Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5118 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5118 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: DOLMETTA ALDO ANGELO

sul ricorso 9936/2014 proposto da:
Grillo Salvatore, Grillo Sebastiano, Grillo Vincenzo, Rapisarda
Giovanna, elettivamente domiciliati in Roma, via Piemonte n. 32,
presso lo studio dell’avvocato Spada Giuseppe, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato Micieli Corrado, giusta procura a
margine del ricorso;
-ricorrenti contro
UniCredit Credit Management Bank s.p.a. (già UGC BANCA s.p.a.),
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in Roma, via Gualtiero Castellini n. 33, presso lo studio

Data pubblicazione: 05/03/2018

dell’avvocato Cerniglia Massimo, rappresentata e difesa dall’avvocato
Bennati Marianna, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrente –

avverso la sentenza n. 1747/2013 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
08/11/2017 dal cons. ALDO ANGELO DOLMETTA.

FATTO E DIRITTO

1.- Salvatore Grillo, Sebastiano Grillo e Giovanna Rapisarda ricorrono
per cassazione nei confronti di Unicredit Credit Management Bank
s.p.a., articolando cinque motivi avverso la sentenza della Corte di
Appello di Catania 8 ottobre 2014, resa in via di conferma della
decisione assunta dal Tribunale di Catania n. 180/2007, a sua volta di
rigetto dell’opposizione dagli attuali ricorrenti proposta contro il
decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Catania n. 3777/2004
dietro ricorso della Banca (come all’epoca denominata Banco di Sicilia
s.p.a.).
Con la richiamata pronuncia, la Corte territoriale ha in particolare
respinto la tesi prospettata dai ricorrenti che affermavano dovesse
ritenersi unico il rapporto corrente tra la Banca e la s.n.c. Fratelli
Grillo di Giuseppe Grillo e C., per cui gli stessi ebbero a prestare
garanzia fideiussoria: quello derivante dal «prestito al commercio»,
per il quale era stato appunto azionato il decreto ingiuntivo, altro non
essendo che una sorta di prosecuzione – congegnata solo per
ripianare l’esposizione debitoria in essere – di un precedente conto
corrente, affetto da più clausole illecite e contrarie alla normativa di

CATANIA, depositata il 08/10/2013;

legge. Secondo la Corte territoriale, per contro, nessun tipo di
collegamento poteva, stando alle risultanze probatorie in atti,
ravvisarsi sussistente tra le dette due operazioni.
Nei confronti del presentato ricorso resiste Unicredit, che ha
depositato apposito controricorso. La detta Banca ha anche

2.- I motivi di ricorso denunziano i vizi che qui di seguito vengono
richiamati.
Il primo motivo assume, in specie, «violazione e falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 345, 346,
352, 356 e 190 cod. proc. civ. ovvero comunque degli artt. 352 e 190
in relazione agli artt. 345, 346 e 356 cod. proc. civ.».
Il secondo motivo censura, poi, «violazione e falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 1321,
1322, 1323, 1324, 1334, 1335, 1341, 1342, 1362, 1372 cod. civ.».
Il terzo motivo si duole, inoltre, di «violazione e falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 645, 163
e 167 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1813, 1823 ss. e 1284 cod.
civ.».
Il quarto motivo lamenta, altresì, «violazione e falsa applicazione, ai
sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 645, 163
e 167 cod. proc. civ., nonché degli artt. 1813, 1823 ss. e 1284 e
1988 cod. civ. in relazione alla domanda riconvenzionale».
Il quinto motivo è intestato alle «spese di giudizio» e chiede, in via di
appendice ai motivi precedenti, la riforma delle relative statuizioni per
entrambi i gradi del giudizio, con «conseguente condanna …
dell’Istituto resistente al pagamento» di tutte le spese inerenti ai detti
gradi.
3.- Il primo motivo riguarda, in segnata specie, la statuizione della
Corte territoriale, che – riscontrato che gli appellanti, all’udienza di
precisazione delle conclusioni, «non hanno reiterato le richieste

depositato memoria.

istruttorie … già rigettate dalla Corte con ordinanza» – ha affermato:
«tale mancata reiterazione equivale a rinuncia …, di talché è preclusa
a questa Corte ogni valutazione in ordine alle dette richieste
istruttorie».
Secondo i ricorrenti, tale affermazione è errata perché non tiene

esaminato. «Nella fattispecie in oggetto» – così si argomenta – «vi era
già stata una reiterazione delle richieste istruttorie, rigettata dalla
Corte d’Appello e per la quale, pertanto, in sede di precisazione delle
conclusioni si faceva effettivo riferimento all’atto di appello e al
relativo verbale di causa».
4.- Il motivo non può essere accolto.
Secondo l’orientamento di questa Corte, a cui il Collegio presta la
propria adesione, «la parte che si sia vista rigettare … le proprie
richieste istruttorie ha l’onere di reiterarle al momento della
precisazione delle conclusioni poiché, diversamente, le stesse
debbono intendersi rinunciate»; «tale onere non è assolto attraverso
il richiamo generico al contenuto dei precedenti atti difensivi, atteso
che la precisazione delle conclusioni deve avvenire in modo specifico,
coerentemente con la funzione sua propria di delineare con precisione
il “thema” sottoposto al giudice e di porre la controparte nella
condizione di prendere posizione in ordine alle (sole) richieste istruttorie e di merito – definitivamente proposte» (cfr. Cass., 3
agosto 2017, n. 19352).
Posta la riportata prospettiva, il caso qui in esame non risulta
presentare peculiarità rilevanti in proposito. Secondo quanto
espressamente riferito dagli stessi ricorrenti, del resto, «all’udienza
del 15 maggio 2013» costoro precisarono le loro conclusioni
«riportandosi a tutti i precedenti scritti difensivi e verbali di causa
relativi a entrambi i gradi di giudizio “da intendersi qui integralmente
ripetuti e trascritti”, con ciò facendo altresì riferimento alla

conto delle caratteristiche presentate dal caso concretamente

reiterazione delle richieste istruttorie»: così svolgendo così un
richiamo di tratto sicuramente generico.
5.- Il terzo, il quarto e il quinto motivo vanno esaminati
congiuntamente, quali motivi intimamente legati tra loro, riguardando
tutti il punto del rapporto – di unicità o invece di reciproca estraneità

Al proposito la Corte palermitana – esaminati i rilievi e documenti
adotti dagli allora appellanti – ha concluso che «non può affatto
ritenersi che i due rapporti costituiscano un tutt’uno e, ciò che più
conta, non può affatto ritenersi provato quanto solo oggi dedotto
dagli appellanti … e cioè che, per effetto di tale unicità del rapporto,
quanto oggi preteso dalla Banca a titolo di saldo debitorio del prestito
commerciale sia il frutto di un’illecita applicazione allo stesso dei tassi
di interesse di cui al rapporto di conto corrente».
In critica alla trascritta conclusione il secondo motivo di ricorso
assume, in particolare, che la sentenza impugnata non ha tenuto
conto di una serie di dati per contro significativi dell’unicità
sostanziale del rapporto: quale in specie il fatto che il contratto di
prestito al commercio venne posto in essere «ai sensi della legge
regionale n. 96 del 6 maggio 1981 e successive modifiche (c.d.
prestito Irfis); quale, soprattutto, una lettera sottoscritta dal legale
rappresentante della società debitrice principale – completata presso
gli Uffici della Banca, su modulo predisposto da quest’ultima e recante
autorizzazione dell’addebito in conto delle rate del prestito via via
venute a scadenza – e trasmessa alla medesima.
Il terzo motivo intende replicare all’affermazione della Corte, per cui
le difese svolte in primo grado dagli attuali ricorrenti si limitavano a
sostenere la tesi dell’unicità del rapporto, senza peraltro asserire che
gli interessi applicati al prestito fossero quelli indicati nel contratto di
conto corrente. Ad avviso dei ricorrenti, «appare evidente che alla
luce del collegamento negoziale evidenziato, che fa sì che l’intero

– tra il prestito al commercio e il precedente conto corrente.

rapporto venisse contestato

ab origine,

gli odierni esponenti

contestavano l’invalidità delle clausole del conto corrente sul quale
venivano effettuate le rimesse relative al prestito commerciale».
Il quarto motivo concerne direttamente la domanda riconvenzionale
svolta a suo tempo dagli attuali ricorrenti e intesa a chiedere la

ragione dell’applicazione al prestito commerciale di interessi previsti
per il conto. Secondo il giudizio del ricorrenti, nel respingere tale
richiesta la Corte «non ha tenuto in considerazione quanto esposto
dagli odierni esponenti in ordine al succitato collegamento,
debitamente provato a mezzo della produzione della lettera contratto del 12 giugno 2017, con la quale si conveniva che il Banco
… avrebbe provveduto al pagamento delle rate trimestrali del prestito
commerciale di esercizio mediante addebito sul conto corrente».
6.- Il secondo, terzo e quarto motivo di ricorso non possono essere
accolti.
Il secondo motivo, in particolare, chiede alla Corte una nuova
valutazione del materiale probatorio portato dai ricorrenti, che nel
sistema vigente a questa risulta, per contro, precluso. In effetti, la
stessa evocazione delle tante norme di legge sul contratto in generale
– che secondo i ricorrenti la sentenza avrebbe violato – suppone
l’assegnazione a detto materiale probatorio di un forza probatoria che
la sentenza ha per l’appunto escluso. D’altro canto, le argomentazioni
svolte dalla Corte territoriale appaiono senz’altro ragionevoli e
plausibili, là dove le censure del ricorrenti sembrano più che altro
fermarsi al livello della semplice affermazione.
Il terzo e il quarto motivo, poi, assumono come fatto scontato, ovvero
oggettivamente verificato, la sussistenza di un collegamento
strutturale tra il prestito al commercio e il conto corrente. Che è
quanto propriamente escluso dalla Corte.

condanna della Banca a rimborsare quanto indebitamente percepito in

7.- Il quinto motivo di ricorso, che riguarda le spese relative ai
precedenti gradi del giudizio, risulta evidentemente assorbito dal
mancato accoglimento dei precedenti quattro motivi.
8.- In definitiva, il ricorso va rigettato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in
favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che
liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie
nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed
agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater d.p.r. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1 comma 17 legge n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo
13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione
civile, addì 8 novembre 2017.
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Dott.ssa Fabrizio BAR E

Le spese del giudizio seguono la regola della soccombenza.

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