Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5105 del 25/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2020, (ud. 12/12/2019, dep. 25/02/2020), n.5105

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 31595/2018 R.G. proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrente –

contro

FERMAC s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’EMILIA ROMAGNA, n. 2627/02/2017, depositata in data 29/09/2017.

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 12/12/2019 dal Consigliere Dott. LUCIOTTI Lucio.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. In controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento di maggiori redditi d’impresa ai fini IVA, IRPEG ed IRAP per l’anno d’imposta 2003, emesso sulla base delle risultanze di una verifica fiscale effettuata a carico della società contribuente, con la sentenza in epigrafe indicata la Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo nullo l’accertamento “per difetto di sottoscrizione dell’autorizzazione alla verifica, in quanto l’atto iniziale non è stato sottoscritto, secondo normativa, dal Capo dell’Ufficio, bensì dal Capo Area Controllo, all’epoca dei fatti non provvisto di tempestiva e legittima delega”.

2. Avverso tale statuizione lì’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a due motivi, cui non replica l’intimata.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione dell’art. 115 c.p.c. sostenendo che i giudici di appello avevano omesso di esaminare la disposizione di servizio n. 15 emesso dal Direttore dell’Agenzia delle entrate di Parma il 28/02/2002, depositata in grado di appello.

2. Con il secondo motivo deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52.

3. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati e vanno accolti.

4. Occorre preliminarmente premettere che il primo motivo deve essere riqualificato come vizio motivazionale, ex art. 360 c.p.c.,comma 1, n. 5, in quanto la difesa erariale ha sostanzialmente denunciato l’omesso esame dell’ordine di servizio prodotto in grado di appello, come si desume dalle argomentazioni svolte nel mezzo in esame, in cui si legge testualmente che “la commissione tributaria regionale ha ignorato” e, quindi, omesso di esaminare, “una prova proposta dell’amministrazione erariale versata in atti unitamente all’appello” (ricorso pag. 5).

4.1. Al riguardo deve ricordarsi che “L’erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla sua sussunzione in altre fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l’inammissibilità del ricorso, se dall’articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato” (Cass., Cass., Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 26310 del 07/11/2017)

5. Ciò precisato, osserva il Collegio che in effetti la CTR ha fondato la propria decisione su “una delega del Capo dell’Ufficio al capo Area Controllo rilasciata soltanto in data 27.11.2007”, omettendo del tutto l’esame della disposizione di servizio indicata al precedente punto 1, prodotta dall’amministrazione finanziaria in grado di appello ed integralmente trascritta, per autosufficienza, nel ricorso.

6. In ogni caso e a prescindere dal contenuto del predetto documento, la decisione dei giudici di appello, di ritenere nullo l’avviso di accertamento “per difetto di sottoscrizione dell’autorizzazione alla verifica”, si pone in insanabile contrasto con il consolidato orientamento giurisprudenziale in materia, al quale va dato continuità.

6.1. Si è affermato, infatti, fin da Cass. n. 8344 del 2001, che nell’ordinamento tributario non esiste un principio generale di inutilizzabilità delle prove illegittimamente acquisite, introdotto soltanto nel “nuovo” codice di procedura penale e valevole soltanto all’interno di tale specifico sistema procedurale (v. art. 191 c.p.p.). Ne consegue che l’acquisizione irrituale di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento fiscale non comporta l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, non rinvenibile nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52 nè nel D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, che peraltro rinvia al primo.

6.2. Si è quindi precisato che “Il fatto che talune violazioni non comportano la sanzione specifica della inutilizzabilità degli elementi irritualmente acquisiti, non significa che la violazione sia priva di conseguenze e che, quindi, la norma sia tamquam non esset. In casi del genere, infatti, le conseguenze sanzionatorie ricadono direttamente sull’autore dell’illecito, sul piano disciplinare e, se del caso, sul piano della responsabilità civile e penale. Non sarebbe giusto che una prova oggettivamente ammissibile, non possa essere utilizzata a causa della negligenza di chi l’ha acquisita Questo ne dovrà rispondere nelle sedi competenti, mentre la prova non subisce gli effetti della illegittimità, come conseguenza necessaria della eventuale illiceità della acquisizione. Si tratta di due diversi profili (uno soggettivo e l’altro oggettivo) che non vanno confusi” (Cass. n. 8344/2001 cit.).

6.3. Secondo Cass. n. 27149 del 2011, “In materia tributaria, non qualsiasi irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento comporta, di per sè, l’inutilizzabilità degli stessi, in mancanza di una specifica previsione in tal senso, esclusi i casi in cui viene in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio”, che nel caso in esame, in cui peraltro la verifica è stata effettuata presso la sede della società contribuente, non vengono neppure in rilievo.

6.4. Principi, questi sopra enunciati, ribaditi in successive pronunce di questa Corte, tra cui Cass. n. 12871 del 2001 e Cass. n. 4987 del 2003, in tema di accertamenti bancari; Cass. n. 3388 del 2010, in tema di acquisizione di documentazione extracontabile (nella specie, documenti informatici estrapolati dai computers dell’imprenditore); Cass. n. 4066 del 2015; n. 959 del 2018, n. 13353 del 2018, n. 29132 del 2018, n. 15994 del 2019.

7. Conclusivamente, quindi, i motivi di ricorso vanno accolti e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla competente CTR per nuovo esame e per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale dell’Emilia Romagna, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 12 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2020

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