Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5118 del 03/03/2010

Cassazione civile sez. lav., 03/03/2010, (ud. 23/12/2009, dep. 03/03/2010), n.5118

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.A., elettivamente domiciliato in ROMA, LARGO

BRINDISI 18, presso lo studio dell’avvocato FUBELLI ALESSANDRO, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PACE EUGENIO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.S.;

– intimato –

sul ricorso 24702-2006 proposto da:

M.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA RICASOLI 7,

presso lo studio dell’avvocato MUGGIA ROBERTO, che lo rappresenta e

difende, giusta mandato a margine del controricorso, e ricorso

incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

S.A.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2082/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/09/2005 R.G.N. 8380/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

23/12/2009 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato MUGGIA ROBERTO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 7 settembre 2005, la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della medesima città del 17 maggio 2003, ha accertato che tra M.S. e S.A., titolare della pizzeria-trattoria (OMISSIS), era proseguito dal 31 marzo 1997 e fino all’8 giugno successivo un rapporto di lavoro subordinato per lo svolgimento da parte del M. delle mansioni di cameriere, condannando pertanto il S. a pagare a quest’ultimo la complessiva somma di Euro 1.427,12, oltre accessori, a titolo di differenze retributive e respingendo invece le domande del M. connesse all’impugnazione del licenziamento, pretesamente avvenuto oralmente in data 22 giugno 1997.

Avverso tale sentenza propone ricorso per Cassazione S. A. con due motivi.

Resiste alle domande il M. con controricorso, proponendo altresì contestualmente ricorso incidentale con due motivi, illustrati poi con memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – I due procedimenti vanno riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c., essendo il ricorso principale e quello incidentale relativi alla medesima sentenza.

2 – Col primo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., nonchè del C.C.N.L. del turismo settore pubblici esercizi, dell’art. 2096 c.c. e correlativi artt. 2724-2725 c.c..

Al riguardo il ricorrente sostiene che dalla risultanze istruttorie emergerebbe chiaramente che il rapporto di lavoro era cessato il 30 marzo 1997, come da conciliazione intervenuta tra le parti.

Nessun testimone avrebbe potuto dire il contrario di quanto risulterebbe dal verbale di conciliazione e del resto l’art. 2096 cod. civ., stabilisce che l’assunzione per un periodo di prova deve avvenire per iscritto, qui mancante e non surrogabile con una prova testimoniale.

Comunque il fatto che i testi abbiano affermato di avere visto il M. nel ristorante anche successivamente al 30 marzo 1997 si spiegherebbe col fatto che saltuariamente aveva effettuato delle sostituzioni.

Inoltre il M. aveva affermato di essere stato riassunto, mentre i giudici hanno affermato che vi era stata prosecuzione del rapporto precedente.

Il motivo è inammissibile.

Con esso infatti il ricorrente, in svolgimento delle enunciazioni rubricate come di violazione di leggi sostanziali e processuali (ed anche di contratti collettivi di diritto comune, che, come è noto, non sono oggetto di diretta interpretazione da parte di questa Corte, prima del prodursi della fattispecie di cui al D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 27, comma 2), si limita a sovrapporre in realtà alla valutazione del materiale probatorio operata dai giudici di merito in ordine all’avvenuta prosecuzione del rapporto di lavoro tra le parti – oltre la data in cui le stesse avevano raggiunto un accordo conciliativo relativamente alla conclusione di esso – una propria diversa valutazione del medesimo materiale probatorio, alla ricerca di una possibile diversa “lettura” della stessa.

A parte infatti l’assoluta non pertinenza di alcune considerazioni relative ad un preteso patto di prova stipulato oralmente, di cui non è traccia nella sentenza impugnata e il mero formalismo di rilevi circa l’uso, nell’atto introduttivo del giudizio, del termine “assunzione” anzichè “prosecuzione” del rapporto di lavoro tra le parti, va qui ribadito che il controllo di legittimità sulle valutazioni di merito, quale quella del materiale probatorio, dei giudici dei due gradi di giudizio non può spingersi fino alla rielaborazione delle stesse, alla ricerca di una soluzione alternativa rispetto a quella ragionevolmente raggiunta dalla sentenza impugnata, ma riguarda viceversa unicamente il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte.

Profili di illegittimità della sentenza che non vengono viceversa specificatamente investiti dalle censure svolte col motivo in esame, a fronte di argomentazioni della Corte territoriale condotte secondo un filo logico coerente, in aderenza al materiale probatorio raccolto.

2 – Col secondo motivo viene denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 421 c.p.c. e il vizio di motivazione.

La Corte aveva ritenuto precluso in primo grado il diritto alla prova esercitato dal S., in ragione della ritenuta tardività della relativa deduzione.

Viceversa, il S. aveva richiesto solo la prova contraria a quella formulata dal M. e poi non era stata pronunciata alcuna decadenza da parte del primo giudice.

Comunque i giudici avrebbero dovuto attivare il loro potere dovere di ammettere la prova contraria d’ufficio.

Infine sarebbe errata la valutazione delle prove operata dai giudici.

Anche il motivo in esame è infondato.

Per una parte di esso, laddove qualifica come erronee le valutazioni del materiale probatorio operate dai giudici di merito, valgono le considerazioni svolte nel motivo precedente, a sostegno della ritenuta inammissibilità delle relative censure, così come formulate anche in questo caso dal ricorrente.

Per il resto, la Corte territoriale ha confermato la correttezza della mancata ammissione della prova testimoniale contraria dedotta dal S. in primo grado, in ragione della decadenza in cui questi era incorso in proposito a seguito della tardiva costituzione nel relativo giudizio, avvenuta dopo una iniziate contumacia, ritenendo quindi, alla luce delle situazione processuale verificatasi, di non esercitare propri poteri sostitutivi ufficiosi.

Rientrando una tale valutazione nei potere discrezionale dei giudici di merito, incensurabile quanto al merito della stessa in questa sede, anche la relativa generica censura è infondata.

Col primo motivo del ricorso incidentale viene dedotta la “violazione e falsa applicazione art. 416 c.p.c., e la mancata applicazione del principio di non contraddizione nel non accertare la sussistenza del licenziamento verbale.

I giudici non avrebbero tenuto adeguatamente conto del comportamento processuale della parte convenuta, costituitasi tardivamente, contestando solo il rapporto (vale a dire l’esistenza e lo svolgimento dello stesso) e non il licenziamento e rispondendo solo tardivamente all’interrogatorio formale.

Anche il ricorrente incidentale pretende, con tale motivo, di sostituire proprie valutazioni a quelle dei giudici di merito, invocando a sostegno della censura la violazione della regola processuale per cui la mancata contestazione dei fatti costitutivi dei diritti azionati rende inutile la prova degli stessi da parte di chi li deduce (su cui, cfr., tra le altre, Cass. S.U. 23 gennaio 2002 n. 761 e 17 giugno 2004 n. 11353).

Senonchè, nel caso in esame, i giudici di merito hanno evidentemente ritenuto che la parte convenuta nel giudizio di primo grado, contestando l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato (“il M. non ha mai più lavorato alle dipendenze del S.”, è scritto nella memoria di costituzione riprodotta sul punto nel ricorso incidentale), avesse implicitamente contestato altresì l’esistenza di un licenziamento, valorizzando quindi gli elementi istruttori raccolti nel loro complesso, tra cui anche la ritenuta contraddittorietà delle dichiarazioni del ricorrente.

Il primo motivo del ricorso incidentale è pertanto infondato.

Col secondo motivo la difesa di M.S. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2, nonchè il vizio di motivazione.

La Corte territoriale avrebbe infatti ritenuto non provato il licenziamento, sulla base di pretese contraddizioni nel ricorso introduttivo relative alla data dello stesso.

Contraddizioni che non ci sono poichè il ricorrente aveva parlato di due licenziamenti e comunque il convenuto non avrebbe contestato l’esistenza del licenziamento e il testimone S.S. aveva parlato di licenziamento.

D’altronde la prova di un licenziamento orale deve essere particolarmente rigorosa, secondo quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte (cita Cass. 28.5.03 n. 8481 e 13 aprile 2005 n. 7614).

Anche tale motivo è infondato.

Alle considerazioni svolte nella parte finale dell’esame del motivo precedente, va aggiunto che il ricorrente incidentale contesta gli elementi di fatto sui quali la Corte ha fondato la valutazione di contraddittorietà delle sue dichiarazioni in ordine all’avvenuto licenziamento, senza peraltro riprodurre, in violazione delle regola fondamentale relativa alla autosufficienza del ricorso per cassazione, applicabile anche al ricorso incidentale (cfr. Cass. 19 gennaio 2007 n. 1195), il testo del ricorso ex art. 414 c.p.c., che toglierebbe ogni sostegno fattuale a tale valutazione di contraddittorietà.

Per il resto, scontato che la Corte territoriale ha avuto ben presente la regola relativa all’onere della prova, con specifico riferimento alla necessità di particolare attenzione nella relativa verifica quando sono in gioco interessi importanti quale la stabilità del rapporto di lavoro (ma, al riguardo, sono parzialmente inconferenti le citazioni giurisprudenziali effettuate, in quanto relative alla applicazione della regola della prova quando si contrappongono nella controversia fatti costitutivi opposti, quali da un lato il licenziamento e dall’altro le dimissioni), si rileva che le pur succinte valutazioni della sentenza relativamente alla inesistenza di un licenziamento orale fondano correttamente sull’esame complessiva del materiale probatorio raccolto e, lo si ripete, non sono censurabili sulla base di una diversa valutazione di parte, sostenuta dalla enucleazione da tale materiale probatorio di elementi di non sicura significatività e comunque parziali.

Concludendo, ambedue i ricorsi vanno respinti, con conseguente compensazione integrale tra le parti delle spese di giudizio.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta, compensando integralmente tra le parti le spese di questo giudizio di Cassazione.

Così deciso in Roma, il 23 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2010

 

 

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