Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5105 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5105 Anno 2018
Presidente: AMBROSIO ANNAMARIA
Relatore: VALITUTTI ANTONIO

sul ricorso 4534/2014 proposto da:

Data pubblicazione: 05/03/2018

C-U 12 C _i
Cavallini Giovanni Battista, elettivamente domiciliato in Roma, Via
Tommaso Gulli n.11, presso lo studio dell’avvocato Greco Stefano,
rappresentato e difeso dagli avvocati Castelli Angelo, Fargiorgio
Antonio, giustg procura a margine del ricorso;
-ricorrente contro
Intesa Sanpaolo S.p.a., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli
n.15, presso lo studio dell’avvocato Gargani Benedetto, che la
rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
-controricorrente –

avverso la sentenza n. 2352/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA,
depositata il 24/04/2013;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
09/10/2017 dal cons. VALITUTTI ANTONIO.
FATTI DI CAUSA

Battista Cavallini conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma,
la Consob ed Intesa Sanpaolo s.p.a., chiedendo annullarsi – per vizi
del volere ex artt. 1427 e ss. cod. civ. e per la violazione degli
obblighi informativi e di trasparenza, sanciti dagli artt. 27, 28 e 29 del
Regolamento Consob n. 11522 del 1998, emesso in attuazione del
d.lgs. n. 58 del 1998 – i contratti di acquisto di bond argentini e di
obbligazioni della Cirio s.p.a., posti in essere in data 7 gennaio 2000,
24 maggio 2000 e 22 gennaio 2001, e condannarsi le convenute al
risarcimento dei danni subiti.
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 23192/2005, dichiarava il
difetto di legittimazione passiva della Consob, rigettava la domanda
di annullamento dei contratti suindicati, ma accoglieva la domanda di
condanna della banca al risarcimento dei danni subiti dall’attore,
quantificati in Euro 104.595,00, oltre agli interessi legali ed alle spese
del giudizio.
2. Avverso tale decisione proponeva appello Intesa Sanpaolo
s.p.a., che veniva accolto dalla Corte di Appello di Roma, con
sentenza n. 2352/2013, depositata il 24 aprile 2013. Con tale
pronuncia il giudice di seconde cure riteneva che non sussistesse
obbligo alcuno della banca di continuare ad informare l’investitore
dell’andamento del titolo dopo l’acquisto, che la disciplina applicabile
ratione temporis fosse quella di cui alla legge n. 1 del 1991 ed al
Regolamento Consob n. 8850 del 1994 (e non la normativa
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1. Con atto di citazione notificato il 3 giugno 2005, Giovanni

successiva invocata dall’appellato Cavallini), che in relazione ad
entrambe le specie di titoli (bond argentini ed obbligazioni Cirio)
alcun sintomo di crisi era emerso al momento della negoziazione,
sicchè nessuna informativa dissuasiva doveva essere fornita
dall’istituto di credito, che era, infine, «ignoto» se i titoli fossero stati

3. Per la cassazione di tale sentenza ha, quindi, proposto ricorso
Giovanni Battista Cavallini nei confronti di Intesa Sanpaolo s.p.a.,
affidato a due motivi. La resistente ha replicato con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso – denunciando la violazione e
falsa applicazione degli artt. 20 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 5 e
341 cod. proc. civ., l’errata e contraddittoria motivazione su un
punto decisivo della controversia e l’omessa pronuncia, in relazione ‘
all’art. 360, primo comma, nn. 3, 4 e 5 cod. proc. civ. – il Cavallini si
duole del fatto che la Corte d’appello non si sia pronunciata sulla
pregiudiziale eccezione di inammissibilità dell’appello – proposta
dall’odierno ricorrente – per avere la banca appellante proposto il
gravame nelle forme del rito ordinario (artt. 341 e ss. cod. proc.
civ.), anziché in quelle del cd. rito societario. La Corte territoriale
sarebbe, inoltre, incorsa nella violazione dell’art. 20 del d.lgs. n. 5
del 2003, ed avrebbe assunto la decisione impugnata con
motivazione che «appare errata, lacunosa e contraddittoria».
1.1. La doglianza – oltre che inammissibile, per avere il
ricorrente formulato, con un unico motivo, una pluralità di censure
tra loro confuse ed inestricabilmente combinate, e per non avere
precisato l’interesse leso dalla presunta violazione processuale – è
comunque infondata.

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«mantenuti dall’appellato in suo possesso o meno».

1.1.1. Va osservato, infatti, che la disciplina dell’appello – nel cd.
rito societario, ora abrogato, ma applicabile ratione temporis

è in

buona parte conformata su quella ordinaria del codice di rito,
attraverso l’espresso rinvio, operato dal comma 2 dell’art. 20 del
d.lgs. n. 5 del 2003, agli artt. 341 e ss. cod. proc. civ. Del resto –

una, sia pure astratta, possibilità di «rimodellamento» del mezzo di
gravame sugli schemi propri del primo grado del giudizio l’abbandono della distinzione tra fase preparatoria e fase

apud

iudicem appariva scelta congruente alla già avvenuta definizione del
thema decidendum e del thema probandum nel primo grado del /
giudizio e più aderente alla natura di revisio prioris instantiae propria
dell’appello. Coerentemente il legislatore delegato si è limitato ad
una leggera opera di «maquillage» del tessuto normativo, volta a
renderlo compatibile con i principi ispiratori della riforma.
In tale prospettiva si collocano la previsione dell’eccezione di
parte per la declaratoria dell’improcedibilità, in caso di omessa o
tardiva costituzione dell’appellante (art. 20, comma 3); la nuova
disciplina del ricorso per saltum (art. 20, comma 4); l’allargamento
delle possibilità di intervento in appello (art. 21); la cancellazione
immediata della causa dal ruolo in caso di mancata comparizione
delle parti (art. 22). Gli scostamenti in parte qua dalla disciplina del
codice di rito si pongono nelle medesime linee-guida, cui è ispirata la
regolamentazione del primo grado: l’attenuazione del carattere
officioso del processo e la sua maggiore permeabilità alle scelte
difensive delle parti.
1.1.2. Giova, infine, puntualizzare che il rinvio all’art. 359 cod.
proc. civ. (secondo cui nei procedimenti d’appello «si osservano, in
quanto applicabili, le norme dettate per il procedimento di primo
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ancorchè nella relazione accompagnatoria si faccia riferimento ad

grado davanti al tribunale, se non sono incompatibili» con quelle
specificamente dettate per il secondo grado), implicitamente
contenuto nel richiamo agli artt.341 e segg. dello stesso codice, va
pur sempre filtrato attraverso la norma di chiusura di cui all’art.1,
comma 4, in base alla quale «per quanto non diversamente

codice procedura civile, in quanto compatibili».
1.2. Alla stregua dei rilevi che precedono, pertanto, l’eccezione
del ricorrente di inammissibilità dell’appello di Intesa Sanpaolo,
poiché proposto nelle forme del rito ordinario, anziché di quello
«societario», deve reputarsi infondata. La censura va, di
conseguenza, rigettata.
2. Con il secondo motivo di ricorso – denunciando la violazione e
falsa applicazione della legge n. 1 del 1991 e del Regolamento
Consob n. 8850 del 1994, nonché l’errata e contraddittoria
motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione
all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 5 cod. proc. civ. – il Cavallini
lamenta che la Corte d’appello abbia disatteso il disposto delle
norme succitate che – al pari delle successive – imponevano alla
banca obblighi di diligenza, correttezza e professionalità che, nella
specie, sarebbero stati violati, senza che l’istituto di credito, sul
quale incombeva il relativo onere, si fosse in alcun modo attivato nel
fornire la prova del contrario.
2.1. Il motivo è inammissibile.
2.1.1. Anzitutto la censura è inammissibile nella parte in cui il
ricorrente denuncia «l’errata e contraddittoria motivazione su un
punto rilevante della controversia», tenuto conto della novella
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., introdotta dall’art. 54 del
d.l. n. 83 del 2012, convertito dalla legge n. 134 del 2012, che ha
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disciplinato dal presente decreto, si applicano le disposizione del

escluso

qualsiasi

rilievo

alla

motivazione

insufficiente

e

contraddittoria (Cass. Sez. U. 07/04/2014, nn. 8053 e 8054; Cass.
06/07/2015, n. 13928)
2.1.2. Quanto alla censura di violazione di legge, va osservato
che, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte

sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa
impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di
interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta
definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso
potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (cfr., ex plurimis,
Cass. 18/04/2017, n. 9752). Nel caso di specie, la sentenza di
appello è fondata, sia sul rilievo che l’informazione sulla rischiosità
dei prodotti finanziari acquistati dal Cavallini, quand’anche fosse
stata fornita dall’intermediario secondo le aspettative del ricorrente,
non avrebbe potuto essere risolutiva, per la mancanza – all’epoca
degli investimenti – di segnali indicatori del crollo dei titoli, e sia
sulla mancanza di prove agli atti circa la perdurante disponibilità dei
titolo acquistati da parte del Cavallini; e tale seconda ratio decidendi
non risulta impugnata. Per il che, già sotto il profilo in esame, il
mezzo si palesa inammissibile.
2.1.3. Ad ogni buon conto, va altresì soggiunto che il ricorso per
cassazione deve contenere, a pena di inammissibilità, l’esposizione
dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza
impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e
riferibilità alla decisione impugnata (Cass. 25/02/2004, n. 3741;
Cass. 23/03/2005, n. 6219; Cass. 17/07/2007, n. 15952; Cass.
19/08/2009, n. 18421), laddove, nel caso di specie, la doglianza si
risolve in una generica elencazione dei doveri informativi della banca
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ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente

e nell’indicazione delle relative fonti normative, senza una specifica
contestazione delle singole statuizioni della sentenza impugnata.
2.2. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, la doglianza deve
essere dichiarata inammissibile.
3. Il ricorso per cassazione proposto dal Cavallini deve essere, di

soccombente alle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente, in favore della
controricorrente, alle spese del giudizio di legittimità, che liquida in
Euro 5.800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese
forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge. Ai
sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma
art. 13.

1 bis dello stesso

conseguenza, integralmente rigettato, con condanna del

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