Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5114 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2021, (ud. 21/10/2020, dep. 25/02/2021), n.5114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LEONE Margherita Maria – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23705-2019 proposto da:

V.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO MARCHISIO,

99, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPINA BRAMATO, rappresentato

e difeso dall’avvocato GIUSEPPE MANSI;

– ricorrente –

contro

S.R., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA E.

FILIBERTO, 166, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CORVASCE,

rappresentato e difeso dall’avvocato ANTONIO LACERENZA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1339/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 23/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/10/2020 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA

DE FELICE.

 

Fatto

RILEVATO

che:

la Corte d’appello di Bari, in riforma della sentenza del Tribunale di Trani, ha condannato V.R., titolare dell’omonima impesa edile a corrispondere le differenze retributive rivendicate da S.R., apprendista piastrellista inquadrato nel II livello del CCNL imprese artigiane edili, per il rapporto di lavoro intercorso con la predetta impresa dall'(OMISSIS);

la Corte territoriale, disposta la CTU contabile, ha condannato la ditta datrice a corrispondere al S. la minor somma di Euro 3.470,00 rispetto a quella riconosciuta in primo grado;

la cassazione della sentenza è domandata da V.R. sulla base di tre motivi;

S.R. ha opposto difese;

è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

Diritto

CONSIDERATO

che:

col primo motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, il ricorrente deduce “Violazione e/o falsa applicazione degli artt. 195 e 196 c.p.c., in relazione all’art. 441 c.p.c., u.c., per un duplice ordine di ragioni”;

la censura contesta inadempienze procedurali del CTU, quali la mancata comunicazione della bozza di relazione contabile e la mancata trasmissione alla Corte d’appello delle osservazioni alla bozza di consulenza, vizi procedurali che avrebbero giustificato la revoca dell’incarico da parte della Corte d’appello;

col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, contesta “Nullità del procedimento e nullità derivativa della sentenza gravata in relazione agli artt. 44 e 46 delle disp. att. c.p.c., nonchè ex artt. 126 – 127 – 130 c.p.c.” per incompletezza del verbale d’udienza del 26/2/2019, risultante privo delle richieste formulate dalla difesa dell’odierno ricorrente (in tema di qualificazione della tipologia del contratto, come apprendistato professionalizzante ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003);

col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, lamenta “Violazione e falsa applicazione dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro in relazione altresì agli artt. 1362 e ss. c.c., circa l’interpretazione dei contratti – erroneità e falsa applicazione del CCNL di categoria Artigiani-Edili nel punto inerente la qualificazione dell’apprendistato professionalizzante costituente punto essenziale della controversia – assenza di motivazione sul punto e nullità della sentenza;

contesta l’applicazione da parte del CTU delle tabelle retributive proprie dell’apprendistato professionalizzante, frutto di una arbitraria qualificazione del profilo professionale del lavoratore, il quale, secondo il CCNL, rientrerebbe nell’apprendistato semplice;

deve ritenersi assorbita l’eccezione preliminare con cui parte ricorrente denuncia violazione del D.L. n. 179 del 2012, art. 16 bis – comma 9/bis e art. 16 undecies – comma n. 1, convertito in L. n. 221 del 2012, perchè la sentenza di appello, notificata per via telematica a mezzo pec, sarebbe stata inidonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione in quanto priva dell’attestazione di conformità;

l’irritualità della notificazione di un atto a mezzo di posta elettronica certificata non ne comporta la nullità, qualora la consegna dell’atto abbia comunque prodotto il risultato della conoscenza di esso e determinato così il raggiungimento dello scopo legale a cui lo stesso era finalizzato (in tal senso, cfr. Cass. n. 20625 del 2017);

si procede all’esame dei motivi di ricorso;

il primo motivo è inammissibile;

le critiche del ricorrente si appuntano sul rilievo di vizi procedurali asseritamente riscontrati nella relazione peritale;

tuttavia, il vizio deducibile in cassazione deve risultare intrinseco alla medesima sentenza oggetto d’impugnazione, di tal che non è sufficiente che esso venga riferito a parametri valutativi esterni, quale è il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio (Cass. n. 1605 del 2000);

il secondo motivo è inammissibile;

parte ricorrente non trascrive e non produce il verbale d’udienza del 26 febbraio 2019 da cui vorrebbe che si evincesse la mancata trascrizione della richiesta di parte al giudice in ordine alla qualificazione della tipologia di contratto quale “apprendistato professionalizzante”;

il ricorso per cassazione, in ragione del principio di specificità, deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. ex multis, Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);

l’obbligo di specificità del motivo sussiste anche quando la Corte di cassazione viene investita quale giudice del fatto e richiesta di esaminare direttamente gli atti di causa; infatti, non essendo l’error in procedendo rilevabile ex officio, nè potendo la Corte ricercare e verificare autonomamente i documenti interessati dall’accertamento, è necessario che la parte ricorrente non solo indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame, ma altresì che illustri la corretta soluzione rispetto a quella erronea praticata dai giudici di merito, in modo da consentire alla Corte investita della questione, secondo la prospettazione alternativa del ricorrente, la verifica della sua esistenza e l’emenda dell’errore denunciato (Cass. n. 20181 del 2019);

il terzo motivo è inammissibile;

la censura denuncia solo apparentemente una violazione di legge, là dove, invece, domanda una rivalutazione del merito, inibita in sede di legittimità;

la questione dell’appartenenza ad una delle forme di apprendistato previste dalla legge è stata valutata in concreto dal giudice dell’appello, il quale, disattendendo la richiesta dell’appellato di ritenere che il rapporto di lavoro intercorso con S.R. rientrasse nella forma dell’apprendistato semplice, ha pienamente motivato come il lavoratore fosse stato adibito alle mansioni di apprendista piastrellista, rientranti “…nel 2 gruppo previsto dall’allegato sull’apprendistato professionalizzante nel quale rientrano espressamente “le lavorazioni di carattere tradizionale e a medio contenuto professionale, quali ad esempio muratore, verniciatore, imbianchino, pavimentatore, piastrellista…” (p. 6 sent.);

inoltre, la stessa Corte territoriale, ha aggiunto che l’appellato “…non aveva sintomaticamente mai evidenziato quale altro tipo di apprendistato sarebbe stato in concreto applicato al caso in esame…” (p. 6 sent.);

va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n. 18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);

ad ogni modo, vale la pena altresì rilevare come, in base al consolidato orientamento di questa Corte, nel caso in cui sia prospettata la violazione di un contratto collettivo nazionale di lavoro di diritto privato, quest’ultimo è conoscibile dal giudice solo attraverso la collaborazione delle parti, cui è demandato l’adempimento di uno specifico onere di allegazione e produzione della fonte collettiva che si assume disattesa (per tutte cfr. Cass. n. 19507 del 2014; Cass. n. 6394 del 2019);

in definitiva, il ricorso è inammissibile;

le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza e se ne dispone la distrazione in favore del difensore dichiaratosi antistatario;

in considerazione dell’inammissibilità del ricorso, sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità nei confronti del controricorrente, che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 1.600,00 per compensi processuali da distrarsi in favore del difensore dichiaratosi antistatario, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 21 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

 

 

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