Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5132 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. II, 03/03/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5132

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – rel. Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere –

Dott. BIANCHINI BRUNO – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15972/2005 proposto da:

C.R. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA MARIA ADELAIDE 8, presso lo studio

dell’avvocato MINUTILLO TURTUR ROBERTO, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRINCHERA’ ANDREA MARIA;

– ricorrente –

e contro

F.R., ROGI DI FRANCONE R & C SAS, FE.GI.;

– intimati –

sul ricorso 19070/2005 proposto da:

FE.GI. C.F. (OMISSIS), ROGI DI FRANCONE R & C

SAS, P.I. (OMISSIS), in persona del suo legale rappresentante pro

tempore F.R., F.R. (OMISSIS)

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MORPURGO 31, presso lo studio

dell’avvocato BOFFA FRANCO, che li rappresenta e difende unitamente

all’avvocato GALDINI GIOVANNI;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

e contro

C.R.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 676/2004 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 28/04/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

19/01/2011 dal Consigliere Dott. GAETANO ANTONIO BURSESE;

udito l’Avvocato Trinchera Andrea Maria difensore del ricorrente che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso

principale, nei confronti della Società, infondato il ricorso

principale nei confronti dei soggetti della Società, inammissibile

il ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Dott. C.R. chiedeva ed otteneva dal tribunale di Torino il decreto ingiuntivo n. 7312/2000 per complessive L. 143.702.400 nei confronti, tra gli altri, di F.R. e Fe.Gi. a titolo di mancato pagamento di prestazioni professionali svolte in loro favore e di altri soci di minoranza della SO.FIN. Piemonte spa con sede in (OMISSIS). Il C., di professione commercialista, era stato infatti incaricato di assistere costoro nella vicenda che li aveva visti contrapposti ai soci di maggioranza delle stessa società SO.FIN. Piemonte, i quali ultimi, al fine di troncare lo scontento che andava crescendo nelle file dei soci di minoranza per la conduzione della società, avevano proposto di rendersi acquirenti delle loro quote di capitale offrendo L. 2.000 per ogni azione della società in questione. Il Dott. C., dopo aver visionato sbilanci e lo stato patrimoniale della SOFIN Piemonte spa, aveva espresso un primo giudizio di non congruità dell’offerta, per cui aveva prospettato ai suoi clienti la possibilità di un maggior realizzo (riteneva infatti il valore delle quote in misura non inferiore a L. 3.500), consigliando le azioni da intraprendere per il perseguimento di tale scopo. Con scrittura privata in data 19.3.1993, predisposta dallo stesso commercialista, veniva conferito a lui l’incarico e con altra scrittura in pari data (sempre predisposta dal C.), era prevista e regolata la remunerazione delle prestazioni professionali che dal medesimo sarebbero state svolte. Il C. consigliava l’avvio in sede giudiziale di numerose azioni su vari fronti, che venivano poi attuate, sfociando nella nomina di un amministratore giudiziale nella spa SOFIN Piemonte. Le parti infine pervenivano all’accordo in data 1.3.1996 in virtù del quale i soci dissidenti e cedenti venivano remunerati con parte del patrimonio della stessa spa SO.FIN, con conguaglio in danaro e spazi pubblicitari, per cui si poteva calcolare che i predetti soci erano venuti a percepire L. 2100 per azione, con un costo integralmente pagato di L. 65 milioni per la sola assistenza legale, oltre a L. 30 milioni corrisposti al C. per le sue prestazioni. Quest’ultimo, con lettera racc. del 4.6.96 si era dissociato dal contenuto dell’accordo, sottolineando che era stato stipulato a sua totale insaputa.

Avverso il menzionato decreto ingiuntivo, F.R. e Fe.Gi. proponevano opposizione con atto di citazione notificato in data 15.12.2000, deducendo la loro carenza di legittimazione passiva essendo semmai la RO.GI. sas (unica detentrice delle azioni della spa SO.FIN. Piemonte spa) che aveva conferito l’incarico professionale in questione al commercialista per il tramite del suo legale rappresentante Fe.Gi.; in via preliminare eccepivano la prescrizione del credito e nel merito asserivano di avere interamente corrisposto quanto spettante al C., per cui erano infondate le pretese creditorie azionate.

Quest’ultimo, costituendosi in giudizio, chiedeva il rigetto dell’opposizione, rilevando che entrambi gli opponenti erano soci accomandatari e accomandanti della RO.GI sas, che chiedeva di essere autorizzato a chiamare in causa. Detta società quindi si costituiva eccependo preliminarmente la prescrizione del credito e in subordine l’inesistenza del credito stesso.

Previa concessione della provvisoria esecuzione al decreto impugnato, l’adito tribunale, con sentenza n. 3094/03, rigettava l’opposizione al provvedimento minitorio che confermava; dichiarava la società RO.GI. sas tenuta al pagamento richiesto dal professionista, ed in solido con gli attori, della somma di Euro 45.188,33, con gli interessi legali dalle scadenze delle fatture, al saldo. Poneva le spese del giudizio a carico degli opponenti e della terza chiamata.

Secondo il tribunale era infondata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dagli opponenti e sussisteva solidarietà di costoro con la società RO.GI. di cui i medesimi erano stati alternativamente, per periodi diversi, soci accomandatari; mentre l’attività professionale svolta non era stata oggetto di contrasto ed erano perciò congrue le valutazioni di cui alla prodotta parcella professionale, verificata dall’Ordine professionale dei Commercialisti.

Avverso la predetta sentenza proponevano appello la RO.GI. sas, F.R. e Fe.Gi. chiedendone l’integrale riforma siccome ingiusta e gravatoria, riproponendo in sostanza le precedenti eccezioni e difese. Si costituiva l’appellato contestando la fondatezza del proposte gravame.

L’adita Corte d’Appello di Torino, con sentenza n. 676/04 depos. in data 28.4.2004, in parziale riforma della decisione impugnata, rigettava la domanda proposta dal C. contro la F. ed il Fe. in proprio, revocando il d.i. opposto; eliminava la statuizione di solidarietà tra la soc. RO.GI. sas e la F. ed il Fe. in proprio verso l’appellato, rideterminando in Euro 882,65 il debito di tale società nei confronti del C.;

regolava in vario modo le spese di entrambi i gradi di giudizio. La corte torinese, sulla base dell’interpretazione della menzionata scrittura in data 19.3.93 e considerato che il C. non aveva preso parte alle trattative poi sfociate nell’accordo transattivo del 1 marzo 1996 (in cui vi fu in sostanza una cessione delle azioni valutate L. 2100, quindi per un prezzo inferiore al valore minimo previsto nella menzionata scrittura del 19.3.1993 pari a L. 2.500), rideterminava il compenso riducendo proporzionalmente il valore più basso previsto dalla tabella convenzionale, per cui, tenuto conto che il valore realizzato era pari all’84,44% di quello stabilito, la liquidazione del compenso stesso era stabilita per il minore importo di L. 59.108.000, somma quasi totalmente versata a professionista Avverso la predetta sentenza C.R. propone ricorso per cassazione, sulla base di varie censure, illustrate da memoria ex art. 378 c.p.c., lamentando violazioni dei legge e vizi di motivazione. Resistono con controricorso gli intimati, che hanno altresì proposto ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente occorre procedere alla riunione dei ricorsi. E’ necessario rilevare in premessa che la RO.GI.sas risulta cancellata dal registro delle imprese in data 2.8.99 e che, come precisato da questa S.C., la cancellazione dal registro delle imprese di una società commerciale (di capitali e di persone) avvenuta in data anteriore all’entrata in vigore del nuovo art. 2495 c.c. (come modificato dal D.Lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, art. 4), determina l’estinzione della società a partire dal 1 gennaio 2004; in questa data infatti è entrata in vigore la nuova disposizione normativa, la quale non ha inciso sui presupposti della cancellazione in precedenza effettuata, ma ne ha regolato gli effetti, comportando, perciò, l’operare dell’effetto estintivo dal predetto giorno (Cass. n. 4060 del 22.2.2010; Cass n. 22548 del 05/11/2010). Di conseguenza devono essere dichiarati inammissibili il ricorso per cassazione proposto dal C. contro la sas RO.GI (notif. in data 9.5.2005) ed il ricorso incidentale di tale ultima società in data 19.7.2005 avverso la stessa sentenza.

Ciò posto passando all’esame del ricorso principale avanzato dal C. nei confronti di F. e Fe., si rileva che con il primo motivo l’esponente denunzia violazione di legge (artt. 1362, 1366 e 1370 c.c.) e difetto di motivazione, censurando il criterio seguito dalla Corte d’Appello per stabilire il compenso spettante al commercialista, con riferimento all’interpretazione della scrittura privata de 19.3.93, che prevedeva due distinti criteri per stabilire il corrispettivo, quello legale a tariffa e quello convenzionale. Secondo il ricorrente, dall’analisi della predetta scrittura e da una sua corretta interpretazione in conformità con canoni di ermeneutica contrattuale, si evince che la stessa non disciplina in modo espresso l’ipotesi in cui le azioni fossero cedute a un valore inferiore a L. 2.500 ciascuna, come invece accaduto nel caso di specie in cui la cessione è avvenuta al valore di realizzo di L. 2100. La Corte di merito invece ha ritenuto arbitrariamente di ridurre proporzionalmente il compenso, ignorando però che vi erano altre soluzioni (elencate a v. pag 41 del ricorso), la migliore delle quali – ad avviso dell’esponente – poteva esser quella per cui i riconoscimento di una compenso pari a L. 70.000.000 costituiva “un minimo inderogabile”, sotto il quale non si sarebbe potuto scendere. Il commercialista invero, nella complessa e laboriosa operazione finanziaria intrapresa, si era assunto un “ragionevole” rischio che però non poteva spingersi a un punto tale “da vedersi liquidare un compenso pari a ….zero”. La Corte ha erroneamente ritenuto, dunque, che il criterio convenzionale (operante nel caso di cessione delle azioni) del compenso e quello legale (secondo le tariffe, commisurato all’attività realmente svolta dal professionista) fossero graduati e che la tariffa legale comportasse per il commercialista un compenso superiore. In realtà il c.d. criterio legale interveniva solo in caso di mancata cessione delle azioni, alle cui trattative non poteva rimanere estraneo il commercialista (che aveva l’incarico si spuntare il prezzo più alto), per cui nella fattispecie doveva applicarsi il criterio residuale cioè quello legale a tariffa. Pertanto il ricorrente concludeva per la conferma della condanna degli intimati a corrispondere la somma di Euro 45.188,13, oltre interessi legali, dalla scadenza delle fatture sino al saldo, come stabilito dal primo giudice.

La doglianza non appare fondata, essendo evidente che le denunciate violazioni di legge ed i dedotti vizi di motivazione si risolvono in questioni di fatto, dirette a sollecitare un nuovo inammissibile giudizio di merito in sede di legittimità.

Ha più volte precisato questa S.C., quanto al vizio di motivazione, che lo stesso è configurabile “soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando è evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già, invece, quando vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poichè, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione”.

(Cass. n. 2272 del 02/02/2007).

Ciò premesso, ritiene il Collegio che il giudice d’appello, nell’interpretazione della scrittura privata con cui le parti hanno convenuto il compenso del professionista, abbia correttamente seguito i canoni ermeneutici dettati dal c.c. in tema d’interpretazione del negozio, come fa fede la l’esaustiva ed ampia motivazione addotta ( sia sotto il profilo giuridico che sul piano logico) per giustificare la scelta del criterio interpretativo seguito. La corte territoriale in specie, ha ritenuto di non condividere la tesi suggerita dall’esponente in quanto contraria sia alla ragionevolezza che alla logica comune, per cui, per il commercialista, pur avendo svolto un’attività professionale più ridotta, per non aver preso parte alle trattative sfociate nell’atto transattivo culminato con la cessione delle azioni, ciononostante “egli verrebbe ad ottenere un compenso di gran lunga superiore a quello convenuto ove il fine fosse stato conseguito”. Tale compenso è evidentemente quello riconosciuto dal tribunale liquidato sulla base delle tabelle professionali, su conforme parere dell’ordine professionale.

Appare inoltre conforme a logica la motivata opinione del giudicante, secondo cui nell’ambito dei c.d. criterio convenzionale le parti non avevano previsto un “minimo inderogabile” (come invece sostenuto dal ricorrente), così come appare immune da censure il conseguente calcolo del compenso correttamente operato dallo stesso giudice su Ha base del criterio da lui scelto.

Passando all’esame dell’ulteriore motivo, con esso l’esponente denuncia la violazione degli artt. 1369, 1294, 2304, 2313, 2315 ed il vizio di motivazione, con riferimento alla responsabilità solidale passiva tra i soci F. – Fe. e la RO.GI. sas erroneamente esclusa dalla Corte torinese, secondo cui i soci della stessa società erano tenuti solo pro quota a remunerare il ricorrente.

La doglianza è fondata.

In effetti è vero che il beneficio d’escussione previsto dall’art. 2304 c.c., ha efficacia limitatamente alla fase esecutiva, nel senso che il creditore sociale non può procedere coattivamente a carico del socio se non dopo avere agito infruttuosamente sui beni della società; ciò però “non impedisce allo stesso creditore d’agire in sede di cognizione per munirsi di uno specifico titolo esecutivo nei confronti del socio, sia per poter iscrivere ipoteca giudiziale sugli immobili di quest’ultimo, sia per poter agire in via esecutiva contro il medesimo, senza ulteriori indugi, una volta che il patrimonio sociale risulti incapiente o insufficiente al soddisfacimento del suo credito” (Cass. n. 13183 del 26/11/1999; Cass. n. 1040 del 16.1.2009).

Dall’ accoglimento di tale motivo discende l’assorbimento della residua doglianza che riguarda la liquidazione delle spese processuali come effettuata dal giudice dell’appello.

Quanto al ricorso incidentale proposto dalla F. e dal Fe., per le stesse considerazioni sopra svolte, appare infondato il primo motivo dello stesso, che riguarda la determinazione del compenso del professionista; peraltro, le argomentazioni ivi addotte (invero di assai scarsa intelligibilità) non inficiano in alcun mordo il ragionamento svolto in proposito dalla Corte d’Appello e di cui si è detto sopra più diffusamente.

Appare poi evidente l’inammissibilità del 2^ motivo (vizio di motivazione in punto estromissione del C. dalle trattative sfociata nell’accordo 1.3.96 con riferimento alle prove dedotte (con memoria autorizzata il 28.11.03) ma non ammesse dalla Corte d’Appello.

Conclusivamente, l’accoglimento del 2^ motivo del ricorso principale comporta la cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto. La causa può essere decisa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., non essendo necessario alcun accertamento di fatto; ciò comporta la condanna della F. e del Fe. a quanto statuito dal Tribunale di Torino con la sentenza impugnata, in ordine al loro solidarietà con la sas RO.GI, nel confronti di C.R..

In considerazione dei profili processuali e sostanziali della fattispecie, con particolare riferimento alla complessità ed alle difficoltà delle questioni trattate, si ritiene di compensare interamente tra le parti le spese dell’intero giudizio.

PQM

riunisce i ricorsi; dichiara inammissibile il ricorso proposto da C.R. nei confronti della sas RO.GI. ed il ricorso incidentale proposto dalla società medesima avverso la sentenza impugnata; rigetta il 1 motivo del ricorso principale, nonchè il ricorso incidentale proposto dalla F. e dal Fe.;

accoglie il 2^ motivo del ricorso principale, assorbito il 3^ motivo del ricorso stesso; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, condanna la F. ed il Fe. a quanto statuito dalla Corte d’Appello di Torino con la sentenza impugnata, in ordine alloro solidarietà con la sas RO.GI, nei confronti di C.R.; compensa le spese dell’intero giudizio.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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