Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5120 del 21/02/2019

Cassazione civile sez. trib., 21/02/2019, (ud. 30/01/2019, dep. 21/02/2019), n.5120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. CRUCITTI Roberta – Consigliere –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. FRAULINI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 28480/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in Roma via dei Portoghesi n. 12, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che la rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, via Panama n.

68, presso lo studio dell’avvocato Giovanni Puoti, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2326/01/14 della Commissione tributaria

regionale di Roma, sez. 1, depositata in data 10 aprile 2014;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio

2019 dal Consigliere Paolo Fraulini.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. La Commissione tributaria regionale per il Lazio in Roma ha accolto il ricorso presentato da G.G. per l’ottemperanza al giudicato della sentenza resa dalle Sezioni Unite civili di questa Corte n. 13652 del 24 maggio 2011, che aveva acclarato il diritto del contribuente a un rimborso Irpef, e ha pertanto nominato il commissario ad acta.

2. La sentenza oggi impugnata ha rilevato che il giudizio di ottemperanza non necessitava di alcun adempimento istruttorio, essendo pacifico che il decisum era chiaro nella sua formulazione ad opera della sentenza di legittimità, che aveva deciso nel merito accertando il diritto alla restituzione dell’importo, e che era infruttuosamente decorso il termine di 30 giorni dalla messa in mora dell’Ufficio; con tali presupposti ha provveduto a nominare il commissario ad acta e a impartire disposizioni per l’esecuzione del giudicato.

3. Per la cassazione della citata sentenza l’Agenzia delle Entrate ricorre con un motivo, resistito da G.G. con controricorso.

4. Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. Il ricorso lamenta “Violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 art. 70 e art. 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., 1 comma, n. 4”, deducendo l’erroneità della sentenza per aver ritenuto non necessario alcun accertamento di fatto nel giudizio di ottemperanza, invece indispensabile alla luce del tenore della motivazione della sentenza di legittimità passata in giudicato, con specifico riferimento alla redditività del capitale impiegato dal Fondo sul mercato, presupposto necessario per l’applicazione dell’aliquota del 12,50%.

2. Il controricorrente conclude per il rigetto del ricorso, in quanto infondato.

3. Il ricorso va respinto.

4. L’esame diretto della sentenza n. 13652 del 2011 di questa Corte, cui la Sezione è legittimata dalla deduzione nel motivo in esame di un error in procedendo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, consente di rilevare che oggetto del giudizio passato in cosa giudicata era l’impugnazione da parte del contribuente del silenzio rifiuto opposto dall’amministrazione ad una sua istanza di rimborso delle ritenute operate dal FONDENEL (in precedenza denominato (OMISSIS)) nel momento in cui, al momento della cessazione del rapporto di lavoro come dirigente ENEL, il fondo previdenziale predetto gli aveva corrisposto una somma di denaro, in luogo del trattamento di pensione integrativa. La somma corrisposta era frutto della trasformazione, avvenuta nel 1986, di un trattamento assicurativo in base a polizza attivata dall’azienda per i propri dirigenti in un rapporto previdenziale, che al momento della cessazione del rapporto di lavoro prevedeva la corresponsione di una rendita previdenziale o, in caso di opzione del dipendente per questa alternativa (come era avvenuto nel caso di specie), di un capitale. La sentenza di questa Corte, dopo aver ricostruito nel tempo la successione legislativa dì settore, ha affermato il principio di diritto secondo cui “in tema di fondi previdenziali integrativi, le prestazioni erogate in forma capitale ad un soggetto che risulti iscritto, in epoca antecedente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 124 del 1993, ad un Fondo di previdenza complementare aziendale a capitalizzazione di versamenti e a causa previdenziale prevalente, sono soggette al seguente trattamento tributario: a) per gli importi maturati fino al 31 dicembre 2000, la prestazione è assoggettata al regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 T.U.I.R., solo per quanto riguarda la “sorte capitale” corrispondente all’attribuzione patrimoniale conseguente alla cessazione del rapporto di lavoro, mentre alle somme provenienti dalla liquidazione del cd. rendimento si applica la ritenuta del 12,50%, prevista dalla L. n. 482 del 1985, art. 6; b) per gli importi maturati a decorrere dal 1 gennaio 2001 si applica interamente il regime di tassazione separata di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 16, comma 1, lett. a), e art. 17 T.U.I.R..”. La pronuncia termina con l’accoglimento del ricorso incidentale del contribuente e con l’espressa affermazione della non necessità di ulteriori accertamenti di fatto, presupposto della decisione resa nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

5. In tale contesto, il giudizio di ottemperanza trova il suo oggetto nell’esecuzione del giudicato tributario intervenuto tra le parti e si radica nella, mai discussa e quindi indiscutibile, affermazione della sentenza n. 13652 del 2011 della non indispensabilità di alcun ulteriore accertamento in fatto, rispetto ai presupposti ricostruiti nella pronuncia medesima. E tali presupposti di fatto, per come ricostruibili dalla lettura della pronuncia, sono riferiti alla delimitazione dell’oggetto del giudizio, che concerne la tassazione dell’importo monetario liquidato al G. dal Fondo datoriale al momento della cessazione del rapporto di lavoro. Tale importo, mai contesto nella sua entità, è stato oggetto del giudizio di legittimità e della contestuale pronuncia di merito avente a oggetto la corretta applicazione dell’aliquota di tassazione.

6. A fronte di tale interpretazione del giudicato, appare evidente che il motivo di ricorso è palesemente inammissibile giacchè, attraverso l’asserita violazione del procedimento di ottemperanza tributaria, pretende in realtà di sindacare ex novo la correttezza della sentenza passata in giudicato, deducendo da un passo della medesima la necessità di un ulteriore accertamento di fatto (l’impiego del capitale accantonato). Un fatto che non è mai stato oggetto di contestazione nel giudizio pregiudiziale, tanto da aver come detto costituito il presupposto per la pronuncia ex art. 384 c.p.c.. Corte, la cui legittimità non è mai stata discussa prima d’ora e non può essere più discussa in questa fase, non risultando peraltro in alcun modo quando e dove il G. avrebbe ammesso la circostanza del mancato impiego, come viene apoditticamente dedotto dalla ricorrente nella memoria depositata in data 17 gennaio 2019.

7. La soccombenza regola le spese.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente Agenzia delle Entrate al pagamento, in favore del controricorrente G.G. delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 30 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 21 febbraio 2019

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