Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5116 del 03/03/2011

Cassazione civile sez. III, 03/03/2011, (ud. 31/01/2011, dep. 03/03/2011), n.5116

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. AMATUCCI Alfonso – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 30591/2006 proposto da:

G.G. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE PALUMBO 12, presso lo studio dell’avvocato CRISCI

Simonetta, che lo unificato rappresenta e difende unitamente

all’avvocato BONAMASSA GIORGIO giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE MILANO, CONSIGLIO

DELL’ORDINE DEGLI ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E

CONSERVATORI DI MILANO (OMISSIS);

– intimati –

avverso la decisione n. 12/2006 del CONSIGLIO NAZIONALE DEGLI

ARCHITETTI, PIANIFICATORI, PAESAGGISTI E CONSERVATORI di ROMA, emessa

il 1/6/2006, depositata l’11/07/2006;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

31/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPA CARLUCCIO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO

1. L’arch. G.G. proponeva ricorso al Consiglio Nazionale degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori avverso la delibera del Consiglio dell’Ordine di Milano, con la quale gli era stata inflitta la sanzione della sospensione dell’iscrizione all’Albo per un mese.

Il ricorso veniva rigettato (decisione 11 luglio 2006).

Il G. ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta decisione con quattro motivi, corredati da quesiti.

Il P.M. presso il Tribunale di Milano e il Consiglio dell’Ordine di Milano, ritualmente intimati, non hanno presentato difese.

2. Il comportamento addebitato all’architetto, quale emerge dagli atti del processo, è pacifico. Il G., su incarico del Comune, redigeva, con altri colleghi, la variante parziale al Piano Regolatore Generale. L’incarico era limitato alla stesura degli elaborati e non comprendeva il compito di occuparsi delle successive controdeduzioni e osservazioni prima dell’approvazione definitiva.

Nel periodo successivo all’adozione da parte del Comune della variante (avvenuta il 19 marzo 2003) e prima dell’approvazione definitiva della stessa (il 10 febbraio 2004), una società privata presentava (4 febbraio 2004) al Comune una proposta, anche a firma dell’arch. G., di Piano attuativo inerente un’area compresa nella suddetta Variante. Nella stessa data (10 febbraio 2004) dell’approvazione definitiva della variante, il Comune adottava il piano attuativo della società privata.

3. Il quadro normativo di riferimento è dato dalla previsione normativa della legge urbanistica e dalle norme deontologiche.

La prima (L. n. 1150 del 1942, art. 41 bis – introdotto dalla L. n. 765 del 1967, art. 14) limita gli incarichi, nell’ambito territoriale di riferimento, che possono essere assunti dai professionisti incaricati della redazione degli strumenti urbanistici:

soggettivamente, al committente pubblico; temporalmente, fino alla approvazione degli strumenti urbanistici redatti; quindi, prevede la segnalazione delle violazioni al rispettivo Consiglio dell’ordine per i provvedimenti amministrativi del caso.

Le norme deontologiche degli architetti, secondo il Testo Unificato delle norme di deontologia per l’esercizio della professione di architetto, applicabile ratione temporis, prevedono, in generale, lo svolgimento della professione senza che sussistano condizioni di incompatibilità. In particolare, per gli architetti incaricati dalle pubbliche amministrazioni della redazione di strumenti urbanistici, l’obbligo – esteso a collaboratori – di non assumere incarichi da privati nella stessa area sino all’approvazione definitiva degli strumenti pubblici. Quindi, la sanzione della sospensione fino a tre mesi per i contravventori.

4. La decisione del Consiglio Nazionale degli Architetti impugnata ha confermato la sospensione inflitta dal Consiglio dell’ordine locale sulla base delle seguenti argomentazioni:

a) non risulta violato il R.D. n. 2537 del 1925, art. 44, relativo alla procedura richiesta per l’avvio e lo svolgimento del procedimento disciplinare, nè è fondato il ricorso in ordine alla non corretta contestazione degli addebiti;

b) quanto al merito, la condotta – di progettazione di natura privata prima che intervenisse l’approvazione dello strumento urbanistico, che lo stesso ricorrente aveva progettato a seguito di incarico del Comune – integra la violazione dell’art. 29 del codice deontologico, in relazione all’art. 41 bis della Legge Urbanistica.

5. Con i primi due motivi di ricorso viene dedotta la nullità della decisione del Consiglio dell’ordine locale, per la mancata assistenza del difensore nell’audizione preliminare dinanzi al relativo Presidente (primo), nonchè per la diversità della contestazione tra la fase precedente e la delibera di apertura del procedimento (secondo).

I motivi sono entrambi inammissibili, non censurando la decisione oggetto di ricorso.

6. Con il terzo motivo il ricorrente denuncia omessa motivazione (art. 132 c.p.c.) in ordine alla modifica dell’addebito disciplinare – che vi sarebbe stata tra la decisione dell’ordine locale (dove si faceva riferimento solo alle norme deontologiche) e la decisione del Consiglio nazionale (dove si fa riferimento alla norma deontologica, in riferimento all’art. 41 bis della legge urbanistica) -, con conseguente incomprensibilità della motivazione laddove fa proprie le ragioni di merito sostenute dal primo giudice.

Il motivo va rigettato. La decisione impugnata (che ratione temporis è impugnabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 e u.c., come modificato dal D.Lgs. n. 40 del 2006, senza le limitazioni precedentemente previste per i ricorsi ex art. 111 Cost.), pur sintetica, motiva efficacemente e non ingenera dubbi di sorta in ordine alle ragioni per cui si conferma la decisione del primo giudice. Nè aveva motivo di soffermarsi sul preteso cambiamento dell’imputazione rispetto alla decisione dell’ordine locale, perchè tale mutamento non c’è stato. Infatti, quest’ultima richiama solo le norme deontologiche, mentre la decisione impugnata mette in relazione la norma deontologica fondamentale (l’art. 29) con la limitazione degli incarichi prevista dalla legge al fine di prevenire situazioni di incompatibilità. Dalla lettura delle due disposizioni (delle quali si è detto) emerge con evidenza che non possono non riferirsi allo stesso fatto, con conseguente negazione di qualunque pregiudizio al diritto di difesa.

7. Con il quarto motivo si denuncia violazione di legge (dell’art. 29 del codice deontologico, in relazione all’art. 41 bis della legge urbanistica) nella parte in cui la sentenza impugnata, sulla base di tali norme, ha ritenuto vietati (e, quindi, suscettibili di sanzioni disciplinari) gli incarichi, provenienti da privati, assunti dal professionista (come nella specie), dopo l’adozione da parte dell’ente pubblico dello strumento urbanistico e prima dell’approvazione definitiva dello stesso, nonostante l’incarico pubblico fosse limitato alla sola adozione dello strumento.

Poi, per l’ipotesi che la Corte, ritenga legittima tale interpretazione, si eccepisce l’illegittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2 (recte 3) e 41 Cost., dell’art. 29 del Codice deontologico.

7.1. Deve preliminarmente precisarsi che, per esaminare la censura di violazione di legge prospettata, non è necessario affrontare e risolvere il problema della natura delle norme deontologiche in argomento, con i connessi profili del sindacato di legittimità ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 e dell’interpretazione secondo i canoni di interpretazione dei contratti (art. 1362 c.c., e segg.) o secondo quelli previsti per la legge (art. 12 preleggi). Argomento sul quale la Corte non si è ancora espressamente pronunciata in riferimento alle norme deontologiche degli architetti (rispetto alle quali si registra Cass. n. 11488 del 1996 e Cass. n. 15523 del 2006), dopo il cambiamento di indirizzo (Cass. S.U. n. 26810 del 2007), rispetto alle norme del codice disciplinare forense, che – superando contrapposte posizioni – ne ha affermato la natura di fonti normative integrative del precetto legislativo, come tali interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità.

Infatti, nella specie, la norma del codice deontologico, nella cui violazione si è sostanziato l’illecito disciplinare ascritto al professionista, riempie di contenuto la previsione generale prevista, per i professionisti in genere, dall’art. 41 bis della legge urbanistica, e, come tale, assume il rango di norma di diritto ai fini dell’interpretazione di questa Corte (si v. in riferimento ai geometri Cass. n. 13078 del 2004).

7.2. L’interpretazione della norma deontologica, in riferimento alla generale norma di legge, compiuta dal Consiglio Nazionale, è corretta. Quella sostenuta dal ricorrente – secondo cui il divieto sussisterebbe solo sino all’adozione dello strumento, quantomeno nel caso di specifica delimitazione dell’incarico pubblico che escluda l’assistenza al Comune per le osservazioni e deduzioni – sarebbe in palese violazione della ratio delle limitazioni previste, da contrapposti e corrispondenti angoli visuali, dal legislatore e dal codice deontologico. La tutela dell’interesse pubblico allo svolgimento dell’incarico di redazione di uno strumento urbanistico in modo disinteressato e imparziale, evidentemente perseguita dalle disposizioni in argomento, fonda la persistenza della limitazione temporale sino all’approvazione definitiva degli stessi strumenti urbanistici. La possibilità di assumere incarichi da privati subito dopo l’adozione, mentre lo strumento urbanistico è ancora in fieri, quantomeno, accetterebbe il rischio che le scelte effettuate per lo svolgimento dell’incarico pubblico possano non essere esclusivamente ispirate dalla ottimale cura della cosa pubblica. Inoltre, per altro verso, le limitazioni previste possono anche leggersi come poste a tutela delle regole di corretta concorrenza tra professionisti. E’ sufficiente ipotizzare la spendita dell’incarico pubblico, in corso di svolgimento, per favorire contatti con privati, ai fini di incarichi di progettazione nella stessa area oggetto della strumento urbanistico, subito dopo la sua adozione. Peraltro, la Corte, che pure non si è sino ad ora occupata espressamente della delimitazione temporale del divieto, ha comunque avuto modo di applicare l’art. 41 bis in argomento, affermando indirettamente la persistenza delle limitazioni sino alla definitiva approvazione (Cass. S.U. n. 10555 del 1990; Cass. n. 2481 del 1991).

Il quarto motivo, quindi, va rigettato.

7.3. L’eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 29 del Codice deontologico, prospettata in riferimento agli artt. 2 (recte 3) e 41 Cost., è inammissibile.

Le questioni di legittimità costituzionale possono avere ad oggetto le leggi e gli atti aventi forza di legge dello Stato e delle Regioni, secondo quanto disposto dall’art. 134 Cost., comma 1. La Corte costituzionale ha sempre interpretato restrittivamente tale parametro, escludendo fonti diverse da quelle elencate, con l’eccezione di qualche rara pronuncia concernente, a determinate condizioni, i regolamenti (C. cost., n. 257 del 1991 e n. 456 del 1994).

7.3.1. Peraltro, se si volesse ipotizzare che l’eccezione è stata sostanzialmente sollevata rispetto all’art. 41 bis, come esplicitato dalla norma deontologica, la stessa non sarebbe non manifestamente infondata. Le limitazioni, temporali e territoriali, all’assunzione di incarichi professionali da privati non possono ritenersi limitative della libertà di iniziativa economica garantita dall’art. 41 Cost. se si considera il bilanciamento dei valori rispetto all’esigenza di assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione (art. 97 Cost.). Senza trascurare la possibilità, di cui si è detto, di leggere le norme in argomento come poste, anche, a tutela della concorrenza nell’esercizio delle libere professioni. Nè (secondo quanto deduce il ricorrente), potrebbe ritenersi leso l’art. 3 Cost., per la diversa interpretazione sostenuta da alcuni collegi locali, trattandosi di questione di fatto, non idonea a radicare una questione di costituzionalità. Ovvero, per la diversa norma deontologica prevista per gli ingegneri, trattandosi di comparazione tra norme deontologiche di diversi ordini professionali.

8. Il ricorso va, pertanto, rigettato. Nulla per le spese.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 31 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2011

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