carriera, erroneamente considerato in re ipsa dal primo giudice e liquidato apoditticamente nel 10% della retribuzione.

L’appellato resisteva, in particolare, quanto all’appello avverso la statuizione risarcitoria, rilevandone la distonia rispetto a decisum e ratio decidendi.

Con sentenza del 20-27 settembre 2007, l’adita Corte d’appello di Milano, ritenuta provata la lamentata dequalificazione nonchè il conseguente danno nella misura accertata dal primo giudice, rigettava il gravame. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre l’AEM Service spa con quattro motivi, ulteriormente illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c. Resiste T.C. con controricorso proponendo a sua volta ricorso incidentale condizionato, affidato ad un unico motivo.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso AEM, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c. in relazione all’art. 2103 c.c., con conseguente nullità della sentenza, e motivazione omessa in relazione all’art. 116 c.p.c. (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4, e 5), lamenta che la Corte di Appello di Milano abbia errato nel ritenere la lamentata dequalificazione in quanto il T., anche dopo la sottrazione della qualifica di capo-turno, avrebbe conservato talune mansioni caratterizzanti il contenuto professionale di detta qualifica; ad avviso dell’AEM, infatti, vi sarebbe stata, nel caso di specie, una mera “perdita di posizione solo formale”, non dovendosi riconoscere nel “coordinamento” delle altre guardie spiegato dal capo-turno un elemento caratterizzante tale la qualifica superiore.

Il motivo è infondato.

In proposito, la Corte di Appello di Milano, richiamando il Regolamento del Servizio di Vigilanza per il Personale della Società, ha rilevato che il capo-turno ha il compito di controllare la regolare effettuazione del servizio ed annotare eventuali irregolarità, anomalie e mancanze ed ogni fatto rilevante nell’apposito rapporto da consegnare al responsabile della vigilanza in sede; può apportare, qualora ne ravvisi l’opportunità, variazioni all’itinerario fissato, motivandone le ragioni nel rapporto.

Da tale esposizione, la Corte territoriale ha tratto il convincimento che, in maniera indiscutibile, alla figura regolamentare sono connessi compiti ulteriori rispetto alla semplice guardia giurata: il controllo della regolare effettuazione del servizio, la redazione di un rapporto, la segnalazione in esso delle eventuali irregolarità, anomalie, mancanze, la variazione dell’itinerario, se ritenuta opportuna. E si tratta di compiti qualificanti sia sul piano dell’oggettività del servizio (v. la mutazione dell’itinerario), sia nel rapporto con gli altri addetti al turno, dei quali deve riferire le mancanze; qualificazione che trova efficace corrispondenza nella formula semantica del capo-turno. Inoltre, dagli elementi probatori utilizzati dal Tribunale è emerso anche nei fatti che il capo turno desse indicazioni alle guardie, avesse le chiavi dei distributori per rifornire gli automezzi di carburante (dep. P.), fosse il punto di riferimento degli addetti (dep. O.). Compiti, questi, che caratterizzano sul piano qualitativo la funzione, e la cui soppressione implica un abbassamento della sua posizione nell’ambito aziendale”.

Con il secondo motivo la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 9 del CCNL 1.12.1991 per i lavoratori addetti al settore elettrico anche in relazione agli artt. 1362 e ss. c.c., censura la sentenza impugnata per avere la stessa errato nell’interpretare la declaratoria contrattuale della qualifica BIS relativa alla posizione lavorativa del sig. T.; secondo la società ricorrente, infatti, proprio dalla corretta interpretazione di tale declaratoria dovrebbe ricavarsi la insussistenza della dequalificazione, per essere ancora la prestazione del sig. T. caratterizzata dal requisito della rappresentanza attribuita dall’azienda”, ed ovvero quel requisito che – essendo secondo l’AEM alternativo agli altri (quali: “funzioni di sovrintendenza e di coordinamento di altri lavoratori, contenuto specialistico particolarmente elevato delle mansioni”) – è sufficiente che sussista ai fini della corretta sussunzione della prestazione eseguita nella stessa suindicata qualifica.

Il motivo è inammissibile, in quanto non riflette l’iter logico seguito dal Giudice a quo nella determinazione della qualifica spettante, impostato con riferimento ai compiti del capo turno così come analiticamente descritti e specificati nel Regolamento del servizio di vigilanza AEM. Pertanto, la censura doveva essere svolta, tenendo conto di siffatto referente adottato dalla Corte d’appello ai fini della decisione, per nulla considerato dalla ricorrente.

Con il terzo ed il quarto motivo di gravame, l’AEM censura la sentenza impugnata per avere la stessa provveduto a liquidare equitativamente un risarcimento del danno senza che, al riguardo, il lavoratore avesse (ad avviso della stessa società ricorrente) nulla provato al riguardo, così ricorrendo una presunta violazione dei principi per i quali il Giudice non potrebbe giudicare oltre quanto allegato e provato dall’attore.

Si osserva, al riguardo, che la Corte di Appello di Milano ha sul punto espressamente rilevato e ritenuto che: “il ridimensionamento della collocazione professionale dell’attore, che, lo si ripete, ha anche un riscontro semantico di pronta percepibilità, non solo inevitabilmente pregiudica la sua posizione ai sviluppo di carriera ma anche, come rilevato dal Tribunale, il suo prestigio – e quindi la sua persona – nei rapporti con i colleghi: il capo turno non è più tale, ma uno come gli altri addetti; non a caso, l’attore aveva fatto richiamo alla lesione della personalità del ricorrente sia all’interno che all’esterno della collettività aziendale (pag. 15 dell’atto introduttivo della lite). Bene ha fatto, allora, il primo giudice a riconoscere a T. il risarcimento di tale pregiudizio, che, diversamente da quanto lamentato dall’appellante, non è stato quantificato nell’esorbitante misura del 10% della retribuzione mensile, ma in una mensilità ogni anno di dequalificazione (quindi, l’8,33 della retribuzione mensile), e ciò utilizzando, non potendovi essere diverso metodo di quantificazione (art. 1226 c.c.), il criterio equitativo, che ha correttamente rapportato a più aspetti della fattispecie concreta”.

Osserva il Collegio che proprio dalla lettura del capo della sentenza impugnata in cui si riconosce la sussistenza del danno esistenziale da dequalificazione si ricava la correttezza dell’iter logico- giuridico con cui la Corte d’appello ha fondato le sue motivazioni al riguardo, in quanto così operando si è adeguata all’orientamento di questa Corte in materia, che in relazione al danno non patrimoniale per demansionamento, considerato che il pregiudizio attiene ad un bene immateriale, precipuo rilievo assume rispetto a questo tipo di danno la prova per presunzioni, purchè, secondo le regole di cui all’art. 2727 cod. civ. venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta descrivono: durata, gravità, conoscibilità all’interno ed all’esterno del luogo di lavoro della operata dequalificazione, frustrazione di (precisate e ragionevoli) aspettative di progressione professionale (cfr. Cass. S.U. n. 6572/06).

Per quanto precede il ricorso della AEM va rigettato, rimanendo assorbito quello incidentale condizionato proposto dal T..

Le spese del presente giudizio, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito l’incidentale. Condanna la A.E.M. spa alle spese di questo giudizio, liquidate in Euro 45,00 oltre Euro 2.500,00 per onorari ed oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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