Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5126 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. III, 26/02/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 26/02/2020), n.5126

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 28287-2018 proposto da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del funzionario procuratore

Dott. C.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

EMANUELE GIANTURCO 6, presso lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO SCOFONE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MUGGIO’, in persona del Sindaco pro tempore F.M.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,

presso lo studio dell’avvocato LUIGI MANZI, rappresentato e difeso

dall’avvocato GIOVANNI A. BRAMBILLA PISONI;

FI.ST., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MUZIO

CLEMENTI, 68, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO MANNO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANNA MARIA COLZANI;

– controricorrenti –

e contro

Z.F.V., S.A., FA SNC, AF SNC, Z.

SERVIZI IMMOBILIARI;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3000/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

A seguito di ricorso monitorio depositato dal Comune di Muggiò, il 12 maggio 2008 il Tribunale di Monza emetteva decreto ingiuntivo con cui ordinava a Unipolsai Assicurazioni S.p.A. (già SASA Assicurazioni S.p.A. e poi Milano Assicurazioni S.p.A.) di pagare al Comune la somma di Euro 212.935,18, oltre interessi e spese, in forza di una polizza fideiussoria con cui la compagnia avrebbe garantito Tornado Gest S.r.l. quanto all’adempimento di obbligazioni pattuite con il Comune in una Convenzione Urbanistica del 14 gennaio 2004.

La compagnia si opponeva, convenendo con l’atto di citazione anche sei ulteriori soggetti, a suo dire coobbligati, per rivalersi nel caso denegato che essa avesse dovuto corrispondere la somma al Comune. Si costituivano il Comune – insistendo nella sua pretesa -, e uno dei sei asseriti coobbligati, cioè Fi.St.; veniva poi integrato il contraddittorio nei confronti degli altri cinque.

Con sentenza n. 2054/2013 il Tribunale accoglieva l’opposizione, rievocando il decreto ingiuntivo per essere estinta o comunque non escutibile la polizza fideiussoria, reputando che fosse intervenuta una novazione dell’originaria obbligazione garantita, passando da un’obbligazione di fare infungibile ad un’obbligazione patrimoniale.

Il Comune proponeva appello, cui resisteva la compagnia assicurativa; veniva integrato il contraddittorio con tutti i sei pretesi coobbligati.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza del 18 giugno 2018, accoglieva il gravame, rigettando quindi l’opposizione al decreto ingiuntivo, e dichiarava inammissibili le chiamate in causa dei terzi perchè effettuate con l’atto di citazione, senza autorizzazione del giudice.

Unipolsai ha presentato ricorso, articolato in quattro motivi, da cui si è difeso con controricorso il Comune di Muggiò, che ha pure depositato memoria, si è difeso con controricorso anche Fi.St..

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1 I primo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione dell’art. 1230 c.c.

La Corte d’appello, esaminando la Convenzione del 14 gennaio 2004 e la sua integrazione del 14 aprile 2005, ha ritenuto che l’obbligazione garantita non fosse un’obbligazione di fare, bensì l’esatto adempimento da parte della Tornado Gest degli oneri di urbanizzazione, sia assumendo i costi delle relative opere – con conguaglio, se fossero risultati inferiori a Euro 212.935,18 -, sia pagandone l’importo se non fossero state effettuate; e l’integrazione, secondo il giudice d’appello, non portò alcuna novazione, ma soltanto l’ammissione dell’inadempimento da parte dell’obbligata società.

In tal modo la corte territoriale avrebbe violato l’art. 1230 c.c. Non vi sarebbe stata, a differenza di quanto da essa ritenuto, un’obbligazione alternativa nella Convenzione del 14 gennaio 2004; la previsione del conguaglio sarebbe stata soltanto eventuale, e non avrebbe modificato l’obbligazione di eseguire integralmente le opere di urbanizzazione.

L’ipotesi di prestazione patrimoniale sarebbe stata poi estranea agli artt. 5 e 8, punto 3, della Convenzione del 14 gennaio 2004: pertanto “la successiva convenzione urbanistica 14/4/2005 ha introdotto una diversa obbligazione di contenuto patrimoniale” della Tornado Gest, ovvero l’obbligo di versare la somma di Euro 212.936,18. Si tratterebbe dunque di due convenzioni diverse, per cui il giudice d’appello avrebbe errato ritenendo esigibile la garanzia relativa alla convenzione estinta, essendo la seconda convenzione novativa.

1.2 Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 1300-1362-1363-1366 c.c. e falsa applicazione dell’art. 1231 c.c..

La Corte d’appello avrebbe interpretato l’art. 5, punti 2 e 10, della convenzione del 2004, e l’art. 2 della convenzione del 2005 in modo “del tutto parziale e non condivisibile”, violando i criteri di interpretazione dei contratti. Si sarebbe in effetti limitata al tenore letterale degli articoli, senza perseguire l’identificazione della comune intenzione delle parti, così contravvenendo all’art. 1362 c.c. Non avrebbe rispettato neppure il criterio della valutazione complessiva delle clausole di cui all’art. 1363 c.c.; e ritenendo che l’integrazione non fosse novativa, ma soltanto concessione di un termine per adempiere, avrebbe altresì violato l’art. 1231 c.c.

Seguono argomenti riguardanti pure gli esiti della consulenza tecnica d’ufficio, il frontespizio della convenzione del 2004 e il contenuto della sentenza di primo grado, il tutto per contrastare l’interpretazione delle convenzioni operata dal giudice d’appello.

2. Dalla – alquanto dettagliata, come si è visto – illustrazione del contenuto del primo motivo e del secondo motivo appena offerta, emerge ictu oculi che la reale sostanza delle due censure è la stessa e conduce entrambe a patire una netta inammissibilità: si tratta, infatti, di una valutazione alternativa di merito, diretta a “smontare” l’accertamento fattuale operato dal giudice di secondo grado in ordine al contenuto delle due convenzioni urbanistiche e alla volontà dalle parti in esse manifestata.

3.1 Il terzo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.

La corte territoriale avrebbe escluso la novazione per non avere tenuto conto delle risultanze istruttorie documentali, che l’avrebbero invece dimostrata. Già nel precedente motivo si sarebbero evidenziate le non considerate “risultanze della CTU”; e il non averle considerate violerebbe pure gli artt. 115 e 116 c.p.c.

Si argomenta altresì a proposito di “comunicazioni provenienti dal Dott. D.T.P. e del Geom. Z.” nelle date dell’1, del 14 e del 27 settembre 2006, da cui sarebbe emerso che in sede di stipulazione della seconda convenzione la Tornado Gest avrebbe chiesto un’altra polizza per garantirla, e da cui altresì risulterebbe che la ratio della seconda convenzione sarebbe stata il riconoscimento al Comune di Muggiò di un nuovo indennizzo per essere stati allacciati gli impianti di gas e acqua ad un diverso Comune, quello di Nova Milanese. La non valutazione di tali documenti integrerebbe pure l’omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Il motivo si conclude mediante la trascrizione, in evidente adesione che la converte in suo argomento, di una parte della motivazione della sentenza del giudice di prime cure.

3.2 In realtà i documenti cui il motivo fa riferimento, e dei quali trascrive tre brevi stralci (precisamente tratti dalle affermazioni del D.T., che si adduce essere stato agente di SASA) oltre a una sintesi del contenuto di un’altra lettera, questa volta dello Z. (uno dei soggetti asseritamente coobbligati), non sono comunque stati riportati quanto al loro contenuto in misura sufficiente da dimostrarne la decisività in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per cui questa censura cade in una evidente insufficienza/genericità; parimenti inconsistente il motivo risulta anche sotto l’ulteriore profilo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, poichè – a tacer d’altro – l’incompletezza della descrizione del contenuto dei documenti inibisce pure il controllo del rispetto riguardo ad essi, da parte del giudice d’appello, del paradigma applicativo degli artt. 115 e 116 c.p.c. (cfr. Cass. sez. 3, 10 giugno 2016 n. 11892, la quale, a proposito dell’art. 115 c.p.c., insegna che la violazione “può essere dedotta come vizio di legittimità solo denunciando che il giudice ha dichiarato espressamente di non dover osservare la regola contenuta nella norma, ovvero ha giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, e non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, ha attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre”, e che, a proposito dell’art. 116 c.p.c. – norma che sancisce il principio della libera valutazione delle prove, salva diversa previsione legale -, qualifica denunciabile vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 “solo quando il giudice di merito disattenda tale principio in assenza di una deroga normativamente prevista, ovvero, all’opposto, valuti secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza probatoria soggetta ad un diverso regime”; sulla modalità di deduzione del vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. cfr. pure, in motivazione, S.U. 5 agosto 2016 n. 16598).

Meramente ad abundantiam, si segnala che tutti i documenti invocati sono posteriori alla stipulazione delle due convenzioni, convenzioni che comunque il giudice d’appello ha attentamente vagliato, esternando l’esito del suo esame mediante una motivazione limpida e accurata.

Il motivo risulta, in conclusione, inammissibile.

4.1 Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione degli artt. 1175-1366-1375 c.c. e art. 24 Cost. a proposito della nozione del dolo generale “sotteso all’eccezione proponibile dal garante autonomo”.

Il giudice d’appello ha escluso che la seconda convenzione derivi da un intento doloso nei confronti del garante o che abbia comunque lesa la posizione di quest’ultimo. Al contrario, ha ritenuto favorevole al garante la seconda convenzione, perchè avrebbe procrastinato l’escussione.

In questo modo la corte territoriale avrebbe disapplicato gli artt. 1175,1366 e 1375 c.c., che impongono la buona fede. Viene sotto questo aspetto richiamata giurisprudenza relativa alla garanzia autonoma, per giungere poi affermare che il rapporto originario si sarebbe estinto e che perciò escutere la garanzia sarebbe stato abusivo e fraudolento.

4.2 Anche questo motivo, come le prime due censure,introdotte nel ricorso, patisce una in equivoca natura fattuale, giacchè intende fondarsi su una interpretazione delle convenzioni diversa da quella scelta – e ben motivata, si ripete incidenter – dal giudice d’appello; il quale, peraltro, ha anche ritenuto assorbita, e quindi esaminata solo “per completezza” (come precisa a pagina 14 della motivazione) l’exceptio doli oggetto del secondo motivo d’appello e riproposta, su un piano fattuale, nella censura in esame.

Anche il quarto motivo, pertanto, risulta inammissibile.

5. In conclusione, tutto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione alle controparti delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, ex art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art., comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere al Comune di Muggiò le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 9200, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge, nonchè a rifondere a Fi.St. le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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