Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5119 del 03/03/2011
Cassazione civile sez. III, 03/03/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5119
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –
Dott. AMATUCCI Alfonso – rel. Consigliere –
Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –
Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso 12246/2010 proposto da:
S.E. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA LIVIO ANDRONICO 24, presso lo studio dell’avvocato LOIACONO
Maria Teresa, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati
LA GIOIA CLAUDIO, SALVATORE GERARDO giusta delega a margine del
ricorso;
– ricorrente –
contro
COLLEGIO INFERMIERI PROFESSIONALI ASSISTENTI SANITARI VIGILATRICI
D’INFANZIA DELLA PROVINCIALE DI BRESCIA (OMISSIS), MINISTERO
DELLA SALUTE, PROCURA DELLA REPUBBLICA TRIBUNALE ERESCIA, PROCURA
GENERALE CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la decisione n. 45/2009 della COMM. CENTR. ESERC. PROFESSIONI
SANITARIE di ROMA, emessa il 13/7/2009, depositata il 12/02/2010;
udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del
31/01/2011 dal Consigliere Dott. ALFONSO AMATUCCI;
udito l’Avvocato ILARIA ROMAGNOLI per delega dell’Avvocato MARIA
TERESA LOIACONO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del
ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- Con decisione n. 45/2009, depositata il 12.2.2010, la Commissione centrale per gli esercenti le professioni sanitarie ha respinto il ricorso di S.E. avverso la deliberazione del 14.3- 2.4.2008 con la quale il “Collegio degli infermieri professionali, assistenti sanitari e vigilatrici d’infanzia” della provincia di Brescia, a conclusione del procedimento disciplinare iniziato in suo confronto il 14.1.2008, le aveva irrogato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi, avendola ritenuta responsabile dei seguenti addebiti: a) aver favorito l’esercizio abusivo di professione infermieristica mediante utilizzo di personale straniero non inscritto all’albo degli infermieri; b) aver gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche; c) aver esercitato un’attività di gestione ed intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti.
2.- Avverso la decisione ricorre per cassazione la S., affidandosi a sei motivi.
Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva.
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
1.- Col secondo motivo sono dedotte nullità del procedimento e della decisione per violazione, tra le altre disposizioni, del D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, comma 2, lett. a e art. 47 e art. 24 Cost., nonchè per assoluto difetto di motivazione.
Vi si sostiene che col ricorso alla Commissione centrale la ricorrente s’era doluta, tra l’altro, della genericità del addebiti, per difetto, oltre che dell’indicazione delle norme violate, della descrizione del fatto, dell’individuazione dei soggetti coinvolti, delle modalità attuative dei comportamenti addebitati, dei luoghi e dei tempi degli stessi, nonchè di qualsiasi altra circostanza idonea all’individuazione materiale del fatto ascritto, sicchè l’attività difensiva era risultata irrimediabilmente pregiudicata.
E si rappresenta che la doglianza era stata respinta dalla Commissione centrale con un niente affatto pertinente richiamo alla possibilità di integrare l’incolpazione nella prima seduta del giudizio, perchè tanto non era mai accaduto, nè la Commissione centrale aveva d’altronde affermato che il capo di incolpazione fosse stato, nella specie, riformulato o integrato.
Col quarto motivo si sostiene, anzi, che la ricorrente non aveva mai reso dichiarazioni e che non era mai stata direttamente interrogata sui fatti oggetto dell’incolpazione.
2.- Il motivo è fondato ed è assorbente delle altre censure.
La Commissione centrale ha rigettato il motivo di gravame non già perchè gli addebiti erano stati precisati nel corso del procedimento e non si erano verificate lesioni del diritto di difesa, ma perchè, quando ciò avviene, il D.P.R. n. 221 del 1950, art. 39, può dirsi rispettato (così inequivocamente risulta dal secondo, terzo e quarto capoverso di pagina 5 della decisione impugnata).
Con sentenza 2.2.2010, n. 2364, pronunciata in un caso sostanzialmente identico, questa corte ha rilevato che “l’accusa di avere costituito e gestito soggetti societari in violazione delle norme giuridiche e deontologiche, nonchè, di avere esercitato una attività di gestione ed intermediazione della libera professione in modo lesivo del decoro della professione e della dignità dei colleghi professionisti, è criptica e generica: essa, invero, lungi dal descrivere, in concreto, le condotte ascritte all’incolpato, è espressiva di qualificazioni e valutazioni la cui congruenza, in mancanza di una sufficiente esplicitazione della base fattuale, neppure è possibile indagare. Mette conto all’uopo evidenziare che la puntualità della contestazione non è solo funzionale all’esplicazione del diritto di difesa dell’incolpato. In realtà, c’è un’esigenza di trasparenza dell’azione disciplinare, che rende potenzialmente irrilevante la stessa consapevolezza che l’accusato abbia avuto delle condotte, in tesi deontologicamente scorrette, alle quali alluda la contestazione. Tale esigenza, enucleabile dai principi generali dell’ordinamento, a cominciare dall’art. 111 Cost., …, è assolutamente irrinunciabile a sol considerare che, in assenza di una enucleazione oggettivamente chiara dei fatti per cui si procede, riesce praticamente impossibile il controllo giurisdizionale della decisione dell’organo disciplinare, attivabile in base al già richiamato art. 101: controllo comprensivo, come è noto, della violazione e falsa applicazione di norme giuridiche, ma esteso anche alla motivazione, tutte le volte che se ne assuma l’inesistenza, la mera apparenza o l’insanabile contraddittorietà”.
Ha per questo ritenuto il procedimento viziato in modo inemendabile sin dal suo avvio, cassando senza rinvio sia la decisione della Commissione centrale sia quella della commissione disciplinare.
3.- A tale decisione il Collegio ritiene di doversi, per le stesse ragioni, allineare.
Le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate.
P.Q.M.
LA CORTE DI CASSAZIONE accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti gli altri, cassa senza rinvio la decisione della Commissione centrale e quella della commissione disciplinare e compensa le spese.
Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011