Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5114 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 25/02/2020), n.5114

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 1715-2019 proposto da:

E.F., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso

la CANCELLERIA della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANTONIO ALMIENTO;

– ricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS);

– intimato –

avverso il decreto n. R.G. 1686/2018 del TRIBUNALE di LECCE,

depositato il 04/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 17/12/2019 dal Consigliere Relatore Dott. TRICOMI

LAURA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008 ex art. 35, E.F., nato in Nigeria (Edo State), chiedeva al Tribunale di Lecce che gli venisse riconosciuta una delle diverse misure di protezione internazionale, erroneamente denegate dalla Commissione territoriale. Il giudice adito rigettava la domanda.

Il ricorrente aveva narrato di essere fuggito perchè, in occasione di un diverbio e di una colluttazione, aveva spinto un uomo a terra e questi era morto e temeva di essere ucciso dai familiari di questo una volta rientrato in Nigeria.

Il Tribunale non ha ritenuto credibile il racconto del ricorrente per la vaghezza e la genericità dell’esposizione, oltre che confuso ed intriso di contraddizioni, rimarcando, comunque, che le vicende narrate non attenevano a motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un gruppo sociale, nè era emerso l’incapacità o la non volontà delle autorità locali di offrire protezione.

Ha valutato quindi, ai fini della domanda di protezione sussidiaria, le condizioni socio/politiche della zona della Nigeria, di provenienza del richiedente, escludendo la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Paese sulla scorta di fonti internazionali espressamente indicate; infine ha negato la protezione umanitaria, non ravvisando nè peculiari situazioni personali di vulnerabilità, nè l’integrazione in territorio italiano, non ancorabile al solo svolgimento di attività lavorative.

Il richiedente ha proposto ricorso per cassazione con sei mezzi; il Ministero dell’Interno è rimasto intimato.

Sono stati ritenuti sussistenti i presupposti per la trattazione camerale ex art. 380 bis c.p.c..

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la “Nullità del decreto e/o del procedimento, per violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 per omesso esame del ricorrente”, criticando la decisione impugnata nella parte in cui ha negato la protezione invocata giudicando l’appellante non credibile senza peraltro procedere, come ben avrebbe potuto, ad un suo nuovo esame ovvero ad acquisire, di ufficio, informazioni al fine di stabilire la veridicità di quanto da lui narrato.

1.2. Il primo motivo è infondato.

Giova, invero, sottolineare che il Tribunale ha ampiamente esposto le ragioni che l’hanno indotto a considerare, come analogamente aveva ritenuto la Commissione territoriale, affatto inattendibile l’odierno ricorrente, giudicando, alla fine, il suo racconto come “confuso e generico” e non credibile, tra l’altro, laddove aveva narrato di non essersi potuto rivolgere alla polizia ed ai capi del villaggio, salvo poi dire che lo zio, con il quale viveva aveva chiarito il problema con i capi del villaggio (cfr., amplius, pag. 6 del decr. imp.).

Questa Corte ha recentemente chiarito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nella specie nemmeno prospettato) come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (cfr. Cass. n. 3340 del 2019) e ciò, nel caso di specie, peraltro non è nemmeno avvenuto.

Infine non si ravvisa alcuna violazione del dovere di cooperazione officioso in ragione del mancato ascolto da parte del Tribunale: tale incombente, infatti, non era dovuto perchè alla fissazione dell’udienza non consegue automaticamente l’obbligo del giudice di fissare l’audizione (Cass. n. 5973 del 28/02/2019), nè risulta che il ricorrente – come avrebbe potuto – abbia chiesto di essere sentito dal Tribunale e che a ciò sia seguito un rifiuto immotivato.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la “Nullità del decreto o del procedimento, per omessa pronuncia sui motivi di gravame, mancanza o apparenza della motivazione, violazione degli artt. 113 e 132 c.p.c., dell’art. 156c.p.c., comma 2, e dell’art. 111 Cost., comma 6, censurando il decreto per non essersi attivato il giudice per colmare le lacune istruttorie con un attività officiosa e lamentando che il Tribunale si era soffermato sulle vicende del Delta State, mentre il richiedente proveniva dall’Edo State;

2.2. Con il terzo motivo si denuncia la “Nullità del decreto o del procedimento per la violazione del potere dovere officioso del giudice di acquisire informazioni e documenti rilevanti, in base al diritto vivente di questa Corte (Cass., Sez. Un. 27310/2008), al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 ed alla Dir. 2004/83/CE, nonchè per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, in ambedue i casi rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”, censurando il decreto impugnato che, dando eccessivo peso alle dichiarazioni rese dal richiedente, non aveva compiutamente indagato, avvalendosi dei propri poteri officiosi, sulle condizioni di pericolo esistenti in Nigeria.

2.3. Con il quarto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 7 e 14 rilevante ai fini dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (Mancata concessione della protezione sussidiaria cui il ricorrente aveva diritto ex lege in ragioni delle attuali condizioni socio politiche del Paese di origine)”, nuovamente lamentando il mancato riconoscimento della protezione sussidiaria pur sussistendone, a dire del ricorrente, i presupposti.

2.4. Il secondo, il terzo ed il quarto motivo possono essere trattati congiuntamente per connessione e vanno respinti perchè infondati.

2.5. Posto che contrariamente a quanto assume il ricorrente, “In materia di protezione internazionale, il richiedente è tenuto ad allegare i fatti costitutivi del diritto alla protezione richiesta, e, ove non impossibilitato, a fornirne la prova, trovando deroga il principio dispositivo, soltanto a fronte di un’esaustiva allegazione, attraverso l’esercizio del dovere di cooperazione istruttoria e di quello di tenere per veri i fatti che lo stesso richiedente non è in grado di provare, soltanto qualora egli, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda e ad aver compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla, superi positivamente il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.” (Cass. n. 15794 del 12/06/2019), va osservato che, nel caso in esame, il Tribunale pur avendo ritenuto non credibile il ricorrente – ha proceduto ugualmente, al fine di valutare la domanda di protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007 ex art. 14, lett. c), ad acquisire informazioni:

– mediante le fonti internazionali (Amnesty International 2016-2017);

– in attuazione dell’onere di cooperazione istruttoria e vagliare le condizioni socio/politiche della Nigeria, giungendo ad affermare che le situazioni di violenza e di conflitto verificatesi nel Delta State non avevano raggiunto nella zona di provenienza del richiedente una situazione che integrasse il concreto rischio della vita o di un grave danno alla persona e le censure si traducono in una impropria sollecitazione del riesame del merito.

Inoltre la complessiva doglianza, rivolta alla disamina compiuta con riferimento al Delta State, non coglie nemmeno la ratio decidendi che, prendendo in esame la localizzazione di situazioni di violenza (Delta State), ha escluso che potessero avere ricadute nella zona di provenienza del richiedente e risulta essere assolutamente generica anche quanto alla mancata attivazione dei poteri officiosi del giudice investito della domanda di protezione e, per conseguenza, priva di decisività perchè non viene indicato quali siano le informazioni che, in concreto, avrebbero potuto determinare l’accoglimento del proprio ricorso (in tema, Cass. n. 2119 del 24/1/2019; Cass. n. 30105 del 21/11/2018).

3.1. Con il quinto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, anche in relazione alle previsioni di cui al D.P.R. n. 349 del 1999, art. 28, comma 1, alla L. n. 110 del 2007, all’art. 10 Cost. e art. 3 CEDU, rilevante ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 (il Tribunale ha errato a non applicare al ricorrente la protezione, non potendo essere rifiutato il permesso di soggiorno allo straniero, qualora ricorrano seri motivi di carattere umanitario, nonchè essendo vietata l’espulsione dello straniero che possa essere perseguitato nel suo Paese di origine o che ivi possa correre gravi rischi)”, criticando la decisione impugnata nella parte in cui aveva negato all’appellante anche la protezione umanitaria;

3.2. Con il sesto motivo si denuncia la “Violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dell’art. 8 della CEDU, violazione di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ed omesso esame circa un fatto decisivo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Mancata valutazione della sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione umanitaria”, nuovamente criticandosi la decisione impugnata nella parte in cui ha negato all’appellante anche la protezione umanitaria senza prendere in considerazione la sua vulnerabilità e la sua integrazione in Italia.

3.3. Anche i motivi quinto e sesto, da trattare unitariamente perchè volti a censurare il mancato riconoscimento della cd. protezione umanitaria, sono infondati.

La statuizione assunta, che fonda il diniego della protezione umanitaria sull’accertamento della mancanza di una specifica situazione di vulnerabilità personale, è conforme al principio secondo il quale, in materia di protezione umanitaria, il riconoscimento del diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato di integrazione sociale in Italia, deve fondarsi su una effettiva valutazione comparativa della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese d’origine, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (Cass. S.U. n. 29459 del 13/11/2019; Cass. n. 4455 del 23/02/2018), posto che nello specifico è stata esclusa l’integrazione in Italia e tale profilo non risulta adeguatamente contestato, atteso che lo stesso ricorrente riconosce che l’attività lavorativa svolta aveva carattere temporaneo.

A ciò va aggiunto che risulta dirimente il difetto di qualsivoglia allegazione individualizzante in punto di vulnerabilità non esaminata in fase di merito, senza che la insussistenza dei presupposti accertata dal giudice del merito – e sostanzialmente confermata dal ricorrente – trovi una adeguata e puntuale replica nell’illustrazione del motivo di ricorso, formulato in termini generali.

4. Tali conclusioni non sono contestate specificamente nella memoria, con la quale il ricorrente insiste esclusivamente sui motivi di ricorso e deposita la delibera di ammissione provvisoria al patrocinio a spese dello Stato.

5. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

In assenza di attività difensiva della parte intimata non si provvede sulle spese.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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