Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5121 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5121 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: CAMPESE EDUARDO

ORDINANZA

sul ricorso n.r.g. 10409/2013 proposto da:
FALLIMENTO DELLA PASTIFICIO CARMINE RUSSO S.P.A., p. iva
07452030633, in persona del curatore dott. Luciano Bifolco, rappresentato
e difeso, giusta procura speciale apposta a margine del ricorso,
dall’Avvocato Prof. Severino Nappi, con il quale elettivamente domicilia in
Roma, alla via delle Tre Madonne n. 8, presso lo studio dell’Avvocato Sara
Parisi.
– ricorrente contro

PREVINDAI – Fondo di Previdenza e Capitalizzazione per i Dirigenti di
Aziende Industriali – Fondo Pensione 147, p. iva 97074910585, in persona
del Presidente Vittorio Betteghella, con sede in Roma, alla via Palermo n.
8, elettivamente domiciliato in Roma, alla via Carlo Conti Rossini n. 13,
presso lo studio dell’Avvocato Ivan Canelli che lo rappresenta e difende,
1

OP>

Data pubblicazione: 05/03/2018

unitamente all’Avvocato Manlio Mannino, giusta procura speciale apposta a
margine del controricorso.
– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI NAPOLI depositato in data
05/03/2013;

22/11/2017 dal Consigliere dott. Eduardo Campese;
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale, dott.ssa Luisa
De Renzis, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, perché tardivo,
con le conseguenze di legge;

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1. La curatela del Fallimento Pastificio Carmine Russo s.p.a. propone
ricorso per Cassazione, affidato a cinque motivi, avverso il decreto del
Tribunale di Napoli del 19 febbraio/5 marzo 2013 che, accogliendo
l’opposizione proposta da Previndai – Fondo di Previdenza e Capitalizzazione
per i Dirigenti di Aziende Industriali – Fondo pensione 1417 (d’ora in avanti,
per brevità, indicato, più semplicemente, come Previndai), ha ammesso
quest’ultimo al passivo della suddetta procedura concorsuale per la
complessiva somma di C 39.217,04, di cui C 35.850,91 in privilegio, oltre
interessi legali come per legge, richiesti per omissioni contributive,
riguardanti i dipendenti della società Enrico Maione e Nicola Geltrude Russo,
maturate dal primo trimestre 2007 al terzo trimestre 2009. Per quanto qui
ancora di interesse, il tribunale partenopeo, ritenuta sussistente la
legittimazione attiva dell’opponente, perché «l’obbligazione contributiva
nelle assicurazioni obbligatorie (con ragionamento estensibile anche a forme
di contribuzione facoltativa) ha per soggetto attivo l’istituto assicuratore,
creditore dei contributi, e per soggetto passivo il datore di lavoro,
rimanendo estraneo a tale rapporto il lavoratore», esclusivamente
beneficiario della prestazione, sancì: a) quanto alla natura privilegiata del
credito, che «esso è assistito dal privilegio previsto dall’art. 2754 cod. civ.,
2

pPAL’

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

che riconosce, nella misura ivi prevista, il privilegio con formula assai ampia
ai crediti per contribuiti dovuti ad istituti ed enti per forme di tutela
previdenziale diverse da quelle indicate dall’art. 2753 cod. civ.»; b) quanto
al profilo della prova del credito, «che il ricorrente ha provveduto a versare
agli atti non solo le buste paga riguardanti i due dirigenti in questione (da
cui in effetti risulta documentata la ritenuta periodica di somme destinate al

adesione individuale riferiti ai due dirigenti ed i modelli 050 inviati dalla
società debitrice»;

c) quanto al profilo concernente l’opponibilità della

pretesa al fallimento, che «la stessa può ricavarsi in via induttiva non solo
dall’esistenza di due lettere raccomandate con le quali il ricorrente ha
sollecitato l’impresa all’immediata regolarizzazione delle somme dovute
(sebbene relativamente a periodi differenti da quelli oggetto della
domanda), ma anche del fatto che le posizioni relativamente alle quali è
stato asserito l’inadempimento riguardano proprio quei due dirigenti in
ordine ai quali il ricorrente fu costretto, per il periodo immediatamente
antecedente, a proporre il ricorso ex art. 633 cod. proc. civ. …»; d) che
«trattasi, in definitiva, di poste maturate, per le medesime causali, in
relazione ad un rapporto divenuto definitivo prima del fallimento, sebbene
l’inadempimento abbia riguardato contribuiti maturati in un periodo
successivo a quello “coperto” dal provvedimento monitorio». Il giudice a
quo compensò, infine, le spese processuali «essendo l’ammissione dipesa
da una produzione documentale integrata dal ricorrente solo nella presente
fase di opposizione».
2. Previndai resiste con controricorso, eccependo, pregiudizialmente,
l’inammissibilità del ricorso di controparte perché tardivamente notificato, e
concludendo nel merito per il suo rigetto perché infondato.
3. L’eccezione di inammissibilità per tardività della notifica del ricorso è
infondata.
3.1. Il decreto del Tribunale di Napoli, oggetto dell’impugnazione, risulta
pubblicato il 5 marzo 2013, con comunicazione avvenuta alle parti in pari
data

(cfr.

richiesta di notifica dell’odierno ricorso, nella quale deve
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fondo Previndai), ma anche il verbale di accordo sindacale, i moduli di

chiaramente attribuirsi a mero refuso l’indicazione del 5 febbraio 2013 – in
luogo del 5 marzo – quale giorno dell’avvenuta comunicazione, a mezzo pec,
del menzionato provvedimento), sicchè il termine di cui all’art. 99, ultimo
comma, I.fall. (nel testo, qui applicabile ratione temporis, modificato dal
d.lgs. n. 5 del 2006), per la proposizione del ricorso per cassazione, è
spirato il 4 aprile 2013.

difensore, ha chiesto la notifica dell’odierno ricorso «al Previndai – Fondo di
Previdenza e Capitalizzazione per i Dirigenti di Aziende Industriali – Fondo
pensione 147, in persona del I.r.p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Ivan
Cannelli, unitamente al quale elettivamente domicilia in Napoli, alla via G.
Porzio, Centro Direzionale, n. 12, presso lo studio dell’Avv. Nicola
Lavorgna» (lo stesso indicato come domiciliatario nel decreto suddetto), ma
il tentativo è risultato infruttuoso, avendo l’ufficiale giudiziario officiato
riferito che «da informazioni assunte in loco, lo studio Lavorgna è sloggiato
da tempo».
Il difensore della curatela ha quindi domandato, in data 11 aprile 2013,
la (ri)notifica del medesimo ricorso «al Previndai – Fondo di Previdenza e
Capitalizzazione per i Dirigenti di Aziende Industriali – Fondo pensione 147,
in persona del I.r.p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. Ivan Cannelli,
unitamente al quale elettivamente domicilia in Napoli, alla via S. Aspreno n.
13 – 80133 Napoli, presso lo studio dell’Avv. Nicola Lavorgna», questa volta
andata a buon fine (con consegna, a mani del portiere, e successivo invio, il
26 aprile 2013, della raccomandata ex art. 139, comma 4, c.p.c., recapitata
il 9 maggio 2013).
3.2. E’ noto che, in tema di giudizio di legittimità, il ricorrente, appreso
l’esito negativo della notifica del ricorso per causa a lui non imputabile, ha
l’onere e non la mera facoltà, in ossequio al principio di ragionevole durata
del processo, di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio in un
tempo pari alla metà dei termini di cui all’art. 325 cod. proc. civ., senza
attendere un provvedimento giudiziale che autorizzi la rinnovazione, salvo
circostanze eccezionali di cui va data prova rigorosa (cfr. Cass. n. 5974 del
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Proprio in quest’ultima data, la curatela ricorrente, tramite il suo

2017, che, per il caso di mancata riattivazione, ha ritenuto il ricorso
inammissibile per omessa notifica; Cass. n. 19059 del 2017; Cass., S.U., n.
14594 del 2016), e che, ai fini del rispetto del termine, la conseguente
notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento
(cfr. Cass., S.U., n. 17352 del 2009).
3.3. Nella specie, rientrando il lasso temporale entro i limiti di

buon fine della prima notifica sia mancato per ragioni – come in precedenza
descritte – non imputabili al notificante.
3.3.1. Le Sezioni Unite di questa Corte distinguono, a tal fine, due
ipotesi, a seconda che il difensore eserciti, o meno, la sua attività
professionale, nel circondario del tribunale in cui si svolge la controversia

(cfr. amplius, Cass., S.U., n. 14594 del 2016, in motivazione).
Nel primo caso, è onere della parte interessata ad eseguire la notifica
accertare, anche mediante riscontro delle risultanze dell’albo professionale,
quale sia l’effettivo domicilio professionale del difensore, con la
conseguenza che non può ritenersi giustificata l’indicazione nella richiesta di
notificazione di un indirizzo diverso (cfr., da ultimo, Cass. 20527 del 2017),
ancorché eventualmente corrispondente ad indicazione fornita dal
medesimo difensore nel processo non seguita da comunicazione, nell’ambito
del giudizio, del successivo mutamento (cfr. Cass., S.U., n. 17352 del 2009,
richiamando Cass., S.U., n. 3818 del 2009).
Ove, invece, il difensore svolga le sue funzioni in un altro circondario ed
abbia proceduto all’elezione di domicilio ai sensi dell’art. 82 del r.d. 22
gennaio 1934, n. 37, si delinea un suo obbligo di comunicarne i mutamenti
(così, in particolare, Cass., Sez. Un., n. 3818/2009, cui si rinvia per una più
completa ricostruzione della normativa del 1934 e della ratio dell’art. 82).
In questo tipo di situazione, «la notifica dell’impugnazione al
procuratore che, esercente fuori della circoscrizione, abbia eletto domicilio
ai sensi dell’art. 82 del r.d. 37/1934, presso un altro procuratore, assegnato
alla circoscrizione dell’ufficio giudiziario adito, va effettuata nel luogo
indicato come domicilio eletto in forza degli artt. 330 e 141 cod. proc. civ.,
5

1)cuAr

accettabilità indicati, va verificato se sussista l’altra condizione, cioè se il

senza che al notificante sia fatto onere di riscontrare previamente la
correttezza di quell’indirizzo presso il locale albo professionale, perché è
onere della parte che ha eletto domicilio comunicare alla controparte gli
eventuali mutamenti». In questo senso si esprimono le sentenze delle
Sezioni Unite prima richiamate, nonché la successiva giurisprudenza delle
sezioni semplici di questa Corte, compresa quella della sesta sezione civile

del 2014), dovendo sottolinearsi, altresì, attesa la specifica rilevanza della
relativa circostanza nel giudizio in esame, che, come può desumersi dalla
già richiamata Cass., S.U., n. 17352 del 2009, è inipotizzabile la sussistenza
un onere di informazione della parte in considerazione della circostanza che
il domiciliatario del difensore sia, a sua volta, un avvocato, posto che
l’elezione di domicilio nel luogo sede dell’ufficio giudiziario può essere
compiuta presso qualsiasi soggetto, di cui non assume rilievo l’eventuale
qualità professionale.
3.3.2. Proprio alla stregua di tali complessivi insegnamenti, allora, può
agevolmente ritenersi che, nell’odierna vicenda processuale, l’avvenuto
mutamento di indirizzo dello studio dell’Avv. Lavorgna, mero domiciliatario
del Previndai, il cui difensore, come risulta dall’intestazione del decreto oggi
impugnato, era il solo Avv. Ivan Canelli, appartenente al Foro di Roma
(come può facilmente evincersi dal tenore letterale della procura speciale
conferitagli a margine del controricorso del 20/21 maggio 2013, di poco più
di due mesi successiva al deposito del menzionato decreto), avrebbe
imposto a quest’ultimo, ex art. 82 del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37, di dare
comunicazione alla controparte dell’avvenuto mutamento di domicilio
(trasferito presso il nuovo indirizzo dello studio del medesimo domiciliatario
Avv. Lavorgna). In assenza di specifica allegazione (ancor prima che di
dimostrazione) di un siffatto adempimento, pertanto, il mancato buon fine
della prima notifica dell’odierno ricorso della curatela del Fallimento
Pastificio Carmine Russo s.p.a. non può imputarsi a quest’ultima, la quale
non aveva l’onere di controllare che l’indirizzo dello studio del procuratore
domiciliatario della controparte fosse mutato rispetto a quello dichiarato nel
6

(cfr., ex aliis, Cass., Sez. 2, n. 20527 del 2017; Cass., Sez. 6-3, n. 24539

corso del giudizio e riportato nell’intestazione del decreto impugnato e non
ha errato nel richiedere la notificazione presso lo studio del procuratore
domiciliatario ivi indicato (cfr. Cass. n. 24539 del 2014).
Ne consegue che il descritto errore sul domicilio è munito della
caratteristica della non imputabilità, onde può ritenersi la continuità del
procedimento notificatorio tra il primo tentativo, vano, e quello successivo

4. I primi tre motivi di ricorso prospettano l’«omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio» riferito, rispettivamente:

i), alla «circostanza

che nessuno dei documenti versati in atti dal Previndai, ed ai quali il
tribunale ha associato l’opponibilità al Fallimento della pretesa relativa al
pagamento dell’importo di C 17.378,45 a titolo di contributi relativi al
periodo compreso tra il primo trimestre 2008 e la dichiarazione di fallimento
(22 luglio 2009), è relativo al periodo in questione»; li) alla «inopponibilità
al Fallimento – per difetto di data certa anteriore ad esso ex art. 2704 cod.
civ. – della documentazione (modelli 050 e buste paga relative al
dipendente Nicola Geltrude Russo) prodotta dal Previndai a sostegno della
domanda relativa all’importo di C 17.378,45 a titolo di contributi relativi al
periodo compreso tra il primo trimestre 2008 e la dichiarazione di fallimento
(22 luglio 2009)»; iii) alla «circostanza che, in relazione al medesimo
credito azionato dal Previndai in relazione ai contributi al dipendente Nicola
Geltrude Russo, era già stato ammesso al passivo quest’ultimo all’esito di
autonoma domanda tempestiva di ammissione al passivo fallimentare».
5. Il quarto ed il quinto motivo, invece, denunciano la violazione e falsa
applicazione, rispettivamente: í) dell’art. 1, comma 2, n. 8, della legge n.
243/2004, che ha riconosciuto ai fondi di pensione ed ai propri iscritti la
contitolarità del diritto alla contribuzione, censurandosi l’assunto del
tribunale nella parte in cui ha affermato la legittimazione attiva del solo
Previndai, escludendo quella concorrente del lavoratore sul presupposto che
quest’ultimo sarebbe stato estraneo al rapporto contributivo perché solo
beneficiario della prestazione previdenziale;

degli artt. 93, comma 6, e

95, comma 3, I.fall., per avere il tribunale basato la decisione su un
7

andato a buon fine.

documento mai prodotto a corredo della domanda tardiva di ammissione al
passivo e versato in atti solo in fase di opposizione, e, quindi, tardivamente.
6. Circa i vizi motivazionali prospettati con i primi tre motivi, occorre
premettere che, nella specie, deve trovare applicazione l’art. 360, comma 1,
n. 5, cod. proc. civ. nel testo novellato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito,
con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui utilizzabile ratione

marzo 2013), che esclude la sindacabilità, in sede di legittimità, della
correttezza logica della motivazione di idoneità probatoria di determinate
risultanze processuali, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di
contraddittorietà o insufficienza della motivazione. La novella, invero, ha
introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione,
relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui
esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo, vale
a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della
controversia. La riformulazione della norma suddetta deve essere, quindi,
interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle
preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di
legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo
l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge
costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della
motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata,
a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si
esaurisce nella «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico», nella «motivazione apparente», nel «contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili» e nella «motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di
“sufficienza” della motivazione (cfr. Cass., S.U., n. 8053 del 2014; Cass. n.
7472 del 2017).
6.1. E’ innegabile, allora, che laddove il decreto impugnato ha ritenuto
(cfr., amplius, pag. 3), quanto al profilo della prova del credito, «che il
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temporis, posto che il decreto impugnato risulta essere stato depositato il 5

ricorrente ha provveduto a versare agli atti non solo le buste paga
riguardanti i due dirigenti in questione (da cui in effetti risulta documentata
la ritenuta periodica di somme destinate al fondo Previndai), ma anche il
verbale di accordo sindacale, i moduli di adesione individuale riferiti ai due
dirigenti ed i modelli 050 inviati dalla società debitrice», e, quanto al profilo
concernente l’opponibilità della pretesa al fallimento, che «la stessa può

con le quali il ricorrente ha sollecitato l’impresa all’immediata
regolarizzazione delle somme dovute (sebbene relativamente a periodi
differenti da quelli oggetto della domanda), ma anche dei fatto che le
posizioni relativamente alle quali è stato asserito l’inadempimento
riguardano proprio quei due dirigenti in ordine ai quali il ricorrente fu
costretto, per il periodo immediatamente antecedente, a proporre il ricorso

ex art. 633 cod. proc. civ. …», esso ha certamente soddisfatto l’onere
minimo motivazionale di cui si è appena detto, rivelandosi le odierne
doglianze prospettate con il primo ed il secondo motivo di ricorso come
tese, in realtà, a sollecitare una nuova, autonoma, inammissibile
valutazione della documentazione ivi richiamata da parte di questa Corte.
6.2. Parimenti inammissibile risulta il terzo motivo che, come si è già
detto, denuncia l’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio»
riferito, alla «circostanza che, in relazione al medesimo credito azionato dal
Previndai in relazione ai contributi al dipendente Nicola Geltrude Russo, era
già stato ammesso al passivo quest’ultimo all’esito di autonoma domanda
tempestiva di ammissione al passivo fallimentare».
E’ indubbio che la circostanza dell’ammissione al passivo del credito
fatto valere direttamente dal dirigente Russo sia stata assolutamente
ignorata dal tribunale; tuttavia, ai fini della decisività del fatto omesso,
occorreva anche dimostrare che il credito invocato dal primo fosse lo stesso
di quello successivamente azionato (con riferimento alla posizione del
medesimo dirigente) da Previndai. Su tale specifico aspetto, però, il ricorso
si rivela carente, così violando il combinato disposto degli artt. 366, comma
1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ..
9

ricavarsi in via induttiva non solo dall’esistenza di due lettere raccomandate

6.2.1. Occorre, invero, considerare che l’art. 8 del d.lgs. n. 252 del
2005, nel fissare la disciplina relativa al finanziamento delle forme di
previdenza complementare, stabilisce che il finanziamento dei fondi
pensione può essere attuato mediante il versamento di contributi a carico
del lavoratore, del datore di lavoro (in caso di lavoratori subordinati) o del
committente (per quanto riguarda i lavoratori autonomi o parasubordinati),

collettivi, anche aziendali, fissano relativamente ai fondi pensione cd. chiusi
(destinati, cioè, esclusivamente ad una determinata categoria di lavoratori)
le modalità e la misura minima della contribuzione a carico del datore di
lavoro e del lavoratore, fermo restando la facoltà di tutti i lavoratori di
determinare liberamente l’entità della contribuzione a proprio carico,
limitatamente ai fondi pensione chiusi. Il comma 2 del medesimo articolo,
inoltre, sancisce che il contributo da destinare alle forme pensionistiche
complementari è stabilito in cifra fissa oppure, per i lavoratori dipendenti, in
misura percentuale della retribuzione o in misura percentuale ad elementi
particolari della retribuzione stessa. Il legislatore delegato, da ultimo, pur
prevedendo la possibilità di destinare alle forme di previdenza
complementare parte della propria retribuzione o del proprio reddito, ha
configurato come sistema privilegiato di finanziamento dei fondi pensione la
destinazione ad essi dell’accantonamento annuale del trattamento di fine
rapporto che può realizzarsi nella duplice modalità del conferimento
espresso o tacito.
6.2.2. E’ palese, allora, che la prospettazione del motivo in esame, per
non incorrere nella violazione del principio di autosufficienza e consentire al
Collegio di poter compiutamente valutare la effettiva decisività
dell’omissione motivazionale denunciata, avrebbe dovuto specificare,
quanto meno, se la già avvenuta ammissione del credito del dirigente Russo
avesse, o non, riguardato anche eventuali quote contributive, a carico del
datore di lavoro, da destinarsi al Previndai (posto che, come già
recentemente chiarito da questa Suprema Corte, in caso di fallimento del
datore di lavoro, il lavoratore deve essere ammesso al passivo, per le
10

nonché attraverso il conferimento del t.f.r. maturando. I contratti ed accordi

retribuzioni non corrisposte, con collocazione privilegiata a norma dell’art.
2751-bis, n. 1, c.c., al netto della quota contributiva gravante sul datore e
al lordo di quella gravante sul lavoratore medesimo. Cfr. Cass. n. 23426 del
2016). Non rinvenendosi alcunchè in proposito, espresso in modo puntuale,
nel ricorso cfr. pag. 15-23), ne consegue l’inammissibilità anche di questa
censura.

detto, con riferimento alla posizione contributiva del dirigente Russo
afferente il periodo 2008/terzo trimestre 2009. E’, invece, infondato per il
resto, atteso che la pretesa creditoria del Previndai è basata, quanto ai
contributi dovuti nell’anno 2007 con riguardo al medesimo dirigente e ad
Enrico Maione, su un titolo giudiziale (decreto ingiuntivo dell’8.7.2008, reso
dal Tribunale di Roma, mai opposto dalla Pastificio Carmine Russo s.p.a. in
bonis) ritenuto, nel provvedimento oggi impugnato, definitivo e, come tale,
opponibile alla curatela del fallimento di quest’ultima, senza che, su questo
specifico punto, siano state in questa sede formulate censure dalla odierna
ricorrente: qualsivoglia ulteriore contestazione in ordine al riconoscimento
della legittimazione attiva del Previndai, per periodi temporali successivi ma
relativi al medesimo rapporto contributivo, quindi, è ormai preclusa.
8. Infondato è altresì il quinto motivo, alla stregua della qui condivisa
giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in tema di opposizione allo
stato passivo del fallimento, anche nella disciplina prevista dal d.lgs. n. 169
del 2007 (come nel regime intermedio, successivo al d.lgs. n. 5 del 2006),
per la produzione di documenti a sostegno dell’istanza di ammissione al
passivo non trova applicazione il divieto di cui all’art. 345 cod. proc. civ.,
versandosi in un giudizio diverso da quello ordinario di cognizione e non
potendo la predetta opposizione essere qualificata come un appello, pur
avendo natura impugnatoria; tale rimedio, infatti, mira a rimuovere un
provvedimento emesso sulla base di una cognizione sommaria e che, se non
opposto, acquista efficacia di giudicato endofallimentare ex art. 96 I.fall.,
segnando solo gli atti introduttivi ex artt. 98 e 99 I.fall., con l’onere della
specifica indicazione dei mezzi di prova e dei documenti prodotti, il termine
11

PtiHr

7. Il quarto motivo è da ritenersi assorbito, per quanto si è appena

preclusivo per l’articolazione dei mezzi istruttori

(cfr., ex multis, Cass. n.

4708 del 2011; Cass. n. 1342 del 2016; Cass. n. 12549 del 2017, in
motivazione; Cass. n. 19003 del 2017, in motivazione).
9. Il ricorso va, dunque, respinto, restando le spese di questa fase
regolate dal principio di soccombenza, dandosi atto, altresì, – in assenza di
ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n.

presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma

1-quater, del d.P.R. 30

maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24
dicembre 2012, n. 228 (applicabile ratione temporis, essendo stato il ricorso
proposto successivamente al 30 gennaio 2013), in tema di contributo
unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione: norma in forza della quale il
giudice dell’impugnazione è vincolato, pronunziando il provvedimento che
definisce quest’ultima, a dare atto della sussistenza dei presupposti (rigetto
integrale o inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) per il
versamento, da parte dell’impugnante soccombente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione
proposta.
P. Q. M.
rigetta il ricorso. Condanna la curatela ricorrente al pagamento, in

favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di
legittimità, che liquida in C 4.100,00 per compensi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15°/0, agli esborsi liquidati in C 200,00, ed
agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,

inserito dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della curatela
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, giusta il comma 1 bis dello stesso articolo

13.

12

24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) – della sussistenza dei

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile
della Corte Suprema di cassazione, il 22 novembre 2017.
Il Presidente
FUllTi011ari 0

Dott.

Annamaria Amb-ìsio

Dott.ssa Fabri:ia BAR

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