Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5114 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5114 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: NAZZICONE LOREDANA

N

sul ricorso 9470/2014 proposto da:
Geraldini Jacopo, e Iltex S.r.l., in persona del legale rappresentante
pro tempore, elettivamente domiciliati in Roma, Piazza Fiammetta n.

11, presso lo studio dell’avvocato Italia Salvatore, che li rappresenta
e difende unitamente all’avvocato Perani Paolo, giusta procura a
margine del ricorso;
– ricorrenti contro
Canepa S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Puccini n. 10, presso lo
studio dell’avvocato Ferri Mario, che la rappresenta e difende

Data pubblicazione: 05/03/2018

unitamente agli avvocati Ghidini Gustavo, Mergati Marco Carlo Luigi,
giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;
– controricorrente e ricorrente incidentale avverso la sentenza n. 4283/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,
depositata il 21/11/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

lette le conclusioni scritte del P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale LUIGI SALVATO che ha chiesto che la Corte rigetti il ricorso
principale; assorbito il ricorso incidentale condizionato.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Milano, accogliendo la domanda proposta da Jacopo
Geraldini e dalla Iltex s.r.I., accertò la validità del brevetto attoreo, avente
ad oggetto un procedimento industriale per tessere filati in cachemere di
pregio e condannò la convenuta Canepa s.p.a. al risarcimento del anno da
contraffazione, liquidato in C 220.000,00, oltre accessori.
Con sentenza del 21 novembre 2013, la Corte d’appello di Milano ha
confermato la validità del brevetto europeo nei termini indicati il 21
dicembre 2006 innanzi all’EPO, ma, tenuto conto che il brevetto italiano è
stato ridotto consensualmente nei limiti del brevetto europeo, lo ha
dichiarato parzialmente nullo e lo ha convertito nel corrispondente brevetto
europeo. Inoltre, la corte ha ridotto la condanna risarcitoria a favore dei
medesimi nella somma di C 1.061,24, a titolo di mancate royalties, oltre ad
C 500,00 per il danno all’immagine.
Essa ha ritenuto la c.t.u. svolta in primo grado condivisibile, laddove ha
accertato la novità e originalità del brevetto europeo attoreo nei termini
indicati innanzi all’EPO (binatura di un primo filo di cachemire a titolo
elevato con un secondo filo sintetico, solubile in soluzione acida con torsione
a esse, tessitura dei due fili binati, dissoluzione del secondo filo); tuttavia la
protezione europea non consente l’estensione del brevetto anche a filature
binarie e a materiali diversi dal cachemere; ne consegue la nullità parziale
del brevetto italiano.
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07/11/2017 dal cons. LOREDANA NAZZICONE;

Quindi, la sentenza d’appello, in ordine alle questioni nella presente
sede ancora rilevanti, afferma che:

a) è inammissibile la produzione in

appello di una perizia di parte relativa alla espletata c.t.u., non essendo
necessario riaprire il contraddittorio sul punto; b) i metri lineari di prodotto
lavorato in violazione del brevetto tutelato, da considerare ai fini del
risarcimento del danno, non possono, tuttavia, includere lavorazioni con fili

due fili binati e fibra idrosolubile, come i tessuti realizzati con il codice
38145 per Lous Vuitton: pertanto, le testimonianze riferite a lavorazioni per
circa 10.000 metri di tessuto restano irrilevanti, non essendo certo che esse
riguardino proprio le lavorazioni corrispondenti al brevetto da ultimo
convalidato, reputando, in definitiva, raggiunta la prova della contraffazione
solo con riguardo a 556,30 metri di tessuto; c) di conseguenza, il danno da
lucro cessante va quantificato con riguardo a tale sviluppo lineare: la
percentuale indicata dal c.t.u. del 6%, applicata agli utili realizzati di C
17.704,00, comporta royalties non percepite pari ad C 1.062,24, oltre al
danno all’immagine liquidato in C 500,00.
Avverso questa sentenza propongono ricorso i soccombenti, affidato a
cinque motivi.
Resiste con controricorso la Canepa s.p.a., proponendo altresì ricorso
incidentale condizionato per un motivo.
Le parti hanno depositato, altresì, le memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. – I ricorrenti espongono cinque motivi di censura, che possono
essere come di seguito riassunti:
1) nullità della sentenza per omessa pronuncia o, in subordine, omessa
motivazione sull’eccezione di giudicato interno interno sull’ambito della
contraffazione (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.), posto che essi, nel giudizio di
appello, avevano eccepito la formazione del giudicato con riguardo
all’accertamento della contraffazione dei brevetti Geraldini, ma la corte
territoriale non l’ha esaminata;

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misti o doppi, in quanto il brevetto non copriva i tessuti realizzati mediante

2) violazione e falsa applicazione dell’art. 69 della Convenzione sul
brevetto europeo (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) e vizio di motivazione con
nullità della sentenza (art. 360 n. 4 cod. proc. civ.) in relazione alla
definizione dell’ambito di tutela del brevetto attoreo, per avere ritenuto
questo limitato al procedimento che prevede l’utilizzo di un solo filo di
cachmere e non del doppio filo, mal valutando gli elementi del proprio

affermazioni dell’European Patent Office all’esito del procedimento di
opposizione, sia la relazione del c.t.u.;
3) nullità della sentenza e vizio di motivazione in relazione all’erronea
valutazione delle risultanze istruttorie, non avendo ben valutato le prove
raccolte del primo grado di giudizio, in particolare quelle testimoniali, da cui
era emersa la realizzazione di assai più numerosi metri di tessuto (rispetto
ai soli 556,30 calcolati) mediante il brevetto oggetto di contraffazione,
nonché il comportamento processuale scorretto della Canepa s.p.a., la quale
aveva mostrato al consulente d’ufficio un tessuto diverso da quello
effettivamente corrispondente all’oggetto del giudizio e schede tecniche
incompatibili con i tessuti esaminati, omettendo di produrre le fatture ed
insomma tentando di occultare le prove della contraffazione (tanto che ne
era seguita una denuncia-querela);
4) nullità della sentenza e vizio di motivazione in relazione all’irrisoria
quantificazione del danno, con violazione e falsa applicazione dell’art. 125
c.p.i. (già 66 l.m.), avendo la corte d’appello quantificato il danno in appena
C 1.062,24, pur dopo avere affermato di voler valutare il pregiudizio sulla
base delle royalties perdute: tuttavia, calcolando poi la percentuale del 6%,
indicata dal c.t.u., non sul fatturato (C 124.135,83) ma sugli utili, laddove lo
stesso perito, secondo le prassi del settore e della giurisprudenza, aveva
tenuto in considerazione proprio quest’ultimo fattore, onde il lucro cessante
è pari ad C 7.448,33;
5) nullità della sentenza e vizio di motivazione con riguardo all’erroneo
rigetto per tardività delle istanze istruttorie attoree, in particolare quanto
alla ritenuta tardività dell’istanza di esibizione verso terzi, dai ricorrenti
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convincimento: ed, in particolare, sia la rivendicazione del brevetto, sia le

proposta già in comparsa di risposta in primo grado, mentre sia il tribunale,
sia la corte d’appello hanno errato nell’affermarne la formulazione solo
durante le operazioni peritali.
1.2. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale condizionato, si deduce
la nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, per avere la
corte territoriale reputato inammissibile la produzione in appello di un nuovo

2. – Il primo motivo è infondato, in entrambe le prospettive che declina.
La corte del merito, nell’ampia motivazione con la quale ha esaminato
tutte le censure dell’atto di appello, ha tenuto conto della questione centrale
del giudizio, concernente la contraffazione dei brevetti ed i limiti della
medesima, implicitamente disattendendo, quindi, quella eccezione.
Invero, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta
la mancanza di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia
stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile
alla soluzione del caso concreto: ciò non si verifica quando la decisione
adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche
se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi
una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa avanzata col capo di
domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con
l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (e multis, Cass. 11 settembre
2015, n. 17956).
Quanto al vizio di motivazione, tantomeno esso sussiste, posto che «La
differenza tra l’omessa pronuncia di cui all’art. 112 cod. proc. civ. e
l’omessa motivazione su un punto decisivo della controversia di cui all’art.
360 n. 5, cod. proc. civ., si coglie nel senso che nella prima l’omesso esame
concerne direttamente una domanda o un’eccezione introdotta in causa e
quindi, nel caso del motivo d’appello, uno dei fatti costitutivi della
«domanda» di appello, laddove, nel caso dell’omessa motivazione, l’attività
di esame del giudice che si assume omessa non concerne la domanda o
l’eccezione direttamente, bensì una circostanza di fatto che, ove valutata,
avrebbe comportato una diversa decisione su uno dei fatti costitutivi della
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parere tecnico.

domanda o su un’eccezione e, quindi, su uno dei fatti principali della
controversia» (Cass. 6 febbraio 2015, n. 2197; 4 ottobre 2011, n. 20311;
10 maggio 2007, n. 10696; 21 luglio 2006, n. 16788).
3. – Il secondo motivo è infondato, quanto alla violazione di legge,
essendo invero la decisione impugnata conforme in diritto all’art. 69 della
Convenzione per il brevetto europeo ed ai limiti della protezione che esso

Il motivo, d’altro canto, è inammissibile come vizio motivazionale, al
pari anche del terzo motivo.
Essi, sotto l’egida del vizio di violazione di legge o di omesso esame,
intendono infatti riproporre in sede di legittimità un inammissibile giudizio
sul fatto.
In particolare, come hanno chiarito le Sezioni unite (Cass., sez. un., 7
aprile 2014, n. 8053), dopo l’introduzione del nuovo art. 360, 1° comma, n.
5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 d.l. 22 giugno 2012 n. 83,
conv. in I. 7 agosto 2012 n. 134, il vizio specifico attiene all’omesso esame
di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo
della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di
discussione tra le parti e abbia carattere decisivo: onde l’omesso esame di
elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un
fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque
preso in considerazione dal giudice.
Ed anche la valutazione del comportamento delle parti nel processo, ai
sensi dell’art. 116, 20 comma, cod. proc. civ., rientra nell’ampia facoltà del
giudice del merito di desumerne argomenti di prova, con la conseguenza
che l’esercizio negativo di tale potere non può essere censurato in sede di
legittimità né per violazione di legge, né per vizio di motivazione.
4. – Il quarto motivo è fondato.
L’art. 125, comma 2, c.p.i. pone come criterio residuale quello della
royalty o compenso ragionevole, stabilendo che «La sentenza che provvede
sul risarcimento dei danni può farne la liquidazione in una somma globale
stabilita in base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano. In
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prevede, risolvendosi in sostanza in una censura degli accertamenti in fatto.

questo caso il lucro cessante è comunque determinato in un importo non
inferiore a quello dei canoni che l’autore della violazione avrebbe dovuto
pagare, qualora avesse ottenuto una licenza dal titolare del diritto leso».
Tale disposizione non era applicabile nella specie, retta dal testo del
precedente art. 66 r.d. n. 929 del 1942, il quale al riguardo si limitava a
prevedere che «la sentenza che provvede sul risarcimento dei danni può

base agli atti della causa e alle presunzioni che ne derivano».
Il richiamo all’art. 125 c.p.i. è avvenuto, da parte della decisione
impugnata, nell’ambito della prospettazione del motivo di appello ad opera
della Canepa s.p.a.: onde, al riguardo, il motivo non ha pregio.
Tuttavia, il criterio che la corte territoriale dichiara comunque di voler
utilizzare per la liquidazione del risarcimento sulla base della c.t.u. espletata
– le royalties virtualmente non percepite dal titolare del brevetto: a
fondamento, dunque, di una valutazione che rientra nell’ambito dell’art. 66
citato – è stato da essa riferito alla percentuale indicata dal consulente
tecnico d’ufficio (6%), applicata però non al fatturato, ma agli utili derivati,
sebbene la corte medesima affermi di volere, invece, seguire i canoni in uso
nel settore ed esposti dal consulente tecnico d’ufficio, i quali partono proprio
dalla ricostruzione del fatturato conseguito dall’autore della violazione.
Al di là, dunque, della idoneità di tale criterio a risarcire realmente il
danno verificatosi (sotto il profilo della effettiva equiparabilità tra lucro
industriale e lucro da licenza del brevetto a terzi), che non è qui in
discussione, ne deriva che la corte del merito espone una motivazione
irresolubilmente contraddittoria, onde l’accoglimento del motivo.
5. – Il quinto motivo è inammissibile, non censurando la ratio decidendi
della sentenza impugnata, da sola idonea a sorreggere sul punto la
decisione, laddove ha ritenuto inaccoglibile l’istanza di esibizione perché
“oltremodo generica ed esplorativa”.
6. – Il ricorso incidentale è inammissibile, proponendo l’unico motivo
una censura non integrante vizio procedimentale, posto che la corte del
merito ha adeguatamente spiegato come non fossero ammissibili nuove

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farne, ad istanza di parte, la liquidazione in una somma globale stabilita in

deduzioni alla consulenza tecnica in appello: mentre il vizio motivazionale,
residuato dopo l’introduzione del nuovo n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., va
ristretto alla «mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e
grafico», alla «motivazione apparente», al «contrasto irriducibile tra
affermazioni inconciliabili» ed alla «motivazione perplessa ed obiettivamente
incomprensibile», esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di

7. – In relazione al motivo accolto, occorre dunque cassare la sentenza
impugnata, con rinvio alla corte del merito, cui si demanda pure la
liquidazione delle spese del giudizi di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo del ricorso principale, dichiarati
infondato il primo ed inammissibili gli altri motivi; dichiara inammissibile il
ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello
di Milano, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di
legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento a carico della parte
ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato
pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 novembre 2017.

«sufficienza» della motivazione (Cass., sez. un., 7 aprile 2014, n. 8053).

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