Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5130 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. II, 03/03/2011, (ud. 18/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

CALOR CLIMA s.a.s. di Dario Coltellacci & C (OMISSIS), in persona

del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, in

forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv. DELLA

VALLE Giorgio, elettivamente domiciliata presso il suo studio in

Roma, Piazza Mazzini, 8;

– ricorrente –

contro

RIELLO s.p.a. (già RBL – Riello Bruciatori Legnago s.p.a.)

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentata e difesa, in forza di procura speciale a margine del

controricorso, dagli Avv. GIORDANO Claudio e Stefano Queirolo,

elettivamente domiciliata nello studio di quest’ultimo in Roma,

Lungotevere Arnaldo da Brescia, n. 9;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Venezia n. 2164 del 29

dicembre 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 18

gennaio 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi, gli Avv. Giorgio Della Valle e Stefano Queirolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per

l’accoglimento del ricorso per quanto di ragione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Con atto di citazione notificato il 18 settembre 1997, la s.a.s.

Calor Clima, di Dario Coltellacci & C., ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Verona la s.p.a. Riello Bruciatori Legnago e – premesso di avere intrattenuto con quest’ultima rapporto di agenzia commerciale con deposito e successivamente di agenzia e distribuzione a far tempo dal 1 gennaio 1988 sino al 29 febbraio 1996, data in cui il rapporto era cessato a seguito di disdetta inviata dalla preponente il 6 dicembre 1995 – ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento della somma di L. 240.221.584 (per le spettanze del rapporto di agenzia) oltre a L. 591.244.650 (quale risarcimento del danno da responsabilità contrattuale e/o extracontrattuale), domandando: (a) anche a norma dell’art. 1751 cod. civ., comma 4, il risarcimento del danno conseguito alla imprevista risoluzione del rapporto, in relazione alle ingenti spese sostenute per il potenziamento dell’attività di vendita della Riello, con conseguente mancato ammortamento dei costi; (b) l’indennità di cessazione del rapporto ex art. 1751 cod. civ., corrisposta invece nella minor misura di cui all’A.E.C. c.d. “ponte” del 20 ottobre 1992; (c) l’indennità di mancato preavviso, dovuta per mesi sei o almeno mesi quattro e data invece per soli mesi due; (d) l’indennità di maneggio denaro per l’attività di esazione svolta e non compensata; (e) varie altre spettanze, indicate in dettaglio, maturate in dipendenza del rapporto.

Si è costituita la convenuta, resistendo alla domanda attrice.

Il Tribunale di Verona, con sentenza n. 1905 in data 10 ottobre 2000, ha respinto la domanda.

2. – La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 2164 resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 29 dicembre 2004, ha respinto l’appello della s.a.s. Calor Clima, condannandola al rimborso delle spese processuali sostenute dall’appellata s.p.a. RBL – Riello Bruciatori Legnano, poi s.p.a. Riello, liquidate in euro 21.396,28, di cui Euro 2.510 per diritti ed Euro 15.800 per onorari.

2.1. – La Corte territoriale ha ritenuto documentalmente provato: che il contratto di agenzia, stipulato tra la s.p.a. Riello e la s.a.s.

Calor Clima in data 1 gennaio 1988, è cessato il 31 dicembre 1992, con liquidazione delle spettanze di fine rapporto; che Calor Clima è stata posta in liquidazione a far data dal 22 dicembre 1992; che tra il 1 gennaio 1993 ed il 31 dicembre 1993, nella zona precedentemente affidata a Calor Clima, ha operato la s.a.s. Air Calor; che tale contratto è cessato in data 31 dicembre 1993, a seguito di disdetta della stessa Air Calor, cui sono state regolarmente corrisposte le indennità di fine rapporto; che solo a far data dal 1 gennaio 1994, dopo un’interruzione di oltre un anno, Riello e Calor Clima avviarono nuovi ed autonomi rapporti contrattuali, rispettivamente di agenzia e distribuzione di assistenza tecnica, cessati il 29 febbraio ed il 31 marzo 1996 a seguito delle lettere di disdetta inviate da Riello.

La Corte d’appello:

– ha escluso l’unicità dei rapporti intercorsi nel tempo tra i diversi soggetti avvicendatisi;

– ha disatteso la tesi secondo cui nella specie si sarebbe verificata una duplice cessione di azienda, da Calor Clima ad Air Calor prima e da quest’ultima a Calor Clima poi;

– ha negato che l’appellante sia legittimata a reclamare alcunchè in relazione al contratto di agenzia intercorso con Riello nel periodo dal 1988 al 1992, essendo detto rapporto cessato nel 1992 con liquidazione delle indennità di fine rapporto, accettate senza contestazione o riserva alcuna, in assenza di reclami successivi alla risoluzione del contratto;

– ha ritenuto infondata la tesi secondo cui a Calor Clima sarebbe spettato un preavviso di sei o di quattro mesi;

– ha escluso la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento in favore dell’appellante delle voci di indennità da essa reclamate.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la s.a.s.

Calor Clima ha proposto ricorso, con atto avviato alla notifica il 1 giugno 2005, sulla base di sei motivi.

L’intimata s.p.a. Riello ha resistito con controricorso.

La ricorrente ha depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo, relativo all’indennità sostitutiva del preavviso, la ricorrente denuncia violazione o erronea applicazione dell’art. 1750 cod. civ., art. 8 dell’accordo economico di categoria 20 giugno 1956 e 9 dell’accordo economico di categoria del 16 novembre 1988, nonchè violazione o erronea applicazione dell’art. 1362 cod. civ., e segg., in punto di interpretazione del contratto e motivazione contraddittoria. Ad avviso della ricorrente, avrebbe errato la Corte d’appello a ritenere che l’espressione “termini di legge”, contenuta nell’art. 15 del contratto, debba intendersi come rinvio alla sola normativa codicistica anzichè anche a quella collettiva, prevedente nella specie l’indennità sostitutiva del preavviso in mesi quattro (cosi l’art. 8 dell’accordo del 1956) o in mesi sei (secondo l’art. 9 dell’accordo del 1988).

1.1. – Il motivo è inammissibile.

L’inapplicabilità degli accordi economici di categoria in materia di preavviso, ed il conseguente rigetto della pretesa di Calor Clima, sono stati argomentati dalla Corte di Venezia sulla base di due rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sostenere l’adottata statuizione: (a) in primo luogo, in relazione alla circostanza che “l’art. 15 del contratto di agenzia e distribuzione … fa espresso riferimento ai termini di legge e come tali possono considerarsi unicamente quelli previsti dall’art. 1750 cod. civ.”; (b) in secondo luogo, in considerazione del fatto che “le norme contenute negli accordi economici collettivi, sia del 1956 che del 1988, sono decadute a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 1750 così come novellato dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, che ha disciplinato in maniera diversa e compiuta l’istituto del preavviso in materia di agenzia, uniformandosi al dettato della direttiva CEE n. 653 del 1986”.

Questa seconda ratio decidendi, concernente la perdita di efficacia in parte qua degli accordi per effetto della novellazione dell’art. 1750 cod. civ., non è stata adeguatamente censurata dalla ricorrente.

Vero è che la ricorrente sostiene che “l’art. 1750 cod. civ. faculti, espressamente le parti (evidentemente in sede di contrattazione collettiva) a concordare ter-mini di preavviso di maggior durata”, ma nessuna critica, specifica e circostanziata, è stata mossa all’argomentazione in diritto della Corte d’appello, secondo cui la novellazione dell’art. 1750 cod. civ. avrebbe comportato la caducazione della corrispondente parte degli accordi di categoria del 1956 e del 1988. Tutta la sostanza della censura ruota intorno alla critica dell’altra ratio decidendi, deducendosi che vi sarebbe nel testo della pronuncia impugnata una “lettura forzata” del testo contrattuale, posto che l’espressione “termini di legge”, utilizzata nell’art. 15 del contratto, dovrebbe intendersi come rinvio anche alla normativa collettiva.

Trova pertanto applicazione, per condurre all’inammissibilità del motivo, il principio – costante nella giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, Sez. 3^, 20 novembre 2009, n. 24540) – secondo cui ove la decisione impugnata sia fondata su una pluralità di ragioni, tra di loro distinte e tutte autonomamente sufficienti a sorreggerla sul piano logico-giuridico, è necessario, affinchè si giunga alla cassazione della pronuncia, che il ricorso si rivolga contro ciascuna di esse, in quanto, in caso contrario, le ragioni non censurate sortirebbero l’effetto di mantenere ferma la decisione basata su di esse.

2. – Con il secondo mezzo, concernente l’indennità in caso di cessazione del rapporto, la ricorrente prospetta violazione o erronea applicazione dell’art. 1751 cod. civ., e dell’accordo economico collettivo del 30 ottobre 1992, nonchè motivazione erronea o contraddittoria, ai sensi dell’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

La Corte lagunare avrebbe eluso il problema della sussistenza dei requisiti per l’applicabilità dell’indennità meritocratica, prevista dall’art. 1751 cod. civ., nel testo novellato dal D.Lgs. 10 settembre 1991, n. 303, in attuazione della direttiva comunitaria n. 86/653/CEE, statuendo l’inapplicabilità dell’art. 1751 cod. civ., a favore degli accordi economici collettivi, ritenendo questi ultimi, in astratto, più favorevoli all’agente. La Corte territoriale avrebbe, per un verso, privilegiato gli accordi collettivi, laddove il contratto di agenzia fa rinvio, con l’art. 18, alle indennità di legge; per l’altro verso, avrebbe erroneamente affermato che l’attrice non aveva provato i presupposti dell’istituto (l’aumento del fatturato e la permanenza di un vantaggio patrimoniale in capo alla preponente), senza considerare che, prima della novella di cui al D.Lgs. 15 febbraio 1999, n. 65, il requisito dell’incremento degli affari o dei clienti con vantaggio della mandante era previsto in via alternativa a quello della rispondenza ad equità dell’indennità medesima. E nella specie proprio la durata venticinquennale del rapporto, la peculiarità dello stesso, la molteplicità di prestazioni richieste da Riello, l’obbligo imposto all’agente di dotarsi di una organizzazione per sopperire alle esigenze della distribuzione costituivano circostanze documentate che avrebbero dovuto imporre il riconoscimento dell’indennità.

2.1. – Il motivo è infondato.

2.1.1. – Va preliminarmente osservato che coglie nel segno la censura della ricorrente, là dove si appunta contro la ratio decidendi che ha ritenuto inapplicabile l’art. 1751 cod. civ. per essere la disciplina dell’indennità di fine rapporto prevista dall’accordo collettivo di settore del 1992 “normativa in astratto più favorevole all’agente”.

Così decidendo, la Corte territoriale non ha fatto applicazione del principio secondo cui ai fini della quantificazione dell’indennità di fine rapporto dovuta all’agente in caso di cessazione del rapporto di agenzia, l’art. 1751 cod. civ., nel testo introdotto dal D.Lgs. n. 303 del 1991, art. 4, attuativo della direttiva 86/653/CEE sul coordinamento del diritto degli Stati membri concernenti gli agenti commerciali indipendenti – per la parte in cui prevede che le disposizioni ivi fissate in materia di indennità di fine rapporto sono inderogabili a svantaggio dell’agente (comma 6) – si interpreta nel senso che il giudice deve sempre applicare la normativa che assicuri all’agente, alla luce delle vicende del rapporto concluso, il risultato migliore, siccome la prevista inderogabilità a svantaggio dell’agente comporta che l’importo determinato dal giudice ai sensi della normativa legale deve prevalere su quello, inferiore, spettante in applicazione di regole pattizie, anche collettive. Tale conclusione, cui si perviene in forza dell’interpretazione degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653 data dalla Corte di giustizia (sentenza 23 marzo 2006, in causa C-465/04), non impone il calcolo dell’indennità in maniera analitica, mediante la stima delle ulteriori provvigioni che l’agente avrebbe presumibilmente percepito negli anni successivi alla risoluzione del rapporto, in quanto per detto art. 17 gli Stati membri godono di un potere discrezionale di fissare metodi di calcolo diversi, di carattere anche sintetico, in modo da valorizzare il criterio dell’equità, che tenga conto delle circostanze del caso concreto ed in particolare delle provvigioni perse dall’agente (Cass., Sez. lav., 3 ottobre 2006, n. 21301; Cass., Sez. lav., 23 aprile 2007, n. 9538; Cass., Sez. lav., 24 luglio 2007, n. 16347; Cass., Sez. lav., 19 febbraio 2008, n. 4056; Cass., Sez. lav., 22 settembre 2008, n. 23966). In questa materia, infatti, il compito del giudice del merito è di verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 cod. civ., comma 3 – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità (Cass., Sez. lav., 19 febbraio 2008, n. 4056, cit.).

2.1.2. – Sennonchè, fermo quanto sopra, e corretta, di conseguenza, ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ., l’erronea motivazione in diritto in parte qua, occorre rilevare che la sentenza impugnata si fonda, sul punto in discussione, su un’altra ratio decidendo, sufficiente a sostenere la decisione impugnata.

Invero, confermando la statuizione del primo giudice, la Corte territoriale ha affermato che Calor Clima non ha dato la prova della sussistenza delle condizioni alle quali l’art. 1751 cod. civ. (quand’anche applicabile) subordina la spettanza dell’indennità. Ha ritenuto che spetta all’agente provare “se e in che misura l’indennità gli sia dovuta: prova che l’appellante non ha invece in alcun modo fornito”.

Ora, non si può seguire la ricorrente quando sostiene che la Corte di Venezia – affermando che Calor Clima ha “omesso di provare la sussistenza delle condizioni richieste dall’art. 1751 cod. civ. …

per il riconoscimento dell’indennità” – non avrebbe considerato che, nel rapporto di agenzia, il diritto all’indennità di scioglimento del contratto – nella disciplina, ratione temporis applicabile, successiva alle modifiche introdotte dal D.Lgs. n. 303 del 1991 ed anteriore alla riformulazione ad opera del D.Lgs. n. 65 del 1999 – era subordinato alla presenza non di entrambe le condizioni previste dal comma 1 (permanenza, per il preponente, di sostanziali vantaggi derivanti dall’attività di promozione degli affari compiuta dall’agente e rispondenza ad equità dell’attribuzione all’agente dell’indennità, in considerazione delle circostanze del caso concreto e, in particolare, delle provvigioni da lui perse), essendo sufficiente, all’epoca, il ricorrere di almeno una delle due condizioni, e quindi anche il solo criterio dell’equità.

Infatti, non v’è alcuna traccia, nella sentenza impugnata, che lasci intendere che la Corte d’appello abbia avuto presente ed applicato il testo novellato (nel 1999) dell’art. 1751 cod. civ., anzichè quello anteriore (dopo la modifica del 1991), ponendo a carico dell’agente la prova della ricorrenza di entrambe le condizioni.

La Corte d’appello si è posta, più semplicemente, sul terreno della prova, giungendo a ritenere non dimostrata alcuna delle condizioni richieste dalla legge.

Solo se avesse ritenuto raggiunta la prova di una delle condizioni, ma non dell’altra, la Corte si sarebbe interrogata sulla sufficienza o meno dell’uno o dell’altro requisito previsto dagli alinea di cui si compone dell’art. 1751 cod. civ., comma 1.

Ora, sotto questo profilo, che concerne l’esclusione in fatto delle condizioni di legge, il ricorrente muove una doglianza generica – e non rispettosa del canone dell’autosufficienza – all’accertamento compiuto, con logico e motivato apprezzamento, dalla Corte territoriale.

Per un verso, infatti, il motivo di limita a far rinvio – nel tentativo di ritenere dimostrata almeno una delle due condizioni all’epoca richieste in via alternativa – alle “specifiche deduzioni” “sugli incrementi di affari e di clientela” contenute nella citazione intro-duttiva, ovvero, ancora, “alla produzione offerta e” a “quella stessa versata in atti dalla convenuta”, richiamando gli “idonei capitoli di prova rivolti sia a dimostrare l’incremento degli affari sia il pregiudizio subito dall’agente-distributore-assistente tecnico in conseguenza della cessazione del rapporto durato venticinque anni”.

Per l’altro verso – a sostegno della ricorrenza del requisito dell’equità – si fa leva, in particolare, sulla durata venticinquennale del rapporto, quando la Corte del merito, data la diversità dei rapporti intercorsi nel tempo, ha escluso qualsiasi rilevanza nella presente controversia a quelli tra Riello e Calor Clima nel periodo precedente al 1994.

Ciò stando, il motivo finisce per risolversi, anche là dove denuncia il vizio di violazione o falsa applicazione di legge, nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito, e non tiene conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata (Cass., Sez. lav., 23 dicembre 2009, n. 27162).

2.1.3. – Poichè la ratio decidendi relativa alla mancata prova delle condizioni richieste dall’art. 1751 cod. civ., resiste alle censure della ricorrente, il motivo è, nel suo complesso, infondato.

3. – Con il terzo motivo (violazione o errata applicazione dell’art. 2558 cod. civ., e, conseguentemente, per quanto di ragione, dell’art. 1751 cod, civ., comma 4, in relazione all’art. 360 cod. civ., nn. 3 e 5) ci si duole che la Corte territoriale, al riguardo della affermata unicità del rapporto venticinquennale e della sussistenza da parte dell’ agente di una successione nei contratti di agenzia ex art. 2558 cod. civ., abbia erroneamente affermato la novità della domanda in appello. Ad avviso della ricorrente, la dedotta unicità del rapporto rilevava sotto il profilo delle legittime aspettative di Calor Clima, ai fini della domanda risarcitoria di cui all’art. 1751 cod. civ., comma 4, stante l’affidamento determinato in capo a Calor Clima e al C. dai comportamenti, contrattuali e non, della Riello.

Sul punto – deduce la ricorrente – erano stati offerti documentazione significativa e capitoli di prova pienamente confacenti ingiustamente respinti.

3.1. – Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale non ha dato seguito alla deduzione dell’appellante del duplice trasferimento di azienda (da Calor Clima ad Air Calor e da Air Calor a Calor Clima) – introdotta per avvalorare la tesi della durata venticinquennale del rapporto – “sia perchè formulata per la prima volta in appello”, “sia perchè sfornita della necessaria prova scritta, richiesta dall’art. 2556 cod. civ.”.

Il motivo omette di censurare questa seconda ratio decidendi, limitandosi a criticare “la novità della domanda in appello”.

Occorre, pertanto, fare applicazione del principio enunciato retro, sub 1.1.

4.- Con il quarto mezzo (sulla indennità di maneggio denaro:

violazione dell’art. 6, comma 3, AEC 16 novembre 1988 e dell’art. 2041 cod. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5,) la ricorrente fatto rinvio “ai documenti di cui ai nn. 53 e 54 della cospicua documentazione attorea e a quanto dedotto in appello in ordine alla mancata contestazione da parte di Riello della entità dell’incassato pari a L. 1.414.000.000” – deduce che, proprio perchè l’attività di incasso non era oggetto di espressa pattuizione iniziale, essendo stata poi di fatto svolta con continuità da Calor Clima per incarico di Riello, all’agente spettava il compenso reclamato. Il compenso spettava comunque ai sensi dell’art. 2041 cod. civ.: infatti, l’attività di riscossione non costituisce obbligo generale dell’agente, cosicchè tale attività, ove venga da lui espletata, consente alla mandante di sottrarsi al relativo onere, e cioè dal destinare a ciò propri dipendenti o collaboratori, così realizzando un ingiustificato arricchimento.

4.1. – Il motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha escluso che a Calor Clima spettasse la provvigione separata per maneggio denaro, mancando i presupposti richiesti dall’accordo economico collettivo, sia perchè l’agente non aveva la responsabilità per gli eventuali errori contabili, sia perchè la riscossione riguardava il recupero di somme per le quali dai clienti medesimi non erano state rispettate le scadenze di pagamento.

Ora, per un verso la ricorrente – al fine di contestare le conclusioni alle quali è pervenuta, con logico e motivato apprezzamento, la Corte territoriale – fa generico riferimento “ai documenti di cui ai nn. 53 e 54 della cospicua documentazione attorea e a quanto dedotto in appello in ordine alla mancata contestazione da parte di Riello della entità dell’incassato pari a L. 1.414.000.000”, senza trascrivere specificamente – come era necessario in virtù del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – il contenuto delle risultanze di cui si lamenta l’omesso esame.

Per l’altro verso, la ricorrente rivendica per la prima volta la spettanza dell’indennità di maneggio denaro, se non in virtù del titolo contrattuale, in base ai principi dell’indebito arricchimento, ai sensi dell’art. 2041 cod. civ., così inammissibilmente proponendosi una questione di diritto nuova, il cui esame presupporrebbe l’accertamento di nuovi elementi di fatto rispetto a quelli già acquisiti alla materia del contendere.

5. – Il quinto motivo (violazione degli artt. 115 e 166 cod. proc. civ.; mancata ammissione dei mezzi di prova; motivazione erronea;

art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5) lamenta che la Corte territoriale abbia ritenuto, quanto ai mezzi di prova orale per interrogatorio e per testi, la irrilevanza dei capitoli e, quanto alla c.t.u., la genericità della stessa e la inammissibile finalità probatoria della stessa. Ad avviso della ricorrente, tutti i capitoli di prova orale erano utili e rilevanti perchè intesi a provare la continuità del rapporto e la successione nello stesso di vari soggetti, tutti facenti riferimento al C., attraverso la prefigurazione di società di persone, nonchè i comportamenti contrattuali delle parti e quelli lesivi di Riello. Inoltre, non corrisponderebbe a verità che la c.t.u. fosse esplorativa o rivolta inammissibilmente a fini probatori.

5.1. – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

La censura non riporta in modo specifico i capitoli di prova sui quali avrebbero dovuto vertere le prove per interrogatorio e per testi richieste al giudice del merito.

Esente da censure è poi la dichiarazione di inammissibilità della c.t.u., posto che la relativa richiesta – come da correttamente conto la Corte territoriale – è stata formulata in termini generici (al fine di quantificare il dovuto) ed esclusivamente per supplire all’onere probatorio incombente alla parte.

6. – L’ultimo motivo è relativo alla condanna alle spese. La sentenza sarebbe errata “quanto alla cospicua condanna alle spese adottata con integrale e letterale applicazione della nota spese proposta da parte appellata e accompagnata da una motivazione sanzionatoria espressasi con l’addebito palesemente indispettivo all’appellante di aver disquisito in termini ridondanti”. Avrebbe errato la Corte territoriale a liquidare i diritti procuratori con riferimento alla tariffa forense entrata in vigore il 2 giugno 2004 facendo applicazione dello scaglione di valore da Euro 258.300,01 a Euro 516.500,00: essa poteva trovare applicazione solo a far tempo della precisazione delle conclusioni, avvenuta il 12 luglio 2004, mentre le prestazioni procuratorie precedenti dovevano soggiacere alla tariffa del 1995. Cosicchè sarebbe errata la liquidazione delle seguenti voci contenute nella nota spese che la Corte ha fatto proprie: “posizione a archivio euro 129, disamina 35, esame atto di appello 71, autentica firma 71, redazione comparsa di costituzione 142, collazione 258, costituzione in giudizio 35, formazione fascicolo 35, esame ordinanza 35, partecipazione udienze 195”.

6.1. – Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile.

In primo luogo la condanna alle spese è avvenuta nel rispetto del principio di soccombenza.

Quanto alla censura in ordine al quantum delle spese, essa è svolta in modo generico.

Innanzitutto, non si specifica quale sarebbe il diverso scaglione di valore che la Corte d’appello avrebbe dovuto considerare.

In secondo luogo, non riportandosi specificamente il testo della nota spese presentata dal difensore della controparte nel giudizio di appello, non risulta – dal solo raffronto del testo del ricorso e della sentenza impugnata – se, come sostenuto dalla ricorrente, la Corte territoriale abbia effettivamente liquidato pedissequamente l’importo dei diritti reclamati nella nota, facendo applicazione della più recente tariffa professionale.

In terzo luogo, la doglianza non indica neppure quale sarebbe il diverso importo spettante per le voci dedotte in relazione alla tariffa ratione temporis applicabile.

7. – Il ricorso è rigettato.

La correzione della motivazione in diritto della sentenza impugnata, nei sensi di quanto indicato al punto 2.1.1., giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara interamente compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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