Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5120 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. III, 03/03/2011, (ud. 04/02/2011, dep. 03/03/2011), n.5120

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere –

Dott. FINOCCHIARO Mario – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30379/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del direttore legale rappresentante

in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difesa per legge;

– ricorrente –

contro

G.F. (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 195/2006 del GIUDICE DI PACE di PATTI, emessa

il 29/6/2006, depositata il 29/06/2006, R.G.N. 370/C/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/02/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata in data 27.9.2005, G.F. conveniva in giudizio l’ufficio dell’Agenzia delle Entrate di Patti, in persona del direttore pro tempore, e lo invitava a comparire innanzi al Giudice di Pace di Patti per l’udienza del. 25.11.2005.

Premetteva l’attore: che il Ministero delle Finanze, Agenzia delle Entrate Ufficio di Patti, gli aveva notificato, allo stesso, n.4 avvisi di accertamento, con richiesta di imposte, soprattasse ed interessi, relativi agli anni 1994, 1995, 1996 e 1997, per un importo complessivo di Euro 5.971.50; che tale somma, successivamente, era stata iscritta a ruolo e, in data 19.07.2002, gli era stata notificata la cartella esattoriale n. (OMISSIS), emessa della Montepaschi Serit s.p.a., concessionario per la provincia di Messina; che esso attore aveva proposto ricorso e l’Ufficio, dopo aver riconosciuto un errore contabile, aveva comunicato l’emissione di un provvedimento di rimborso delle somme iscritte a ruolo.

Chiedeva i conseguenti danni e l’adito Giudice di Pace, con la decisione in esame depositata in data 29.6.2006, condannava l’Agenzia delle Entrate al risarcimento dei danni in favore dell’istante, liquidati in Euro 894,90, oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo; affermava in particolare detto Giudice che “anche sulla Pubblica Amministrazione grava l’obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere previsto dall’art. 2043 c.c.. Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio…è ovvio che, nel caso di specie, il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione, violando le più comuni regole di prudenza e di diligenza, ha causato un danno economico al G., che non può che essere risarcito e che comprende, tra l’altro, le spese sostenute dallo stesso per il commercialista e per le varie trasferte verso l’ufficio della Pubblica Amministrazione, nonchè le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione”.

Ricorre per cassazione l’Agenzia delle Entrate con un unico motivo;

non ha svolto attività difensiva l’intimato G..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso si deduce violazione dell’art. 2043 c.c.; si afferma in particolare che il Giudice di Pace nel ritenere applicabile alla P.A. il principio del neminem laedere e che “manca nella specie il carattere dell’ingiustizia del danno, in relazione al fatto che l’annullamento in autotutela non si configura quale obbligo bensì come mera facoltà dell’amministrazione, con le conseguenze che il privato non è titolare di alcuna posizione soggettiva in ordine al ritiro dell’atto in positivo”.

Il ricorso è infondato e non merita accoglimento.

Deve, innanzitutto, rilevarsi (come del resto pacifico nella giurisprudenza di questa Corte – tra le altre, Cass. nn. 1191/2003;7531/2009;S.U. 261082007) che l’attività della pubblica amministrazione, anche nel campo della pura discrezionalità, deve svolgersi nei limiti posti dalla legge e dal principio primario del neminem laedere, codificato nell’art. 2043 c.c., per cui è consentito al giudice ordinario accertare se vi sia stato da parte della stessa pubblica amministrazione, un comportamento doloso o colposo che, in violazione di tale norma e tale principio, abbia determinato la violazione di un diritto soggettivo. Infatti, stanai principi di legalità, imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost., la pubblica amministrazione è tenuta a subire le conseguenza stabilite dall’art. 2043 c.c., atteso che tali principi si pongono come limiti esterni alla sua attività discrezionale.

Sul punto, il giudice di merito ha, sulla base del discrezionale potere valutativo ad esso spettante, ritenuta sussistente la violazione dell’art. 2043 c.c., affermando, con sufficiente e logica motivazione, che “buon diritto ha il sig. G.F. di vedersi risarcito il danno causato dalla Pubblica Amministrazione.

Infatti, anche sulla Pubblica Amministrazione grava l’obbligo di rispettare il principio fondamentale del neminem laedere, previsto dall’art. 2043 c.c.. Il comportamento tenuto dalla convenuta non può che ravvisare violazione del suddetto principio; infatti, nonostante le diffide, mai l’Agenzia delle Entrate di Patti ha provveduto a verificare quanto dall’attore lamentato, e cioè che esso non era tenuto al pagamento delle somme richieste con gli avvisi di accertamento notificati. Solo a seguito di ulteriori sollecitazioni da parte del commercialista dell’attore, l’Agenzia delle Entrate di Patti ha ammesso l’errore commesso, provvedendo all’annullamento delle somma richieste. E’ ovvio che, nel caso in specie, il comportamento tenuto dalla Pubblica Amministrazione, violando le più comuni regole di prudenza e di diligenza, ha causato un danno economico al sig. G., che non può che essere risarcito e che comprende, tra l’altro, le spese sostenute dallo stesso per il commercialista e per le varie trasferte verso l’ufficio della Pubblica Amministrazione, nonchè le spese accessorie e consequenziali sostenute per conferire con la Pubblica Amministrazione”.

Il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato comporta il non doversi provvedere in ordine alle spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 4 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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