Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5121 del 01/03/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 5121 Anno 2013
Presidente: SALME’ GIUSEPPE
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA
sul ricorso 5058-2011 proposto da:
PIZZI BENITO PZZBNT33H11A662P, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA GERMANICO 107, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE PICONE, rappresentato e difeso dall’avvocato CANDIANO ORLANDO MARIO, giusta procura speciale a margine del
ricorso;

– ricorrente Contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE
80415740580 in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVO-

Qo15
)9)

Data pubblicazione: 01/03/2013

CATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente avverso il decreto nel procedimento R.G. 653/2010 della CORTE

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
25/09/2012 dal Consigliere Relatore Dott. PIETRO CAMPANILE.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. LUCIO CAPASSO che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo
1. – Con decreto depositato in data 4 novembre 2010 la Corte di appello di Lecce rigettava la domanda di equa riparazione proposta da
Pizzi Benito il 10 giugno 2010 in relazione alla durata, ritenuta non
ragionevole, di un procedimento iniziato davanti alla Corte dei Conti,
per ottenere differenze pensionistiche, in data 28 marzo 2006 ed ancora pendente alla data della domanda.
1.1 – A fondamento della decisione, la Corte di merito rilevava che il
giudizio presupposto non superava la ragionevole durata, in quanto il
primo grado si era protratto per circa tre anni e quello di appello — fino
al deposito del ricorso — per circa quattro mesi.
1.2 – Per la cassazione di tale decreto ricorre il Pizzi, deducendo tre
motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.
Il Collegio ha disposto la motivazione della decisione in forma semplificata.
Motivi della decisione

Ric. 2011 n. 05058 sez. M1 – ud. 25-09-2012
-2-

D’APPELLO di LECCE del 29.10.2010, depositato il 04/11/2010;

Con il primo motivo si deduce violazione dell’art. 2 della 1. n. 89 del
2001 in relazione all’art. 6 CEDU, nonché degli artt. 112 e 115 c.p.c.,
per non aver la corte considerato, nel determinare la durata complessiva del giudizio presupposto, la fase amministrativa che aveva precedu-

grado andava determinato in tre anni e otto mesi e non in tre anni..
Con il secondo motivo si denuncia violazione delle medesime norme,
nonché omessa motivazione su un punto decisivo, per essersi considerato, come termine finale, la data di proposizione della domanda di equa riparazione, e non quella dell’emanazione del decreto.
Con il terzo motivo si sostiene che, essendo il giudizio di appello in
materia pensionistica, proponibile solo per motivi di diritto, di legittimità, andava considerato il parametro di un anno.
Il primo motivo è infondato.
Deve in proposito richiamarsi il principio, affermato proprio in relazione a giudizio svoltosi davanti alla Corte dei Conti, secondo cui In
tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, l’art. 6, par. 1, convenzione europea dei diritti dell’uomo, richiamato dall’art. 2 1. n. 89 del 2001, stabilendo che ogni persona ha diritto a che la causa sia esaminata equamente, pubblicamente
e ragionevolmente da un tribunale indipendente ed imparziale, fa riferimento all’esercizio della funzione giurisdizionale ed esclude, pertanto,
la possibilità di tener conto anche del preventivo svolgimento di un
procedimento amministrativo, indipendentemente dal fatto che per esso sia previsto o meno un telmine di durata. Il procedimento amministrativo, infatti, quand’anche abbia ad oggetto la stessa pretesa fatta valere successivamente in via giurisdizionale, costituisce un mero presupposto dell’azione giudiziaria, ma non appartiene al processo, né
Ric. 2011 n. 05058 sez. M1 – ud. 25-09-2012
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to il ricorso in sede giurisdizionale, ragion per cui il giudizio di primo

contribuisce alla sua definizione, essendo preordinato soltanto alla definizione della pretesa in via amministrativa (Cass., 28 maggio 2010, n.
13088).
Anche il secondo motivo non è fondato, in quanto la Corte territoriale,

domanda ” di equa riparazione, si è correttamente conformata al principio più di recente enunciato da questa Corte – che il Collegio intende
ribadire, in quanto consentaneo all’esigenza di individuare un evento
certo rispetto al quale calcolare il ritardo processuale – secondo cui “in
tema di equa riparazione per violazione del termine ragionevole di durata del processo, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, ove la relativa
domanda sia proposta durante la pendenza del processo presupposto,
il giudice deve prendere in considerazione, ai fini della valutazione della ragionevolezza della durata di detto processo, il solo periodo intercorrente tra il suo promovimento e la proposizione del ricorso per equa riparazione , non potendo considerare altresì l’ulteriore ritardo, futuro ed incerto, suscettibile di maturazione nel prosieguo del primo
processo; tale valutazione prognostica è infatti esclusa dalla lettera dell’art. 2 della Legge cit., che si riferisce ad un evento lesivo storicamente
già verificatosi e dunque certo, mentre a sua volta l’art. 4, permettendo
l’esercizio dell’azione anche in pendenza del processo presupposto,
come nella specie avvenuto, delimita l’ambito del pregiudizio, anticipando la liquidazione per ogni violazione già integrata, e fa implicitamente salva la facoltà di proporre altra domanda in caso di eventuale
ritardo ulteriore” (Cass., sez. 1, 14 aprile 2011, n. 8547; Cass. sez. II, 5
dicembre 2012, n. 21864).
Tale principio, del resto, già era stato enunciato da Cass., sez. 1, 4 ottobre 2005, n. 19352, ponendosi altresì in risalto che l’incertezza sui
Ric. 2011 n. 05058 sez. M1 – ud. 25-09-2012
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calcolando la durata complessiva del giudizio “pendente alla data della

successivi sviluppi del giudizio presupposto, quanto segnatamente alla
sua durata, potrebbero derivare anche da eventuali future transazioni o
rinunce al diritto azionato.
Il terzo motivo, essendo subordinato all’accoglimento dei precedenti

appello di soli quattro mesi) rimane assorbito.
Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali che si liquidano ai sensi del D.M. n. 140 del
2012, come in dispositivo.

P. Q. M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in € 510,00, oltre spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione Civile, in data 25 settem re 2012.

(in realtà, la sentenza impugnata si fonda su una durata del giudizio di

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