Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5104 del 28/02/2017

Cassazione civile, sez. trib., 28/02/2017, (ud. 16/05/2016, dep.28/02/2017),  n. 5104

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 23430-2010 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.C.V., L.M.G., elettivamente

domiciliati in ROMA VIA ALESSANDRO III N. 6, presso lo studio

dell’avvocato MANGAZZO, rappresentati e difesi dagli avvocati

FRANCESCO SENESE, ANDREA OREFICE giusta delega a margine;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 304/2009 della COMM.TRIB.REG. della CAMPANIA,

SEZ.DIST. di SALERNO, depositata il 30/09/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/05/2016 dal Consigliere Dott. LUCIO LUCIOTTI;

udito per il ricorrente l’Avvocato GAROFOLI che ha chiesto

l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato OREFICE che ha chiesto

l’inammissibilità;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FUZIO Riccardo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. I contribuenti C.C.V. e L.M.G., nelle loro rispettive qualità di socio accomandatario e socio accomandante della fallita (OMISSIS) s.a.s. (OMISSIS), impugnarono separatamente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Avellino gli avvisi di accertamento emessi dall’Agenzia delle entrate ai fini delle imposte dirette e dell’IVA per gli anni 2000 e 2001 ed il C. impugnò, con separato ricorso, anche la cartella di pagamento successivamente emessa a seguito di iscrizione provvisoria degli importi dovuti a titolo di IVA ed IRAP in relazione all’anno di imposta 2000.

2. Le sentenze di primo grado. che accolsero i ricorsi dei contribuenti, vennero impugnate sia dall’Agenzia delle entrate che, in via incidentale, dai contribuenti dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Campania che con sentenza n. 304 del 30 settembre 2009, riuniti tutti i ricorsi, rigettò gli appelli proposti in via principale dell’Ufficio, accogliendo invece quelli incidentali dei contribuenti.

I giudici di appello dichiararono l’illegittimità degli avvisi di accertamento per carenza di motivazione, in quanto negli stessi si richiamavano processi verbali di constatazione redatti a carico di numerose altre società. soggette a controlli incrociati, di cui era stata omessa allegazione.

3. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replicano gli intimati con controricorso e memorie depositate ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

La causa proviene da rinvio della Sesta sezione civile di questa Corte alla quale l’Agenzia ha presentato memoria ex art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Con il primo motivo di ricorso, corredato da idoneo quesito di diritto, l’Agenzia ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, comma 1, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 1.

Sostiene che i contribuenti avevano dedotto in primo grado l’illegittimità degli avvisi di accertamento ai sensi della L. n. 212 del 2000, art. 7, perchè privi dell’illustrazione delle ragioni giuridiche che giustificavano la pretesa fiscale, mentre con l’appello incidentale avevano proposto un diverso profilo di illegittimità degli atti impositivi, sempre con riferimento al citato art. 7, relativo alla mancata allegazione degli atti prodromici in essi richiamati (nella specie, i processi verbali di constatazione redatti nei confronti di altre società soggette a controlli incrociati). Lamenta, pertanto, che i giudici di appello avevano omesso di rilevare la novità e, quindi, di dichiarare l’inammissibilità del motivo dell’appello incidentale proposto sul punto dai contribuenti.

2. E’ necessario preliminarmente rilevare l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità del motivo in esame, sollevata dai controricorrenti sotto i diversi profili della incongruità del quesito di diritto che lo conclude, del vizio di autosufficienza e della novità della questione, perchè posta per la prima volta nel giudizio di legittimità, avendo l’Amministrazione finanziaria omesso di sollevare l’eccezione di novità del motivo di appello in quel grado di giudizio.

2.1. L’esame del primo profilo impone la trascrizione integrale del quesito di diritto. formulato dalla difesa erariale nei seguenti termini: “Dica la S. Corte se la sentenza impugnata sia illegittima per non aver dichiarato la novità e, pertanto, l’inammissibilità del motivo di appello concernente l’asserita illegittimità degli avvisi di accertamento impugnati per l’omessa allegazione degli atti richiamati e la conseguente violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, allorchè nel ricorso introduttivo i contribuenti avevano connesso la violazione di tale norma al diverso fatto della carenza della motivazione per l’omessa illustrazione delle ragioni giuridiche che giustificano la pretesa fiscale nei loro confronti”.

Trattasi, all’evidenza, di quesito completo, specifico ed idoneo a chiarire gli errori di diritto imputati alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (arg. da Cass. n. 7197 del 2009; Sez. U, n. 21672 del 2013) e, come tale. ammissibile.

2.2. Insussistente è anche il secondo profilo dell’eccezione in esame dedotto con riferimento al vizio di autosufficienza del ricorso.

2.2.1. Sul punto va osservato che nella specie viene dedotto un “error in procedendo” in relazione al quale il Collegio ha diretto accesso agli atti del giudizio di merito ed anche se, come più volte ribadito da questa Corte (Cass. n. 19410 del 2015, n. 4928 del 2013, n. 5036 del 2012, n. 23420 del 2011 e n. 20405 del 2006), l’attribuzione al giudice di legittimità del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito non è sufficiente a consentire il vaglio del denunciato vizio procedurale essendo, invece, necessario e preliminare a quell’esame, la verifica dell’ammissibilità del motivo di censura sotto il profilo della sua specificità ed autosufficienza (Cass. Sez. 5^, n. 12664 del 2012, secondo cui “solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diventa possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo e, dunque, esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione, la Corte di cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali”; conf. Cass. n. 896 e n. 8008 del 2014), con riferimento al caso di specie l’Agenzia ricorrente non solo ha trascritto nell’illustrazione del motivo quella parte del ricorso proposto dai contribuenti in primo grado in cui era stata sollevata l’eccezione di difetto di motivazione degli avvisi di accertamento. ma ha riprodotto anche fotograficamente quel ricorso nella parte espositiva dello svolgimento del processo. Può quindi dirsi rispettato il principio di autosufficienza con conseguente infondatezza dell’eccezione sollevata sul punto dai controricorrenti.

2.3. Infondato è anche il terzo profilo dell’eccezione in esame con cui i controricorrenti hanno dedotto “la violazione del divieto di nuove eccezioni in sede di legittimità” sul presupposto che l’Agenzia non aveva contestato nel giudizio di appello l’ammissibilità del motivo di appello incidentale da essi proposto con riferimento alla violazione dell’art. 7 dello Statuto del contribuente per omessa allegazione degli atti prodromici richiamati negli avvisi di accertamento.

L’infondatezza della tesi sostenuta dai controricorrenti discende dal rilievo che l’Agenzia non aveva alcun onere di sollevare l’eccezione dinanzi al giudice di merito giacchè il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, consente il rilievo d’ufficio della novità della domanda o dell’eccezione sollevata dalle parti in grado di appello.

3. Il motivo di ricorso proposto dall’Agenzia, al cui esame deve quindi passarsi, è inammissibile perchè non risulta impugnata la ratio decidendi idonea a sostenere autonomamente la decisione, da rinvenirsi nell’affermazione dei giudici di appello secondo cui gli atti impostivi impugnati erano privi di – chiara – o “intellegibile” motivazione. Si legge nella sentenza gravata che “dal provvedimento impugnato nulla è chiaro” e la CTR, dopo aver citato una pronuncia di questa Corte (Cass. n. 15842 del 2006) sul “grado di determinatezza ed intelligibilità” del contenuto dell’avviso di accertamento, afferma che “nel caso specifico tale mancanza è ancor più evidente”. Che quella della non intelligibilità degli atti impositivi, unitamente alla mancata allegazione agli stessi degli atti prodromici, costituisca autonoma ratio decidendi della statuizione impugnata lo si desume molto chiaramente dall’affermazione dei giudici di appello secondo cui la L. n. 212 del 2000, art. 7 risulta nella specie violato non solo “laddove prevede espressamente che se nella motivazione si fa riferimento ad altro atto (…), questo deve essere allegato”, ma anche nella parte in cui prescrive l’obbligo di chiarezza degli atti impostivi. E poichè nessuno dei motivi proposti dalla ricorrente intercetta tale ultima affermazione, da sè sola idonea a sorreggere la sentenza gravata, il motivo va dichiarato inammissibile in ossequio al consolidato principio di questa Corte secondo cui l’eventuale fondamento delle censure mosse alle altre ragioni della decisione non consentirebbe di travolgere l’intero decisum, così che si rende evidente il difetto in capo alla ricorrente dell’interesse ad una pronuncia sui motivi di censura dedotti (in termini, Cass. n. 20118 del 2006; n. 1658 del 2005; S.U. n. 7931 del 2013; n. 4293 del 2016).

4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 62, la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42.

La ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto imprescindibile l’allegazione agli avvisi di accertamento, nella specie omessa, dei processi verbali di constatazione redatti nei confronti dei fornitori della società verificata, indicati negli atti, senza però verificare se la motivazione degli atti impositivi impugnati contenesse comunque gli elementi sufficienti a far comprendere alla società contribuente le ragioni della pretesa impositiva.

4.1. Nel quesito di diritto che lo conclude la ricorrente ha chiesto a questa Corte di dire “se sia legittimo un avviso di accertamento che, pur facendo riferimento a precedenti pp.vv. di constatazione non allegati ad esso, ne trasfonda nella motivazione il contenuto essenziale, così consentendo al contribuente di essere pienamente edotto delle ragioni della pretesa impositiva e di esercitare ogni opportuna difesa in sede giurisdizionale, in guisa che deve ritenersi viziata la sentenza impugnata per aver ritenuto la nullità dell’accertamento impugnato per il solo fatto che non fossero stati ad esso allegati i pp.vv. di constatazione richiamati, omettendo di considerare che il loro contenuto era comunque evincibile dalla motivazione”.

5. In relazione a tale motivo l’eccezione di inammissibilità sollevata dai controricorrenti per inadeguatezza del quesito di diritto è infondato, in quanto tale quesito, al pari di quello proposto con riferimento al primo motivo, è formulato in maniera completa, specifica ed idonea a chiarire gli errori di diritto imputati alla sentenza impugnata in relazione alla concreta controversia (arg. da Cass. n. 7197 del 2009; Sez. U, n. 21672 del 2013) ed è quindi ammissibile.

5.1. Coglie, invece, nel segno l’eccezione di difetto di autosufficienza del motivo pure proposta dai controricorrenti.

5.1.1. Invero la ricorrente afferma (pag. 14 del ricorso) che gli atti impositivi “contengono tutti gli elementi previsti dalla legge e riproducono in maniera puntuale il contenuto essenziale di tutti gli atti di indagine, in base ai quali si è proceduto ai recuperi effettuati”, ma, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, che ha codificato il principio di autosufficienza dell’esposizione del motivo di ricorso per cassazione – che impone di indicare specificamente, a pena di inammissibilità, oltre al luogo in cui ne è avvenuta la produzione, “gli atti processuali ed i documenti su cui il ricorso si fonda mediante riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura, oppure attraverso una riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione” (cfr. Cass. n. 1142 del 2014) – omette di trascrivere le parti essenziali di quegli atti, nè opera alcun rinvio specifico agli atti impositivi, limitandosi a riassumere il contenuto degli elementi che avevano determinato l’accertamento (individuazione delle ditte coinvolte nelle illecite transazioni, delle fatture contestate e delle ragioni per le quali venivano riferite ad operazioni inesistenti). Una modalità, questa, inidonea ad evitare la pronuncia di inammissibilità del motivo in esame e non superabile dalla riproduzione integrale degli atti, mediante allegazione fotografica degli stessi al ricorso, per come si dirà esaminando il successivo motivo di ricorso.

6. Con il terzo motivo la ricorrente, con riferimento alla medesima omissione (di allegazione agli atti impositivi dei processi verbali di constatazione redatti nei confronti dei fornitori indicati negli atti) denunciata con il precedente motivo, deduce un vizio motivazionale ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, lamentando l’insufficienza e l’illogicità della motivazione della sentenza impugnata laddove la CTR ha ritenuto non adeguatamente motivati gli atti impositivi sul presupposto della dedotta omissione, prescindendo dalla doverosa verifica della loro idoneità motivazionale.

7. Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione, di inammissibilità del motivo per vizio del quesito di fatto, sollevata dai controricorrenti.

7.1. Invero, nel c.d. “momento di sintesi” che conclude il motivo, la ricorrente sostiene che “la motivazione della sentenza impugnata è insufficiente ed illogica per aver ritenuto non adeguatamente motivati gli atti impugnati per l’irrilevante circostanza che ad essi non erano stati allegati i pp.vv.cc. richiamati, prescindendo del tutto dalla decisiva circostanza che essi recavano comunque l’analitica esposizione dei fatti che giustificavano la pretesa erariale”.

Il quesito di fatto è ammissibile perchè, oltre a distinguersi anche graficamente dall’illustrazione del motivo, è formulato in maniera tale che da esso risulta chiaramente il fatto controverso e le ragioni che rendono inidonea la motivazione a giustificare la decisione (cfr. Cass. S.U.. n. 20603 del 2007; nonchè n. 8897 del 2008, n. 22502 del 2010, n. 17682 del 2011).

7.2. E’ invece fondata l’eccezione di difetto di autosufficienza del motivo di ricorso in esame, pure sollevata dai controricorrenti.

7.2.1. A fondamento della tesi della sufficienza della motivazione degli atti impositivi, esclusa invece dai giudici di appello, la difesa erariale ha riprodotto integralmente tali atti mediante scannerizzazione degli stessi nella parte espositiva dei fatti di causa, violando in tal modo proprio quel principio (di autosufficienza) al quale la ricorrente ha affermato essersi ispirato (pag. 36 del ricorso).

Invero, la modalità di confezionamento del ricorso attuato attraverso la riproduzione integrale degli atti rilevanti ai fini della decisione “equivale nella sostanza ad un mero rinvio agli atti di causa e viola, di conseguenza, il principio di autosufficienza del ricorso” (Cass., S.U. n. 19255 del 2010), di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, in base al quale “costituisce onere del ricorrente operare una sintesi del fatto sostanziale e processuale, funzionale alla piena comprensione e valutazione delle censure, al fine di evitare di delegare alla Corte un’attività, consistente nella lettura integrale degli atti assemblati finalizzata alla selezione di ciò che effettivamente rileva ai fini della decisione, che, inerendo al contenuto del ricorso, è di competenza della parte ricorrente e, quindi, del suo difensore” (cfr. Cass. n. 10244 del 2013).

Il motivo, che neanche contiene “una chiara sintesi dei punti rilevanti per la risoluzione della questione dedotta”, che avrebbe consentito di ritenere rispettato il principio di autosufficienza pur in presenza dell’integrale riproduzione degli atti di causa (in termini, Cass. S.U. n. n. 4324 del 2014), va quindi dichiarato inammissibile.

8. In estrema sintesi, i motivi di ricorso vanno dichiarati inammissibili e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo ai sensi del D.M. Giustizia n. 55 del 2014, oltre spese forfettarie, che si ritiene di indicare nella misura del 15%, ed ulteriori accessori come per legge.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 7.000,00 oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della sezione quinta civile, il 16 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 febbraio 2017

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