Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5112 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5112 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: GENOVESE FRANCESCO ANTONIO

sul ricorso 3867/2015 proposto da:
Unicoop Tirreno SC, quale società incorporante la Vignale
Immobiliare s.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Piazza di Sant’Andrea
della Valle n.6, presso lo studio dell’avvocato D’ercole Stefano, che
la rappresenta e difende unitamente agli avvocati Genta Giovanni,
Giorgi Luciano, giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente contro

Data pubblicazione: 05/03/2018

Barghi S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in Roma, Via Giovanni Antonelli n.50,
presso lo studio dell’avvocato Leproux Alessandro, che la

giusta procura in calce al controricorso;
-controricorrente –

avverso la sentenza n. 1048/2014 della CORTE D’APPELLO di
FIRENZE, pubblicata il 19/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
07/11/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO.

FATTI DI CAUSA
1. La Vignale Immobiliare srl (società controllata da Unicoop Tirreno
S.C.), proprietaria di un’area e dei sovrastanti edifici (corrispondenti a
quelli dell’ex Fornace Chigiotti) posti nella località

Casalone di

Grosseto, otteneva il nulla osta della Regione per la realizzazione di
un centro commerciale al dettaglio e predisponeva il recupero
dell’area in conformità della convenzione urbanistica negoziata (nel
2000) con il Comune, ricevendo le due concessioni edilizie per la
realizzazione degli edifici e delle opere di urbanizzazione.
1.1. A seguito dell’adozione (nel corso degli anni 2004-6) del cd.
Piano strutturale del Comune, in base al quale (art. 97) l’area dell’ex
Fornace Chigiotti veniva destinata esclusivamente ad attività
artigianali e di commercio all’ingrosso, pareva utile alla società
proprietaria di dover aderire alla proposta del Comune di
delocalizzare l’iniziativa edilizio-imprenditoriale già assentita (sia in
9

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Traina Duccio Maria,

sede edilizia, con il rilascio dei relativi permessi, che in sede
commerciale, con l’autorizzazione regionale) nel diverso luogo in cui
ne sarebbe stata possibile la realizzazione, alla luce della variante
urbanistica approvata: la cd. area del Commendone, posta a nord
della città.

dell’area sita nella località Casalone, ricercava e trovava (nel 2007)
un accordo – prima attraverso un preliminare e poi con un contratto
definitivo – con tali sigg. Romelio Ricci ed altri partecipanti la società
PIS srl con i quali – in considerazione dell’approvazione della cd.
Variante anticipatrice delle modifiche urbanistiche menzionate – la
società proprietaria di un’area nel luogo individuato dal Piano per i
nuovi insediamenti commerciali al dettaglio (il cd.

Commendone)

cedeva la stessa, mercé la cessione delle quote sociali di controllo
della società proprietaria, alla società Ponte del sale srl (a sua volta
controllata, al pari di Vignale Immobiliare, da Unicoop) contro la
cessione dell’area e dei fabbricati posti nella cd. ex Fornace Chigiotti
ad altro veicolo societario, successivamente individuato nella Barghi
srl.
1.3. In corrispondenza di tale accordo inter partes (definitivamente
concluso il 29 novembre 2007, mediante la cessione delle quote di
PIS srl contro la cessione dell’area dell’ex Fornace), Vignale (il 27
novembre 2007) comunicava al Comune di Grosseto la propria
volontà di non costruire il centro commerciale nell’area in cui questo
era stato originariamente previsto e di volerlo realizzare lì dove era
stata stabilita la nuova localizzazione commerciale, chiedendo la
restituzione degli oneri di urbanizzazione e degli accessori. Veniva,
altresì, pattuito tra le parti anche un regolamento relativo alla
cessione del credito vantato da Vignale nei confronti
3

1.2. In tale mutamento del quadro urbanistico la società, proprietaria

dell’Amministrazione comunale, relativo alla restituzione degli oneri di
urbanizzazione (ed accessori) già corrisposti dalla venditrice.
1.4. Unicoop SC, successivamente incorporava le società Vignale e

Ponte del Sale, divenendo l’unica titolare dei diritti negoziati con il
gruppo acquirente dell’area ex Fornace (e cedente le quote della

2. Nella primavera del 2009, Vignale veniva a conoscenza sia del

fatto che Barghi si era attivata con successo per intestarsi le
concessioni edilizie a suo tempo ottenute dalla dante causa e sia che
l’acquirente aveva completato i lavori già a suo tempo iniziati dalla
venditrice, realizzando un centro commerciale per la vendita al
dettaglio proprio nell’area dell’ex Fornace Chigiotti, ipotesi la cui
esclusione sarebbe stata alla base dell’accordo concluso tra i due
gruppi societari.
3.Sulla base dei fatti così come appena riepilogati in sintesi, la
Unicoop Tirreno chiedeva al Tribunale di Grosseto, con ricorso ex art.
702 bis cod.

proc. civ., di risolvere il contratto intercorso tra la

propria incorporata Vignale e Barghi (sulla base delle seguenti cause
petendi:

inadempimento

contrattuale,

inadempimento

per

presupposizione) o il suo annullamento, per errore essenziale.
3.1. Il Tribunale respingeva le domande, compensando le spese del

giudizio.
4. Sull’impugnazione principale di Unicoop e quella incidentale di

Barghi, la Corte d’appello di Firenze ha respinto l’appello principale ed
accolto parzialmente l’incidentale, condannando la parte soccombente
al pagamento delle spese di entrambi i gradi di merito.
4.1. Secondo la Corte territoriale, per quello che ancora interessa in

questa sede, non sussistevano le ipotesi rimediali avanzate da
Unicoop: a) la risoluzione per presupposizione, in quanto la
4

società proprietaria dell’area Commendone).

sopravvenuta modificazione della condizione urbanistica del bene era
irrilevante ai fini dell’edificazione di una struttura commerciale al
dettaglio, conseguibile legittimamente, secondo quanto disposto
dall’art. 15 d.P.R. n. 380 del 2001, non già in ragione di uno scorretto
comportamento del Comune ma sulla base del completamento delle

purché i lavori fossero stati già intrapresi prima della Variante e
completati nel termine triennale; b) l’annullabilità del contratto per
errore sulla condizione urbanistica dell’area e sulla qualità del bene,
ai sensi dell’art. 1429, n. 2, cod. civ., potendo, al più, ricorrere
un’errata previsione del comportamento tenuto dal Comune di
Grosseto; c) la risoluzione del contratto per inadempimento della
compratrice, in ordine all’obbligo «di non utilizzare il bene acquistato
destinandolo a centro commerciale», per l’inesistenza di una clausola
contrattuale che consentisse di affermare un tale vincolo all’attività
della cessionaria dell’area suscettiva di impianti per attività
economiche.
4.1.1. Con particolare riferimento a quest’ultima ipotesi, infatti, nella
prevalenza del tenore testuale del contratto definitivo (rispetto al
preliminare), oltre a mancare una esplicita previsione di tale
obbligazione, la ricerca di una comune intenzione delle parti tendente ad affermare quello del compratore di non utilizzazione
l’area venduta ai fini della realizzazione di una struttura per il
commercio al dettaglio – non risulterebbe ricavabile né dalle
previsioni di cessione di quel credito relativo al rimborso degli oneri di
urbanizzazione, non avente quell’ipotizzato contenuto ulteriore, e né
dalle premesse poste in capo al contratto, invero relative alle
descrizioni urbanistiche necessarie all’esatta individuazione del bene e
delle sue qualità.
5

opere nel termine di legge, consentendolo il menzionato dispositivo

4.2. Né sarebbe ipotizzabile una nullità contrattuale per difetto di
causa, atteso che il comportamento tenuto dalla società acquirente
costituirebbe solo una riserva mentale, non un elemento della causa
contrattuale di compravendita.
5. Quanto alle spese processuali, la Corte ha disposto l’accoglimento

esaminata, per quanto complessa, non prestava il fianco ad elementi
di dubbio o a significative incertezze in ordine alla decisione sicché,
non ricorrendo le gravi ed eccezionali ragioni di cui all’art. 92, comma
2, cod. proc. civ., esse dovevano essere poste a carico della attrice ed
appellante soccombente.
6.Avverso tale decisione, ha proposto ricorso per cassazione Unicoop,
affidato a sette motivi di censura, illustrati anche con memoria,
contro cui ha resistito Borghi, con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.Con il primo motivo del ricorso [Falsa applicazione degli artt. 1362,
1363 e 1366 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)] la ricorrente
censura la sentenza impugnata nella parte in cui afferma che i
richiami alle condizioni urbanistiche del bene venduto non
paleserebbero l’esistenza di una volontà contrattuale tesa ad
impedirne la destinazione commerciale.
1.1.In particolare, richiamando vari stralci testuali degli atti

inter

partes, la ricorrente censura la loro non corretta interpretazione,
emergendo dalla loro lettura il chiaro intento sottostante, consistente
nell’assunzione – da parte della cessionaria – di un obbligo di non
destinare il bene trasferito ad un’utilizzazione commerciale (al
dettaglio).
1.2. Ma, secondo la ricorrente, errore ancor più grave sarebbe
conseguito dal non corretto uso dei criteri ermeneutici offerti dalle
6

dell’appello incidentale della società Borghi, atteso che la questione

disposizioni, in epigrafe richiamate, in quanto le stesse imporrebbero
una considerazione unitaria di tutti tali criteri, a cominciare da quello
del comportamento tenuto dalle parti anche dopo la conclusione del
contratto oltre che dal principio di buona fede, alla luce dei quali
soltanto si potrebbe individuare la causa concreta del negozio.

cod. civ. nonché 16, 11 e 15 TU n. 380 del 2001 (art. 360 n. 3 cod.
proc. civ.); omesso esame di un fatto decisivo sotto il profilo della
motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile (art. 360 n.
5 cod. proc. civ.)] la ricorrente si duole della sentenza impugnata
nella parte in cui ha ritenuto irrilevante, ai fini dell’accertamento
dell’esistenza di una volontà contrattuale tesa ad impedirne la
destinazione commerciale dell’area compravenduta, la cessione del
credito vantato dalla venditrice (Vignale, poi Unicoop) nei riguardi del
Comune, per il rimborso degli oneri di urbanizzazione e degli
accessori, relativi alle concessioni edilizie per la costruzione del
supermercato nell’area dell’ex Fornace, alla acquirente Borghi.
2.1. Infatti, la richiesta di rimborso di tali oneri, ai sensi dell’art. 16
del TU di cui al d.P.R. n. 380 del 2001 – secondo la prospettazione
della società che impugna – poteva avere solo tre significati,
costituendo o una rinuncia ai titoli autorizzatori, o integrando una
decadenza dagli stessi o certificando il loro mancato utilizzo. Il
rimborso, più probabilmente, avrebbe evidenziato una rinuncia alle
concessioni edilizie e perciò una volontà di escludere la loro voltura
da parte dell’acquirente dell’area, il quale avrebbe potuto soltanto
realizzare un complesso edilizio destinato, secondo le nuove
previsioni di piano, alle

«attività artigianali e di commercio

all’ingrosso», con la corresponsione anche dei minori oneri richiesti in
tali ipotesi. Così che la condotta tenuta da Barghi costituiva un palese
7

2.Con il secondo [Falsa applicazione degli artt. 1362, 1363 e 1369

inadempimento rispetto agli impegni assunti con il contratto in
esame.
2.2. Quand’anche Barghi avesse avuto la legittima possibilità di
chiedere ed ottenere la voltura delle concessioni dal Comune di
Grosseto, non per questo – nei rapporti con la sua dante causa

condotta effettivamente osservata.
3.Con il terzo motivo [Falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366
e 1369 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.); omesso esame di un
fatto decisivo sotto il profilo della contraddittorietà (art. 360 n. 5 cod.
proc. civ.)] la ricorrente censura altresì la sentenza impugnata nella
parte in cui ha negato l’esistenza di una volontà contrattuale tesa ad
impedire la destinazione commerciale dell’area compravenduta,
nonostante che essa risultava dal tenore testuale dell’atto nonché dal
comportamento tenuto dalle parti prima e dopo la stipula.
3.1. Prima della stipula, tra l’altro, con: a) le pattuizioni del contratto
preliminare; b) l’attesa dell’approvazione della variante speciale (i
cui contenuti sarebbero stati compendiati nel certificato di
destinazione urbanistica allegato al contratto definitivo); c) la
richiesta di rimborso degli oneri di urbanizzazione versati per
l’ottenimento delle due concessioni edilizie.
4. Con il quarto [Falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1366 e
1369 cod. civ. e 15 e 11 TU edilizia n. 380 del 2001 (art. 360 n. 3
cod. proc. civ.)] si lamenta il disconoscimento della richiesta
risoluzione dei pacta per presupposizione, in considerazione del fatto
che il contratto che li conteneva avrebbe considerato come sottinteso
presupposto oggettivo della contrattazione proprio l’inedificabilità
nell’area ceduta di un centro commerciale al minuto.

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(Vignale e, poi, Unicoop) – sarebbe stata legittimata a tenere la

5. Con il quinto motivo [Falsa applicazione degli artt. 1362, 1363,
1366 e 1369 cod. civ. e 112 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc.
civ.)] la società lamenta il disconoscimento della nullità del contratto,
attività rilevabile d’ufficio, per la mancanza di una causa negoziale,
quand’anche la doglianza non fosse stata proposta espressamente

6. Con il sesto [Falsa applicazione dell’art. 1429 cod. civ. (art. 360 n.
3 cod. proc. civ.)] si lamenta il mancato accoglimento della domanda
di annullamento del contratto perché il consenso di Unicoop sarebbe
stato viziato da un errore – essenziale – consistito nel non ritenere
realizzabile l’edificazione, in forza delle concessioni già rilasciate, in
quanto la rinuncia della venditrice ai titoli edilizi avrebbe reso
impossibile per l’acquirente farne uso, sicché il bene venduto era
stato erroneamente inteso come avente caratteristiche diverse da
quelle poi rivelatesi tali (errore sull’edificabilità di un terreno ai fini
della realizzazione di un edificio utile al commercio al dettaglio).
7. Con il sesto [Falsa applicazione dell’art. 92, 2° co., cod. proc. civ.
(art. 360 n. 3 cod. proc. civ.)] la società di duole dell’accoglimento
dell’appello incidentale, proposto dalla Barghi, in ordine alla
regolazione delle spese dei due gradi di merito, nonostante il
carattere eccezionalmente complesso delle questioni trattate, come si
evincerebbe anche dall’ampia motivazione posta a base delle due
decisioni.

8.

Va premesso che, pressoché tutto il tenore del ricorso per

cassazione della società venditrice, è sostanzialmente incentrato sulla
critica alla sentenza impugnata per un mancato riscontro – da parte
dei giudici di merito – della affermata comune volontà contrattuale
degli stipulanti, tesa – pur nella riconosciuta assenza di una specifica
9

dalla parte.

clausola – ad impedire la realizzazione, nell’area ceduta con il
contratto esaminato (la cd. ex Fornace Chigiotti in contrada Casalone
di Grosseto), di un edificio a destinazione commerciale, atteso che il
pactum

diversamente da quanto affermato dai giudici di merito –

risulterebbe desumibile sia dal tenore testuale dell’accordo negoziale

valutato secondo il principio di buona fede.
8.1.

La misconosciuta previsione dell’obbligo comportamentale

oggetto di discussione non riguarderebbe i rapporti delle parti con il
Comune di Grosseto, che risulta terzo estraneo all’accordo, ma quelli
stabiliti tra i contraenti in ragione delle scelte imprenditoriali calcolate
ed adottate da ciascuna parte, anche se di esse non è fatta alcuna
espressa menzione nel tenore testuale della convenzione.
*
9. Tanto premesso, il primo ed il terzo motivo di ricorso, tra loro
strettamente connessi, possono esser esaminati congiuntamente e
respinti in quanto invocano – attraverso il richiamo ai principi
ermeneutici fissati dalle richiamate previsioni codicistiche – il riesame
dell’interpretazione fornita dai giudici di merito (quelli di appello, in
conformità a quella del giudice di primo grado) e non condivisa dalla
ricorrente.
9.1. Orbene, a nulla vale invocare il criterio interpretativo costituito
dal comportamento tenuto dalle parti, prima e dopo l’accordo, se la
stessa ricorrente – a p. 52 del proprio ricorso – riconosce che
l’acquirente poteva legittimamente chiedere la voltura delle
concessioni e realizzare esattamente quello che, di contro, la
venditrice aveva ritenuto di non poter o di non voler fare.
9.2. A ragione il giudice di merito ha, al riguardo, lamentato che nell’assenza di una apposita previsione testuale (circa quella supposta
10

e sia dal comportamento, tenuto dalle parti prima e dopo la stipula,

clausola comportamentale vincolante la società acquirente alla
edificazione di edifici utilizzabili solo per attività commerciali non al
dettaglio) – si potesse regolare la coesistenza, nello stesso mercato
locale della vendita al pubblico retail, attraverso grandi strutture
commerciali, delle due società, tra di loro potenzialmente concorrenti,

intenzione delle parti, non esplicitata, ma (in ipotesi) solo
implicitamente enucleabile dalle non determinanti od univoche
premesse al contratto di cessione immobiliare nonché da alcune
disposizioni affatto particolari (quale il rimborso del credito da opere
di urbanizzazione), eccentriche rispetto al cuore di quel pactum (la
regolazione del trasferimento di beni immobili) ovvero dal non chiaro
comportamento delle parti.
9.3. In tale tipo di ambito contrattuale, deve darsi continuità al
principio di diritto enunciato da questa Corte (Sez. 2, Sentenze n.
14444 del 2006 e n. 2216 del 2004) e secondo cui «nei contratti per i
quali è prevista la forma scritta “ad substantiam”, la ricerca della
comune intenzione delle parti, utilizzabile ove il senso letterale delle
parole presenti un margine di equivocità, deve essere compiuta, con
riferimento agli elementi essenziali del contratto, soltanto attingendo
alle manifestazioni di volontà contenute nel testo scritto, mentre non
è consentito valutare il comportamento complessivo delle parti, anche
successivo alla stipulazione del contratto, in quanto non può spiegare
rilevanza la formazione del consenso ove non sia stata incorporata
nel documento scritto.».
10. Il secondo mezzo è del pari infondato.
10.1. Con esso s’intende conseguire, più specificamente di quanto
non sia riuscito con il primo ed il terzo, lo stesso esito ermeneutico,
attraverso l’esame di una specifica clausola (quella di cessione,
11

ricavando quella supposta disciplina dalla ricostruzione della comune

all’acquirente dell’area edificando,

di quel credito da rimborso,

maturato verso il Comune, per le concessioni edilizie ottenute – dalla
venditrice – sull’area compravenduta, nell’ipotesi di rinuncia
all’edificazione ovvero di edificazione diretta ad un diverso tipo di
utilizzazione commerciale), che si assume mal fatto dai giudici di

2001, secondo la prevalente interpretazione della giurisprudenza
amministrativa.
10.2. Ma, come si è già ricordato, se è la stessa parte ricorrente a

riconoscere – a p. 52 del proprio ricorso – che l’acquirente poteva
legittimamente chiedere (salvo a violare il presunto accordo

inter

partes, desumibile in via interpretativa) la voltura delle concessioni e
realizzare esattamente quello che la venditrice aveva ritenuto di non
poter o di non voler fare, con ciò rinunciando ad ottenere il rimborso
di quel credito da rinuncia totale all’edificazione o parziale (in quanto
diversamente finalizzata), non si vede come la pattuizione possa
avere rilievo esterno, corrispondendo ad una mera facoltà della
cessionaria, non ad un suo obbligo, rispetto alle concessioni già
rilasciate dal Comune alla società cedente l’area (ed i titoli edilizi).
10.3. Non è ravvisabile, perciò, nei fatti denunciati, alcuna violazione

del TU del 2001 ed, in particolare, dell’art. 16 (sulla disciplina degli
oneri) da parte dell’acquirente e cessionario del credito verso il
Comune, posizione attiva della quale la parte ha poi inteso non
avvalersi, preferendo chiedere la voltura dei permessi edificatori in
relazione ai quali erano già state corrisposte le somme per gli oneri di
legge.
11. Neppure ha pregio il quarto mezzo, con il quale si chiede una

revisione del giudizio negativo sulla domanda di risoluzione
contrattuale, per il mancato corretto apprezzamento, da parte dei
12

merito, anche in rapporto all’art. 16 del TU di cui al d.P.R. n. 380 del

giudici di merito, dell’esistente presupposizione, in considerazione di
una doppia sequenza di violazioni di legge (una, costituita dalle
norme codicistiche sull’interpretazione dei contratti e, l’altra, in
ragione della violazione delle regole del TU sull’edilizia del 2001).
11.1. Il riferimento ai richiamati criteri ermeneutici codicistici, però,

valutazioni compiute dal giudice di esso e, quello relativo
all’inosservanza delle regole in materia di edilizia, intende
impropriamente coinvolgere una supposta violazione normativa che
attiene ai rapporti contrattuali privati, dai quali emerge – invece – la
comune consapevolezza delle parti di una disciplina transitoria
relativa all’area ceduta, il cui completamento edificatorio per finalità
commerciali retail (d’ora in avanti non più consentita) era ancora
possibile come ha voluto una parte (l’acquirente), che ha inteso
pienamente sfruttarlo, essendole consentito, contrariamente all’altra
(la venditrice) che non ha voluto proseguirlo (pur potendolo fare).
11.2. Infatti per configurare la fattispecie della cd. “presupposizione”
(o condizione inespressa) è necessario che dal contenuto del
contratto si evinca l’esistenza di una situazione di fatto, non
espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata
quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui
successivo verificarsi o venir meno dipenda da circostanze non
imputabili alle parti. (Nell’affermare questo principio la S.C. ha
riconosciuto la legittimità del recesso di un ente pubblico territoriale
dal contratto di locazione di un immobile destinato a scuola,
affermando che la durata del rapporto negoziale fosse implicitamente
condizionata alla mancata ultimazione della costruzione di un nuovo
edificio, da adibire a sede dell’istituto scolastico)[ cfr. Cass. civ., Sez.
III, n. 20620 del 2016].
13

nasconde una inammissibile richiesta di riesame del merito delle

11.3. Il giudice di merito, pertanto, non ha fatto malgoverno del
principio, avendo escluso la ricorrenza di quella situazione di fatto,
non espressamente enunciata in sede di stipulazione, ma considerata
quale presupposto imprescindibile della volontà negoziale, il cui
successivo verificarsi o venir meno era, al contrario di quanto

alle parti.
12. Tali considerazioni valgono, mutatis mutandis, anche per la non
ravvisata nullità del contratto per difetto di causa, avendo la Corte
territoriale – come si è già detto – escluso che la pretesa limitazione
dell’uso urbanistico del bene fosse elemento che rientrava nella causa
del negozio.
13. Anche il sesto mezzo è infondato.
13.1. Il giudice distrettuale, infatti, ha già escluso l’esistenza di tale
errore e il ricorso, con il mezzo in esame, chiede a questa Corte un
riesame di tale valutazione sotto le spoglie di una inesistente
violazione di legge.
13.2. Si è già detto, infatti, che è stata la stessa parte ricorrente a
riconoscere – a p. 52 del ricorso – che l’acquirente poteva
legittimamente chiedere (salvo a violare il presunto accordo

inter

partes, desumibile in via interpretativa) la voltura delle concessioni e
realizzare esattamente quello che la venditrice aveva ritenuto di non
poter o di non voler fare.
13.3.

Con tale mezzo la ricorrente chiede ora alla Corte di

considerare come rilevante un error iuris, dovuto all’ignoranza della
previsione di cui all’art. 15, 4 0 co., del TU di cui al d.P.R. n. 380 del
2001, nella parte in cui afferma che «il permesso decade con l’entrata
in vigore di contrastanti previsioni urbanistiche, salvo che i lavori

14

ipotizzato dal ricorrente, dipeso proprio da circostanze «imputabili»

siano già iniziati e vengano completati entro il termine di tre anni
dalla data di inizio.».
13.4. Ma, in realtà, come questa Corte (Cass. civ., Sez. II, n. 15991
del 2013) ha già avuto modo di affermare, in un caso che può
considerarsi analogo a quello qui in esame, tale prospettiva è erronea

(agricola o edificatoria) di un terreno, ricadendo direttamente su di
una qualità dell’oggetto, integra l’ipotesi normativa dell’errore di fatto
e non di diritto, poiché la inesatta conoscenza della norma che ne
preveda la destinazione urbanistica si risolve in una (altrettanto)
inesatta conoscenza della circostanza dell’edificabilità o inedificabilità
del suolo, di una circostanza, cioè, inerente ai caratteri reali del bene,
differenziandosi un terreno non fabbricabile da un altro utilizzabile a
scopi edilizi essenzialmente sotto il profilo dei relativi, possibili
impieghi, così che le parti di una compravendita si determinano alla
stipula del negozio proprio in relazione alle qualità del terreno ed alle
utilità (ed utilizzazioni) da esso ricavabili, incorrendo in errore
essenziale in caso di ignoranza della sua vera natura; l’errore
andrebbe quindi distinto se incidente sulla volontà dell’acquirente o
su quella del venditore.».
14. Il settimo, relativo al governo delle spese processuali (poste a
carico dell’odierna ricorrente) è del pari infondato, atteso che la Corte
territoriale ha chiaramente motivato, in conformità della previsione di
legge, le ragioni di quell’attribuzione.
14.1. Infatti, «ricorrono gravi ed eccezionali ragioni, ai sensi dell’art.
92, comma 2, c.p.c. (nella formulazione introdotta dalla I. n. 69 del
2009, “ratione temporis” applicabile), quando la decisione sia stata
assunta in base ad atti o argomentazioni esposti solo in sede
contenziosa, a fronte della novità o dell’oggettiva incertezza delle
15

in quanto «la falsa rappresentazione della realtà circa la natura

questioni di fatto o di diritto rilevanti nel caso specifico, ovvero
dell’assenza di un orientamento univoco o consolidato all’epoca della
insorgenza della controversia, in presenza di modifiche normative o
pronunce della Corte Costituzionale o della Corte di Giustizia
dell’Unione Europea intervenute, dopo l’inizio del giudizio, sulla

che il giudice distrettuale ha escluso, perciò ponendo a carico della
soccombente gli oneri processuali sostenuti dalla parte vincitrice.
15. Il ricorso va pertanto respinto con le conseguenze di legge: le
spese, poste a carico della parte soccombente e liquidate come da
dispositivo, e l’accertamento dell’esistenza dei presupposti per il
raddoppio del contributo unificato.
PQM
Respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese
del giudizio che liquida in complessivi C 29.200,00, di cui C 200,00
per esborsi, oltre alle spese generali forfettarie nella misura del 15%
ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,

inserito dall’art. I, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso

art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della la sezione civile, il
7 novembre 2017.
Il Presidente
Il Funzionario Ciiudiz

lnamaria Ambrosi

, Dott.ssa Fabrizia .134R

16

materia.» (Sez. 2 – , Sentenza n. 24234 del 2016). Esattamente ciò

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