Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 5103 del 25/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 25/02/2021, (ud. 26/01/2021, dep. 25/02/2021), n.5103

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – rel. Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10633-2020 proposto da:

J.E., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE ANGELICO 38,

presso lo studio dell’avvocato MARCO LANZILAO, che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO (OMISSIS), MINISTERO DELL’INTERNO -COMMISSIONE

TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE

DI ROMA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 7260/2019 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 25/11/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 26/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa SCALIA

LAURA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. J.E., nato in Nigeria, cittadino dell’Edo State, ricorre con tre motivi per la cassazione della sentenza in epigrafe indicata, con cui la Corte di appello di Roma, rigettandone l’impugnazione, ha confermato l’ordinanza del locale tribunale che ne aveva disatteso la richiesta di protezione sussidiaria e di riconoscimento di un permesso per gravi ragioni umanitarie e con essa il giudizio, espresso dal primo giudice, di non credibilità del racconto e di insussistenza dei presupposti legittimanti l’accesso alle misure richieste.

Il Ministero dell’interno è rimasto intimato.

2. Nel racconto reso il ricorrente aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il proprio Paese per la minaccia di morte subita dagli appartenenti alla setta degli “Ogboni”, ai quali si chiedeva di commettere azioni illegali, in seguito al rifiuto frapposto dal dichiarante ad entrare a farvi parte in quanto primogenito di un adepto.

3. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3. Il racconto del richiedente era stato ritenuto non credibile all’esito di un mal governo delle norme dettate sulla formazione del giudizio di credibilità e per esso sul fenomeno delle “sette” e del “cultismo” in Nigeria secondo fonti indicate in ricorso.

Il motivo presenta profili di manifesta infondatezza e di inammissibilità per sconfinamento nel merito.

3.1. La corte di appello ha scrutinato il racconto reso dal ricorrente a sostegno della svolta domanda di protezione per poi escluderei per una verifica di credibilità razionale della concreta vicenda narrata a fondamento della domanda, in forza di un accertamento condotto sul fenomeno della setta degli Ogboni, l’appartenenza alla stessa secondo modalità fondate sulla minaccia di morte nei confronti dei futuri adepti, invece riferite dal richiedente, e tanto secondo il report della Commissione nazionale per il diritto di asilo del 27 ottobre 2015 ed in esito a consultazione del sito web della Word Press, da cui emergeva

che non era stato ucciso un qualche figlio di affiliati per non avere aderito alla congregazione, e che la settata cui si aderiva invece solo volontariamente, era soltanto volta a favorire i propri membri.

3.2. Lo svolto giudizio sfugge alla censura di violazione di legge D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3 ed il motivo, contrapponendo alle fonti indicate nel provvedimento impugnato altre più genericamente dirette, a riportare le modalità operative di più ampi fenomeni aggregativi e di cultismo, manca di decisività e vale solo a sollecitare in questa sede una inammissibile rivalutazione del merito.

4. Con il secondo motivo il ricorrente fa valere quanto alla protezione sussidiaria e la situazione del Paese (Edo State) di origine, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8; difetto di motivazione e travisamento dei fatti.

La Corte di merito aveva escluso, quanto alla “protezione umanitaria”, l’allegazione di una situazione di vulnerabilità personale del richiedente e nessuna forma di stabile integrazione in Italia senza provvedere a valutare la situazione socio-economica del Paese di provenienza e quella attuale del ricorrente, la situazione di pericolo incontrata in caso di rientro nel Paese di origine nella comparazione tra le situazioni dei due diversi Paesi; la motivazione era pertanto apparente o assente.

5. Con il terzo motivo il ricorrente deducendo il divieto di espulsione, integrativo della, protezione umanitaria, nell’omessa valutazione delle fonti informative, fa valere l’omesso esame delle condizioni personali e delle necessaria comparazione tra la condizione raggiunta in Italia e quella del Paese di provenienza (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 comma 6, e art. 19; art. 10 Cost).

6.1 motivi da trattarsi congiuntamente in quanto connessi sono manifestamente infondati. La corte, di merito ha dato corretta applicazione al paradigma normativo integrativo dell’invocata protezione come definito dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione,

Il ricorso ente non deduce l’esistenza di situazioni individuali di vulnerabilità integrative dei gravi motivi che legittimano il riconoscimento della protezione umanitaria. Fermo che la motivazione apparente o mancante resta definita quando, pur se graficamente esistente ed eventualmente sovrabbondante nella descrizione astratta delle norme che regolano la fattispecie dedotta in giudizio, non consente alcun controllo sull’esattezza e la logicità del ragionamento decisorio, così da non attingere la soglia del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6 (Cass. n. 13248 del 30/06/2020; Cass. n. 9105 del 07/04/2017), siffatta ipotesi non ricorre nel caso di specie, nel raccordo operato dalla corte di merito tra il racconto del richiedente ed i contenuti della fattispecie della protezione umanitaria secondo il paradigma normativo definito dalla giurisprudenza di questa Corte di cassazione in cui concorre con la credibilità del racconto, la sua capacità di dare contenuto a situazioni individualizzate di vulnerabilità consistenti nella lesione di posizioni di diritto soggettivo conculcate nel Paese di origine al di sotto del nucleo ineliminabile dello statuto della dignità personale nel raffronto con l’integrazione economico sociale raggiunta nel paese di accoglienza (Cass. n. 4455 del 2018; Cass. SU n. 29459 del 13/11/2019).

La corte di merito ha escluso la credibilità del racconto e quindi la sua capacità di definire situazioni individualizzate di vulnerabilità con rischio di lesione dei diritti fondamentali ed il ricorso che denuncia l’inosservanza del paradigma normativo di riferimento non si fa carico di dedurre sull’esistenza invece di quel rischio che si vorrebbe obliterato nelle valutazioni della corte di merito.

La corte di merito rinviene infatti una percezione meramente soggettiva di minaccia alla vita del richiedente dovuta alla dedotta operatività della setta degli “Ogboni”, esclusa, invece, nella sua oggettiva portata in motivazione in ragione del ritenuto fenomeno associativo, nel resto rilevando il difetto nel Paese di origine del richiedente, in caso di suo rientro, di vedere conculcati i diritti umani nei termini sopra indicati per uno scrutinio della situazione-Paese condotto su fona aggiornate (COI EASO Novembre 2018) i cui esiti sono stati concludentemente apprezzati per escludere un pericolo alla vita ed all’incolumità e per ritenere affidabili le forze di polizia.

Nel resto quanto ad ulteriori situazioni di lesione dei diritti fondamentali capaci di sostenere altrettante ragioni di vulnerabilità soggettiva vale l’adempimento dell’onere di tempestiva allegazione da parte del ricorrente per descrivere una diversa ed ulteriore vicenda fattuale rispetto alla situazione di pericolo dovuta all’assunta modalità operatività della setta degli Ogboni, il ricorso manca anche di autosufficienza nel dovere del richiedente di allegare e dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, e tanto nel silenzio sul punto della corte di merito.

Ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice è chiamato a verificare l’esistenza di seri motivi che impongano di offrire tutela a situazioni di vulnerabilità individuale, anche esercitando i poteri istruttori ufficiosi a lui conferiti, ma è necessario che il richiedente indichi i fatti costitutivi dei diritto azionato e cioè fornisca elementi idonei a far desumere che il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in correlazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese d’accoglienza (n. 13573 del 02/07/2020).

In ricorso vi è un richiamo alle condizioni di estrema povertà della popolazione del Paese di origine in ogni caso senza alcuna deduzione sulla tempestività dell’allegazione in fase di merito al fine di orientare l’accertamento rimesso al giudice per l’esercizio del dovere di collaborazione istruttoria ex art. 8 cit.

Nello scrutinato contesto di non compromissione, per le situazioni fattuali dedotte, dei diritti fondamentali la corte di merito ha poi ed inoltre escluso l’integrazione del richiedente in Italia, tema che in nessun modo è toccato dal proposto motivo che si rivela, come tale, anche per tale profilo non concludente.

8. Il ricorso è quindi inammissibile. Nulla sulle spese essendo l’Amministrazione rimasta intimata.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, si da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

PQM

Dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, da atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Depositato in Cancelleria il 25 febbraio 2021

 

 

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