Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5125 del 26/02/2020

Cassazione civile sez. III, 26/02/2020, (ud. 18/11/2019, dep. 26/02/2020), n.5125

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 16887-2016 proposto da:

ISVEIMER SPA IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore Dott.

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, C.SO VITTORIO EMANUELE II

326, presso lo studio dell’avvocato RENATO SCOGNAMIGLIO, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO;

– ricorrente –

contro

D.S.I., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PIEVE DI CADORE

30, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO USSANI D’ESCOBAR,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLA COPPOLA;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (OMISSIS);

– intimata –

avverso la sentenza n. 15/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 05/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

18/11/2019 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI.

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 5 dicembre 2012 D.S.I. chiedeva al Tribunale di Napoli la condanna della sua ex datrice di lavoro, Isveimer S.p.A. in liquidazione, a restituirle quanto aveva indebitamente trattenuto – come era risultato all’esito di un giudizio tributario, avviato da Isveimer nei confronti dell’Agenzia delle Entrate e del Ministero delle Finanze quale sostituto d’imposta, che si era concluso con Cass. 5 febbraio 2009 n. 2741, il relativo giudicato avendo accertato che Isveimer aveva diritto alla restituzione di somme trattenute al suo personale nelle quote del Fondo di Previdenza liquidate nel 1999 – nella misura di Euro 12.228,03 oltre interessi.

Isveimer si costituiva, resistendo, e veniva autorizzata a chiamare in manleva l’Agenzia delle Entrate, che a sua volta si costituiva resistendo.

Il Tribunale, con sentenza del 29 ottobre 2013, rigettava la pretesa attorea per prescrizione.

D.S.I. proponeva appello principale, e Isveimer appello incidentale; resisteva l’Agenzia delle Entrate. La Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 5 gennaio 2016, rigettava il gravame incidentale e accoglieva quello principale, condannando Isveimer a pagare Euro 12.698,56 (la somma richiesta aumentata per gli interessi legali) alla D.S. e rigettando la domanda di Isveimer nei confronti dell’Agenzia delle Entrate; compensava le spese dei gradi.

Isveimer ha proposto ricorso, articolato in cinque motivi, da cui si è difesa con controricorso D.S.I.. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Il primo motivo denuncia violazione o falsa applicazione delle norme riguardanti la giurisdizione e di quelle attinenti alla specificità dei motivi d’appello, richiamando gli artt. 37 e 342 c.p.c. in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; denuncia pure nullità della sentenza o del procedimento in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Premesso che il relativo motivo avanzato in sede d’appello è valido ai sensi dell’art. 342 c.p.c., a differenza di quanto ritenuto dalla corte territoriale, si richiama la giurisprudenza invocata, quanto alla ripartizione della giurisdizione, dalla corte, asserendo di non ignorare il mutamento giurisprudenziale cui la corte appunto fa riferimento laddove afferma che l’orientamento citato dalla difesa dell’attuale ricorrente “risulta oramai superato dal successivo, oramai costante, insegnamento della Suprema Corte a seguito del revirement dalla pronuncia n. 15031/09, resa a sezioni unite,… secondo cui la riconduzione alla giurisdizione del giudice ordinario della controversia tra sostituto d’imposta e sostituito in ordine al diritto di rivalsa delle ritenute alla fonte versate direttamente dal sostituto si giustifica in ragione del fatto che… il diritto esercitato si colloca nell’ambito del rapporto di tipo privatistico, ossia il rapporto di rivalsa dell’sostituito sul sostituto, cui resta estraneo l’esercizio del potere impositivo sussumibile nello schema potestà-soggezione, proprio del rapporto tributario, mancando di regola “un atto qualificato”, rientrante nella tipologia di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19 … tale principio è destinato a trovare applicazione in ogni caso in cui la controversia non abbia ad oggetto il rapporto tra il contribuente e l’amministrazione tributaria…”.

Secondo la ricorrente, però, merita “adeguata riconsiderazione” l’orientamento precedente, che aveva attribuito alla giurisdizione esclusiva del giudice tributario D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, ex art. 2 le controversie fra sostituito e sostituto d’imposta “concernenti la legittimità dell’applicazione delle ritenute alla fonte a titolo d’acconto sui redditi corrisposti dal secondo al primo”, anche qualora “siano pregiudiziali alla risoluzione di una controversia di natura civilistica”. Viene ampiamente richiamata la giurisprudenza antecedente al revirement, concludendo che “l’esistenza di una giurisdizione esclusiva del giudice tributario sulle controversie fra sostituito e sostituto in ordine alla legittimità delle ritenute esclude che il sostituito possa chiedere direttamente al sostituto il rimborso delle ritenute o delle imposte sostitutive che assuma essere state indebitamente operate a suo carico”, dovendo in tal caso il giudice ordinario dichiarare difetto di giurisdizione.

2. Il secondo motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme relative alla competenza funzionale del tribunale del lavoro e al rito applicabile, ai sensi degli artt. 38 e 409 c.p.c.; denuncia pure, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza o del procedimento.

Adduce la ricorrente che la giurisprudenza al riguardo invocata dal giudice d’appello non sarebbe pertinente: non vi sarebbe stata una dichiarazione di incompetenza (come invece sarebbe avvenuto nelle controversie regolate da tale giurisprudenza), bensì una omessa pronuncia sulla questione di eccepita competenza.

In primo grado l’attuale ricorrente aveva proposto alternativamente o la dichiarazione della giurisdizione tributaria o l’applicazione dell’art. 414 c.p.c. con le garanzie proprie del rito del lavoro. La corte territoriale avrebbe dunque errato ritenendo che Isveimer “si fosse genericamente limitata a dolersi del mancato mutamento del rito”; invero, “sin dal primo grado” Isveimer avrebbe invece contestato l’applicabilità del rito sommario in quanto “confliggente con le garanzie procedimentali proprie del processo del lavoro”; e la giurisprudenza richiamata dal giudice d’appello non sarebbe pertinente al rito del lavoro, concernendo invece il rito di locazione.

3. Il terzo motivo, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione o falsa applicazione delle norme relative alla prescrizione e alla interruzione della prescrizione, richiamando gli artt. 2934,2935,2936,2943 e 2946 c.c.; denuncia pure omesso esame di fatto discusso e decisivo in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

La corte territoriale avrebbe distinto tra la possibilità del sostituito di chiedere il rimborso dell’erronea trattenuta e l’accertamento del diritto a ripetere dall’ex datore del lavoro/sostituto d’imposta il corrispondente monetario del rimborso riconosciutogli all’esito del giudizio tributario. Invece il corrispondente monetario non sarebbe ontologicamente diverso, e il diritto alla restituzione sorgerebbe non dal giudicato tributario, bensì dalla liquidazione del fondo avvenuta nel 1999. Il giudice d’appello avrebbe dovuto esaminare l’eccezione di prescrizione senza ipotizzare un altro inesistente dies a quo. Vengono al riguardo riproposti gli argomenti che erano stati accolti dal giudice di prime cure.

4. Il quarto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione o falsa applicazione delle norme relative alla formazione del giudicato, invocando poi l’art. 2909 c.c.; denuncia inoltre, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza o del procedimento.

Il motivo ripropone gli argomenti, già in precedenza utilizzati, relativi al silenzio-rifiuto e alla identità dei giudizi svoltisi per la presente vicenda.

5. Il quinto motivo denuncia, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione delle norme relative alla legittimazione passiva e alla manleva ai sensi degli artt. 75,106 e 269 c.p.c.; denuncia pure, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, nullità della sentenza o del procedimento, nonchè, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.

Avrebbe errato la corte territoriale escludendo “il difetto di legittimazione passiva della società” e disattendendo “la correlata istanza di manleva” di Isveimer nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, sempre per il “presupposto logico errato” per cui “il diritto alla restituzione non sarebbe prescritto ma originerebbe dalla statuizione del 2009”. Argomenta poi al riguardo, come già nel secondo e nel terzo motivo.

6. Il ricorso è inammissibile.

Invero, esso patisce una evidente inammissibilità in riferimento al requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto non offre al giudice di legittimità una sufficiente, per quanto concisa e riassumente (in tal senso deve intendersi l’aggettivo “sommaria” che le conferisce l’appena citata norma), ricostruzione delle vicende processuali.

Il ricorso infatti nella parte qualificabile di premessa riporta soltanto – trascrivendoli – i primi sei punti della motivazione della sentenza d’appello, che ictu oculi non sono bastanti per comprendere e ricostruire tali vicende in modo adeguato; per esempio, l’Agenzia delle Entrate come parte in causa “compare”, in tale descrizione, soltanto in riferimento al grado d’appello, mentre per il primo grado si espone soltanto che D.S.I. aveva convenuto l’attuale ricorrente. Solo nel quinto motivo del ricorso si rinviene, poi, che Isveimer aveva chiamato a manleva l’Agenzia delle Entrate, ma rimanendo ancora a un livello complessivamente insufficiente per ricostruire la vicenda processuale. Difettano, soprattutto, le argomentazioni con cui Isveimer aveva resistito in primo grado. Queste carenze non sono state d’altronde colmate dal contenuto dei motivi che, come sopra si è rilevato, hanno apportato un insufficiente elemento – nel quinto motivo – in ordine alla conformazione del litisconsorzio, senza però integrare in modo completo, soprattutto, si ripete, in riferimento alla posizione difensiva che era stata assunta dall’attuale ricorrente in primo grado.

Premesso che la ricostruzione della vicenda processuale può essere effettuata anche senza avvalersi di una formale struttura costituente premessa (v. p.es. Cass. sez. 1, 20 agosto 2004 n. 16360), ciò tuttavia non significa che il giudice di legittimità sia obbligato a radunare i vari dati reperibili in tutto il corpo del ricorso, collazionando e posizionando le tessere di un mosaico così da assumere egli stesso l’onere ricostruttivo che il legislatore ha invece assegnato, come requisito di contenuto-forma, al ricorrente (cfr., da ultimo, Cass. sez.5, 13 novembre 2018 n. 29093). Al contrario, “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3), il ricorso per cassazione deve contenere la chiara esposizione dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le posizioni processuali delle parti con l’indicazione degli atti con cui sono stati formulati “causa petendi” e “petitum”, nonchè degli argomenti dei giudici dei singoli gradi, non potendo tutto questo ricavarsi da una faticosa o complessa opera di distillazione del successivo coacervo espositivo dei singoli motivi, perchè tanto equivarrebbe a devolvere alla S.C. un’attività di estrapolazione della materia del contendere, che è riservata invece al ricorrente.” (così ben si esprime Cass. sez. 6-3, ord. 28 maggio 2018 n. 13312); infatti è ormai del tutto consolidata la giurisprudenza per cui, appunto, “per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3 il ricorso per cassazione deve contenere l’esposizione chiara ed esauriente, sia pure non analitica o particolareggiata, dei fatti di causa, dalla quale devono risultare le reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le giustificano, le eccezioni, le difese e le deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, lo svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni, le argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si fonda la sentenza impugnata e sulle quali si richiede alla Corte di cassazione, nei limiti del giudizio di legittimità, una valutazione giuridica diversa da quella asseritamene erronea, compiuta dal giudice di merito. Il principio di autosufficienza del ricorso impone che esso contenga tutti gli elementi necessari a porre il giudice di legittimità in grado di avere la completa cognizione della controversia e del suo oggetto, di cogliere il significato e la portata delle censure rivolte alle specifiche argomentazioni della sentenza impugnata, senza la necessità di accedere ad altre fonti ed atti del processo, ivi compresa la sentenza stessa.” (così già Cass. sez. 2, 4 aprile 2006 n. 7825; sulla stessa linea, più recentemente, v. p. es. Cass. sez. 6-3, ord. 3 febbraio 2015 n. 1926, Cass. sez. 1, 31 luglio 2017 n. 19018 e Cass. sez. 5, ord. 4 ottobre 2018 n. 24340). Nel caso in esame, come già si è rimarcato, neppure evincendo – negli appena evidenziati limiti consentiti – dal contenuto dei motivi quanto può concernere la ricostruzione del “fatti della causa” è stato raggiunto il livello di completezza e chiarezza che il legislatore impone affinchè il ricorso si conformi al requisito di ammissibilità in esame, e possa quindi essere vagliato nel merito. Nè, ovviamente, incide il fatto che nella parte descrittiva dei fatti di causa questa sentenza abbia indicato anche alcuni elementi non evincibili dal ricorso (come quelli attinenti all’introduzione nel giudizio dell’Agenzia delle Entrate) tratti dagli ulteriori atti per rendere comprensibile la vicenda processuale, giacche questo non sana la conformazione appunto non autosufficiente del ricorso, che è imposta specificatamente dalla legge.

Il ricorso pertanto deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo. Sussistono D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater i presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 4000, oltre a Euro 200 per gli esborsi, al 15% per spese generali e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 18 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 febbraio 2020

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