Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5104 del 05/03/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 5104 Anno 2018
Presidente: TIRELLI FRANCESCO
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 3161/2017 proposto da:
Provincia di Taranto, in persona del Presidente pro tempore,
domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della
Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Semeraro
Cesare, giusta procura a margine del ricorso;
-ricorrente contro
Adamo Giulia;
– intimata nonchè contro

Data pubblicazione: 05/03/2018

e e (.

Adamo Giulia, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la
Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa
dall’avvocato Baldassini Rocco, giusta procura speciale per Notaio
dott.ssa Emilia Mobilio di Taranto – Rep. n. 8824 del 1.2.2017;

contro
Provincia di Taranto;
– intimata –

avverso la sentenza n. 545/2016 della CORTE D’APPELLO DI LECCE SEZIONE DISTACCATA DI TARANTO, depositata il 25/11/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
03/10/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA

Giulia Adamo convenne in giudizio innanzi alla Corte d’Appello di
Lecce la Provincia di Taranto, chiedendo che venissero determinate le
giuste indennità dovutele, per l’occupazione e l’espropriazione di mq.
15086 della sua proprietà. Nel contraddittorio della convenuta, che
eccepì l’improponibilità della domanda, in pendenza della decisione
della CPE sulla quantificazione dell’indennità, la Corte adita, con
sentenza in data 25.11.2016, le determinò, ritenendo, per quanto
d’interesse: a) infondata l’eccezione sollevata dalla convenuta, in
quanto il termine di decadenza di trenta giorni, di cui all’art. 29, co 3,
del d.lgs. n. 150 del 2011, non aveva iniziato il suo decorso, in assenza
di stima definitiva, ed esperibile l’azione di determinazione giudiziale
dell’indennità; b) infondata la richiesta dell’espropriata volta a
conseguire la maggiorazione di cui all’art. 2, co 89, della L n. 244 del
2

-controricorrente e ricorrente incidentale –

2007, in quanto non constava che fosse pendente un accordo di
cessione non concluso per fatto alla stessa non imputabile. Per la
cassazione della sentenza, ha proposto ricorso, in via principale, la
Provincia, con un articolato motivo, ed, in via incidentale, la Adamo,
con tre motivi, illustrati da memoria.

1. L’eccezione d’improcedibilità del ricorso, sollevata dalla
controricorrente, è infondata. La sentenza impugnata risulta
pubblicata il 25.11.2016, ed in tale giorno, come riferisce la stessa
ricorrente, la sentenza le è stata notificata con modalità telematiche;
la notifica del ricorso è, poi, avvenuta il 23.1.2017, e dunque entro i
sessanta giorni dalla predetta data di pubblicazione e notificazione
della sentenza. Pertanto, l’omesso deposito della copia autentica della
relata di notificazione della sentenza (che avrebbe dovuto avvenire
mediante deposito di copie cartacee del messaggio di posta elettronica
certificata e della relazione di notificazione redatta dal mittente ex art.
3-bis, co 5, della I. n. 53 del 1994, cfr. Cass. n. 17450 del 2017) non
ha determinato, sia pur sulla base dell’esame del solo ricorso, nessuna
incertezza sull’esercizio del diritto di impugnazione nel rispetto del
termine breve (Cass. n. 17066 del 2013), sanzionato dall’art. 369, co
2, c.p.c., proprio allo scopo di grave consentire alla Corte di delibare
immediatamente -anche mediante l’apposito procedimento cameralesulla tempestività del ricorso. La conclusione è in linea con la recente
sentenza n. 10648 del 2017 delle Sezioni Unite di questa Corte, che
hanno escluso la ricorrenza dei presupposti dell’improcedibilità, ex art.
369, co 2, c.p.c., nell’ipotesi dell’omesso deposito della relata di
notificazione della sentenza, quando quest’ultima risulti comunque
nella disponibilità del giudice perché prodotta dalla parte
controricorrente ovvero acquisita mediante l’istanza di trasmissione
3

RAGIONI DELLA DECISIONE

del fascicolo di ufficio, e ciò in base ad un’esegesi convenzionalmente
orientata, cui va data continuità, secondo cui quando i termini fissati
dal legislatore per la sequenza procedimentale delle impugnazioni
siano stati rispettati -come nella specie ricade nella diretta percezione
del Collegio- la sanzione irrimediabile dell’improcedibilità non è

2. Col proposto ricorso, la Provincia censura la statuizione sub a)
di parte narrativa, per violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del
d.P.R. n. 327 del 2001, 29, co 3, del d.lgs. n. 150 del 2011 in relazione
al disposto di cui all’art. 113 c.p.c., ed omessa valutazione di questione
decisiva. La ricorrente evidenzia che essendo il decreto stato notificato
il 17.2.2015, il ricorso proposto il 15.6.2015, è inammissibile, dovendo
applicarsi il termine di decadenza anche per le azioni di
determinazione dell’indennità.
3. Il motivo, del tutto autosufficiente, è infondato.
4. La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 10720 del
2016; n. 22844 del 2016; n. 11261 del 2016; n. 5517 del 2017; n.
10446 del 2017) ha, infatti, chiarito che, anche secondo la disciplina
del d.P.R. n. 327 del 2001, art. 54, al proprietario espropriato sono
concesse due azioni: l’una di determinazione dell’indennità di
esproprio e l’altra di opposizione alla stima, a seconda se sia stata
calcolata o meno l’indennità definitiva, che è demandata non soltanto
alla Commissione Provinciale ma anche, in alternativa, al collegio dei
tecnici di cui all’art. 21. La previsione dell’art. 54 costituisce la
codificazione del principio, costantemente affermato (Cass. n.
17604/2013; 11406/2012; 20997/2008; 11054/2001), secondo cui
emanato il provvedimento ablativo sorge contestualmente, ed è per
ciò stesso azionabile, il diritto del proprietario a percepire il giusto
indennizzo di cui all’art. 42 Cost. -che si sostituisce al diritto reale e
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proporzionata alla violazione processuale commessa.

non è subordinato alla liquidazione in sede amministrativa- e si pone
inoltre in consonanza con la sequenza procedimentale prevista dagli
artt. 20, co 11 e 12; 22, 23 e 26, co 11, del T.U., in base alla quale come già accadeva nel sistema di cui alla L. n. 865 del 1971- la
pronuncia del decreto di esproprio segue di regola la sola offerta

essere indicata nel provvedimento e precede logicamente la
determinazione dell’indennità definitiva. Nell’ipotesi eccezionale in cui
il decreto tardi ad essere emesso e tuttavia nelle more sia egualmente
determinata l’indennità definitiva (ad opera della Commissione
provinciale ovvero del collegio dei tecnici) insorge la sola necessità che
nel decreto di esproprio sia indicata anche la determinazione
dell’indennità suddetta (artt. 27 e 23 lett. d, ove significativamente la
nomina dei tecnici è considerata solo “eventuale”). E proprio in
riferimento a dette due fattispecie -quella fisiologica e quella
eccezionale in cui il decreto di esproprio segue la stima definitiva- si
spiega il disposto dell’art. 29, co 3, del d.lgs. n. 150 del 2011, che
indica il dies a quo del termine di 30 giorni per proporre opposizione
“dalla notifica del decreto di esproprio”; ovvero “dalla notifica della
stima peritale, se quest’ultima sia successiva al decreto di esproprio”.
5. Secondo la ricorrente, la soppressione, ad opera della L n. 150
del 2011, del riferimento alla stima della Commissione provinciale, che
era stata aggiunta dall’art. 1, lett. 00, del d.lgs. n. 302 del 2002,
all’originario testo della norma, dovrebbe indurre a concludere che la
“stima”, che sposta in avanti il dies a quo del termine di decadenza sia
solo quella effettuata dal collegio dei tecnici e non anche quella
effettuata dalla Commissione provinciale, talchè in questo caso la
decorrenza del termine dovrebbe coincidere con la notifica del decreto
di espropriazione. 6. La tesi è infondata, non solo perché la modifica
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dell’indennità provvisoria, che, a norma dell’art. 23, co 1, lett. c, deve

ha riguardato il primo comma dell’art. 54 del TU (che prevede un
termine dilatorio decorrente dalla comunicazione del deposito della
relazione di stima per l’impugnazione del relativo procedimento e per
la proposizione dell’azione di liquidazione giudiziale dell’indennità) e
non il secondo comma del medesimo articolo, che dettava il termine

29, co 3, del d.lgs. n. 150 del 2011), ma, soprattutto, sotto il profilo
sistematico, in riferimento alla sequenza procedimentale che si è
esposta al precedente § 4, ed all’equivalenza funzionale tra le due
modalità di determinazione della stima definitiva; ed, a monte, in
quanto verrebbe ad introdurre per l’azione di determinazione
dell’indennità il termine di decadenza che è testualmente previso per
la diversa azione di “opposizione alla stima” quale che sia il
procedimento di determinazione dell’indennità definitiva e l’organo che
l’ha determinata (l’aggettivo “peritale” non appare al riguardo
dirimente), termine che nella specie, non ha neppure iniziato il suo
decorso, non essendo intervenuta alcuna stima definitiva.
7. In particolare, l’argomento secondo cui oggi non sarebbe più
giustificabile il termine decennale ordinario per la determinazione
giudiziale dell’indennità -in costanza di provvedimento ablativo ed in
assenza di stima definitiva- in quanto l’azione prevista dalla legge è
soggetta a termine decadenziale, finisce col sovrapporre, con evidente
petizione di principio, tale azione a quella di opposizione alla stima
(cfr. per le relative differenze, Cass. n. 11503 del 2014), dovendo
aggiungersi che i timori palesati dalla ricorrente, secondo cui il privato
sarebbe privilegiato a danno dell’Amministrazione espropriante sono
del tutto infondati, essendo le parti del procedimento espropriativo
poste in condizione di parità (cfr. Cass. n. 21731 del 2016), e che
l’Adunanza generale del Consiglio di Stato col parere del 29 marzo
6

di decadenza (il cui dies a quo è stato esattamente trasfuso nell’art.

2001 n. 4 -che ha definito, ex art. 7, co 5, della L n. 50 del 1999, lo
schema del Testo Unico, poi sostanzialmente recepito dal dPR n. 327
del 2001- ha chiarito, al contrario di quanto opina la ricorrente, che il
criterio adottato con l’art. 54 è volto ad unificare le discipline previste
dall’art. 51 della L. n. 2359 del 1865 e dagli artt. 19 e 20 della L n.

declaratorie d’incostituzionalità rispettivamente emesse dalla
sentenza n. 67 del 1990, e, per la diretta azionabilità della pretesa
all’indennità per l’occupazione di urgenza, dalla sentenza n. 470 del
1990), ed ha espressamente aggiunto che, in mancanza di stima, può
esser proposta, come lo è stato nella specie, l’azione di diretta
determinazione giudiziale dell’indennità.
8. Con i tre motivi del ricorso incidentale, l’espropriata censura la
statuizione sub b) per violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del
d.P.R. n. 327 del 2001, 2, co 89 e 90, della L. n. 244 del 2007 ed
omesso esame di un fatto decisivo.
9. Le dedotte violazioni di legge, da valutarsi congiuntamente,
sono fondate. Questa Corte (Cass. n. 12058 del 2017) ha già
condivisibilmente affermato il principio secondo cui: “L’aumento
dell’indennità di espropriazione di un’area edificabile, previsto, ex art.
37, comma 2, del d.P.R. n. 327 del 2001 (nel testo risultante dalle
modifiche apportategli dall’art. 2, comma 89, della I. n. 244 del 2007),
nella misura del 10 per cento, trova applicazione indipendentemente
dalla riduzione – prevista dal comma 1 – dell’indennità del 25 per cento
prevista per le ipotesi in cui l’espropriazione sia finalizzata ad attuare
interventi di riforma economico-sociale, e va riconosciuto in via
automatica dal giudice, anche ove ciò comporti il superamento del
tetto del valore di mercato nella quantificazione dell’indennizzo,
allorché emerga dagli atti la presenza di uno dei presupposti previsti
7

865 del 1971 (gli ultimi due, ovviamente, quali risultanti dalle

dalla norma (ossia quando l’amministrazione abbia offerto
un’indennità provvisoria inferiore agli otto decimi di quella definitiva),
mirando ad incentivare la definizione del procedimento espropriativo
in via consensuale e non giudiziale, sanzionandone l’ingiustificata
attesa, imposta al proprietario, della sua conclusione, così stimolando

di pagare tale maggiorazione offrendo una somma non inferiore agli
otto decimi di cui sopra”.
10. L’impugnata sentenza che ha affermato un principio diverso,
va pertanto cassata con rinvio, non potendosi procedere alla chiesta
decisione nel merito, dato che l’indagine diretta a stabilire la
(eventuale) non necessità di ulteriori accertamenti di fatto essere
compiuta unicamente sul provvedimento impugnato, nel senso che da
questo deve emergere la sufficienza degli accertamenti effettuati per
poter decidere la causa nel merito (cfr. Cass. 21045 del 2013), e che,
nella specie, la sentenza non dà conto dell’ammontare dell’indennità
offerta.
11. Il giudice del rinvio, che si designa nella Corte d’Appello di
Lecce Sezione staccata di Taranto, provvederà anche alla liquidazione
delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.

rigetta il ricorso principale, accoglie l’incidentale, cassa e rinvia
alla Corte d’Appello di Lecce Sezione staccata di Taranto, in diversa
composizione, anche per la statuizione sulle spese. Ai sensi dell’art.
13 comma 1 quater del d.P.R.

n. 115 del 2002, dà atto della

sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente
principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a

8

comportamenti virtuosi della P.A., la quale ha la possibilità di evitare

quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello
stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 3 ottobre 2017
Il
Il Funzionario Giudizi

Dott.ssa Fabrizio BAR

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