Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5122 del 05/03/2018


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Cassazione civile, sez. I, 05/03/2018, (ud. 23/11/2017, dep.05/03/2018),  n. 5122

Fatto

1. La Corte d’appello di Firenze ha dichiarato inammissibili le contrapposte impugnazioni di nullità proposte dalle parti avverso il lodo pronunciato dal collegio arbitrale, nel giudizio promosso da Sirtam srl contro NCA Immobiliare srl, per la riduzione (ex art. 1623 c.c.) dei canoni variabili, così com’erano previsti dal contratto di affitto di azienda (riguardante un impianto di distribuzione di carburanti (Cd. Qin e i connessi servizi, anche di ristorazione (cd. non oil)), sottoscritto inter partes il 16 marzo 2009: in dipendenza della sopravvenuta richiesta da parte dell’ente proprietario della strada (l’ANAS), a cui accedevano gli impianti costituenti l’azienda affittata oggetto della sua autorizzazione, era stato richiesto il pagamento delle royalties, già ricadenti nell’accordo con l’affittante NCA, ma in un primo tempo non pretese e solo, successivamente, il 15 novembre 2010, richieste in pagamento all’affittuaria Sirtam.

2. Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora interessa in questa sede, gli arbitri non avevano errato: a) nè nel quantificare la riduzione dei canoni variabili dovuti da Sirtam, in ragione del riequilibrio tra le parti del contratto di affitto di azienda, poichè il dispositivo della pronuncia arbitrale non sarebbe stata affatto indeterminato, così come dedotto da NCA; b) nè nell’incorrere in una pretesa, ma inesistente, omessa pronuncia sulla questione pregiudiziale relativa alla validità del provvedimento autoritativo dell’Anas, che aveva imposto il pagamento delle royalties nella misura richiesta con una nota del 2010, in misura anche maggiore rispetto a quella concordata con l’affittante nel corso del 2006 (con la convenzione tra l’Azienda nazionale e la NCA); c) nè, infine, nel fissare la decorrenza del riequilibrio contrattuale dalla data della domanda giudiziale proposta da Sirtam, piuttosto che dal momento della applicabilità dell’obbligo di pagamento di quelle royalties all’Anas, come da richiesta dell’affittuaria.

3. Avverso tale decisione, ha proposto ricorso principale per cassazione la società NCA, con due mezzi, illustrati anche con memoria, contro cui ha resistito Sirtam con controricorso.

4. A sua volta quest’ultima ha proposto ricorso incidentale per cassazione, affidato ad un unico mezzo, illustrato anche con memoria, contro cui ha resistito, con controricorso, NCA.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 829 c.p.c., n. 5, art. 823 c.p.c., comma 2, n. 6 (art. 360 c.p.c., n. 4)) la società ricorrente si duole della sentenza impugnata nella parte in cui ha considerato “una inammissibile contestazione del merito della motivazione” la sua censura di nullità/inesistenza del dispositivo del lodo arbitrale (comb. disp. dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 823 c.p.c., comma 2, n. 6) per la sua assoluta indeterminatezza.

1.1. In particolare, il ricorso lamenta il mancato rilievo (da parte del giudice distrettuale) circa il fatto che il lodo – nello stabilire che “i canoni variabili previsti dal contratto, per la parte oil e per la parte non oil, devono essere ridotti come meglio specificato in parte motiva” di una somma pari alla metà della differenza tra quanto previsto dall’art. 6 del contratto di affitto di azienda del 2009 ed il corrispettivo previsto da un altro contratto del 2006 -, con riguardo a quest’ultimo documento, avrebbe fatto riferimento a un atto non depositato nel corso del giudizio arbitrale, ritenendo viceversa che fosse bastevole il richiamo ai suoi dati certi, ricavabili da una memoria di parte, contenente una tabella con gli importi numerici che, tuttavia, non era inserita nel lodo e neppure era stata sottoscritta dagli arbitri (profilo formale della mancanza del dispositivo) e, quel che più rileverebbe, rendeva impossibile comprendere e calcolare il quantum debeatur (profilo sostanziale del difetto di dispositivo).

2. Con il secondo (Nullità della sentenza per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 34 e 819 c.p.c., art. 829 c.p.c., n. 11, art. 112 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4)) la medesima ricorrente si duole del fatto che la Corte territoriale non avrebbe accolto la propria censura nella parte in cui metteva in rilievo l’omissione di pronuncia da parte degli arbitri in ordine alla legittimità del provvedimento amministrativo dell’ANAS, costituente il presupposto per l’applicazione delle maggiori royalties pretese nei riguardi dell’affittante, e quindi dell’affittuario: per il difetto di una esplicita domanda di NCA che legittimava gli arbitri a non affrontare la “questione pregiudiziale” sottostante.

2.1. Infatti, l’esplicita richiesta di pronuncia riguarderebbe solo l’ipotesi in cui la parte voglia che, sulla questione pregiudiziale, sia data una pronuncia con efficacia di giudicato (art. 819 c.p.c., comma 2) non anche il caso del comma 1, riguardante una sua soluzione senza l’autorità del giudicato, atteso che, ai sensi del richiamato comma 2, per far scattare l’obbligo officioso di risolvere la questione pregiudiziale è necessario e sufficiente che essa sia controversa e pregiudiziale e che la sua risoluzione sia un passaggio logico obbligato per poter decidere la causa nel merito.

3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale (Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1623 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) nella parte in cui la sentenza impugnata ha respinto il motivo di cui al paragrafo X0.2 della comparsa di costituzione e risposta e impugnativa incidentale per nullità del lodo arbitrale di Sirtam) quest’ultima società censura il provvedimento impugnato nella parte in cui ha disposto la decorrenza del “riequilibrio del contratto” dalla notifica della sua domanda giudiziale invece che per tutta la durata del rapporto, atteso che se uno squilibrio caratterizzava il contratto allora occorreva risolverlo per l’intero periodo di vita del rapporto, retroagendo fin dal suo momento genetico.

4. Il primo mezzo del ricorso principale (relativo alla denuncia di violazione di legge – il comb. disp. dall’art. 829 c.p.c., comma 1, n. 5 e art. 823 c.p.c., comma 2, n. 6 -, per il presunto difetto formale del dispositivo del lodo (mancante di un vero e proprio importo aritmetico) e di quello sostanziale, per l’impossibilità di comprendere e calcolare il quantum debeatur) è infondato, avendo il giudice di merito già spiegato le ragioni per le quali, nel caso esaminato, aveva ritenuto un’inammissibile richiesta di riesame quella mirante a far considerare mancante un dispositivo decisorio che, invece, attraverso il richiamo alla motivazione, ne consentiva l’integrazione e la possibilità di pervenire al calcolo del quantum debeatur attraverso l’utilizzo della tabella delle percentuali – calcolate sugli introiti (oil e non oil) – inclusa nel testo di essa, per quanto non fosse stata estratta da un documento versato nel corso del giudizio, ma ricavata da una memoria della parte, apprezzata come probante, in quanto avente natura confessoria contra se.

4.1. Infatti, va ribadito il principio secondo cui “la portata precettiva di una pronuncia giurisdizionale va individuata, in linea generale, tenendo conto non soltanto delle statuizioni formalmente contenute nel dispositivo, ma anche delle enunciazioni inserite nella motivazione che si risolvano nello accertamento ex professo dell’esistenza o inesistenza di un diritto o di una situazione giuridica oggetto della controversia, talchè la potestas decidendi sul punto controverso debba considerarsi completamente esercitata.” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5796 del 1982).

4.2. Nel caso in esame, l’accertamento compiuto dal giudice di merito in ordine alla ricavabilità del quantum debeatur in forza del criterio contenuto nella motivazione svolta dagli arbitri, non essendo stata specificamente contestata nel suo meccanismo applicativo ma contestata quanto alla fonte individuante i criteri di calcolo (con il richiamo ad una tabella che si è ritenuta surrettiziamente assunta dal giudice, in difetto di prova della sua corrispondenza all’originale), non è stato ritenuto censurabile dal giudice dell’impugnazione di nullità, poichè esso atteneva a valutazioni di merito della cognizione giudiziale (laddove si è affermato che, sebbene il documento del 2006 non fosse stato prodotto in causa, i dati che in esso contenuti erano stati legittimamente e credibilmente acquisiti con la loro esposizione svolta in una memoria di parte pienamente credibile perchè contenente, al riguardo, una confessione contra se) che non sono più censurabili in questa sede.

4.3. Al quesito di diritto posto dalla ricorrente principale con il primo mezzo (p. 7 del ricorso) va dunque risposto nei sensi che seguono:

In tema di arbitrato, quando un lodo contenga un dispositivo di condanna che, per la determinazione del quantum debeatur rinvii alla motivazione, la quale a sua volta rinvii ad un accordo non depositato in atti ma ricavabile in forza di una tabella contenuta in una memoria di parte depositata nel corso del procedimento arbitrale, il dispositivo del lodo deve considerarsi esistente sia sul piano formale che su quello sostanziale, ove – come nella specie – i giudici abbiano accertato la ricavabilità del quantum debeatur sulla base di calcoli matematici di tipo proporzionalistico (possibili ex post, sulla base dell’applicazione di percentuali di pagamento delle royalties dovute all’ente proprietario della strada) anche se la tabella non sia stata sottoscritta dagli arbitri nè formalmente inserita nel lodo, atteso che il richiamo a quella riportata nella memoria di parte (contenente una confessione contra se, secondo l’insindacabile accertamento del giudice di merito) è pienamente idonea a condurre legittimamente alla quantificazione della somma dovuta da ciascuna parte al terzo creditore e quindi anche alla parte soccombente nel giudizio in esame.

5. Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile.

5.1. Il ricorso, infatti, non chiarisce il “se, come, dove e quando” la pretesa questione pregiudiziale, al di la della pacifica mancata richiesta di pronuncia espressa rivolta agli arbitri, sia stata sollevata dalla parte nel corso del giudizio arbitrale e riproposta nella fase di controllo della legittimità del lodo, di talchè l’odierna ricorrente possa dolersi della mancata pronuncia su una questione a carattere pregiudiziale, anche in considerazione del fatto che il provvedimento della cui legittimità si lamenta il mancato esame, appartenendo alla sfera di un’autorità terza che non era parte in causa nel giudizio arbitrale, poteva venire in rilievo solo come fatto storico o situazione di fatto a cui prestare ossequio.

5.2. Nel caso che ci occupa manca, dunque, proprio la certezza del presupposto da cui parte la ricorrente, ossia del fatto che nel giudizio arbitrale si sia posta “una questione” (ovvero una contestazione tra le parti) circa la legittimità del provvedimento amministrativo a monte della controversia tra i privati.

6. L’unico mezzo del ricorso incidentale (che censura la decisione in ordine alla decorrenza del riequilibrio del contratto operato dagli arbitri ai sensi dell’art. 1623 c.c., dovendo essere stabilita non già dalla notifica della domanda giudiziale ma per tutta la durata del rapporto, retroagendo al momento in cui detto squilibrio si è verificato) non ha pregio proprio alla luce del tenore della stessa disposizione di legge applicata.

6.1. L’art. 1623 c.c., comma 1 stabilisce che “se, in conseguenza di una disposizione di legge, o di un provvedimento dell’autorità riguardanti la gestione produttiva, il rapporto contrattuale risulta notevolmente modificato in modo che le parti ne risentano rispettivamente una perdita e un vantaggio, può essere richiesto un aumento o una diminuzione del fitto ovvero, secondo le circostanze, lo scioglimento del contratto.”.

6.2. La regola dettata (per le modificazioni sopravvenute del rapporto contrattuale di affitto) è imperniata sulla richiesta della parte che lamenti di aver subito una perdita contro un correlativo vantaggio dell’altra, rimessa al suo apprezzamento ed al quando tale squilibrio si sia prodotto.

6.3. Ne deriva che, nell’economia della previsione codicistica, nessun potere ufficioso è dato al giudice il quale dovrà provvedere (come hanno fatto gli arbitri nel caso in esame e convalidato la Corte territoriale) sulla base della domanda proposta e, pertanto, a far data dalla sua proposizione.

6.4. Il mezzo di ricorso va pertanto respinto alla luce del principio di diritto che segue:

In tema di contratto di affitto (nella specie: di azienda), il riequilibrio del piano contrattuale in conseguenza di un provvedimento autoritativo che abbia alterato l’originaria previsione negoziale, ai sensi dell’art. 1623 c.c., comma 1 è legittimamente disposto dal giudice che ne sia richiesto dalla parte che risenta della perdita con decorrenza dalla data di proposizione della domanda giudiziale, senza che egli possa disporre d’ufficio l’applicazione retroattiva del rimedio in forza di un accertamento giudiziale ufficioso.

7. Conseguentemente, entrambi i ricorsi vanno respinti e, per la reciproca soccombenza, anche compensate le spese processuali, sebbene con l’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato da ciascuno già corrisposto.

P.Q.M.

Respinge i ricorsi e compensa le spese giudiziali tra le parti.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il proprio ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione prima civile, il 23 novembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2018

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