Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 51 del 03/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 03/01/2011, (ud. 30/11/2010, dep. 03/01/2011), n.51

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31066-2007 proposto da:

V.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA FLAMINIA

109, presso lo studio dell’avvocato BERTOLONE BIAGIO, rappresentato e

difeso dall’avvocato BIANCAROSA SALVATORE, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

C.R.I.A.S. – CASSA REGIONALE PER IL CREDITO ALLE IMPRESE ARTIGIANE

SICILIANE, in persona del legale rappresentante pro tempore,

domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE

SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MUSCARA’

SALVATORE, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 816/2006 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/11/2006 R.G.N. 1635/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

30/11/2010 dal Consigliere Dott. MELIADO’ Giuseppe;

udito l’Avvocato MUSCARA’ SALVO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 16/25.11.2006 la Corte di appello di Catania confermava la sentenza resa dal Tribunale di Catania il 16.11.2004, che aveva rigettato la domanda proposta da V.A. per far dichiarare l’inadempimento della Cassa Regionale per il Credito alle Imprese Artigiane (CRIAS) all’obbligo di iscrizione ad un fondo pensione complementare e per l’effetto di condannarsi la stessa ad assolvere a tale obbligo mediante l’iscrizione ad un fondo da individuarsi fra quelli costituiti da intermediari abilitati ai sensi del D.Lgs. n. 124 del 1993, con la condanna al risarcimento dei danni, in misura corrispondente all’omissione dei versamenti CRIAS sul Fondo pensione e/o alla perdita di iscrizione al fondo con decorrenza dalla data di assunzione e sino alla effettiva attuazione della tutela previdenziale complementare.

Osservava in sintesi la corte territoriale che la previsione contenuta nel contratto di assunzione a tempo indeterminato di “iscrizione al Fondo pensione CRIAS” riguardava non qualsiasi fondo complementare, ma solo quello al momento in essere e, quindi, restava soggetta alla nuova disciplina normativa sulla previdenza complementare introdotta dal D.Lgs. n. 124 del 1993, che risultava incompatibile con la regolamentazione del fondo CRIAS, tanto che la Cassa aveva provveduto a cancellare i lavoratori, quale il ricorrente, già assunti con contratto di formazione, in quanto “la iscrizione al fondo non assicura(va) l’effettività del trattamento pensionistico integrativo, essendo richiesto un tetto massimo non pensionabile”, ed aveva disposto, con il consenso degli stessi, la restituzione delle somme accumulate presso il fondo cancellato.

Per la cassazione della sentenza propone ricorso V.A. con quattro motivi. La CRIAS resiste con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente lamenta vizio di motivazione (art. 360 c.p.c. n. 5) ed, al riguardo, osserva, fra l’altro, che la corte aveva immotivatamente trascurato di considerare che in nessuna parte del contratto di assunzione era dato rinvenire che l’iscrizione al fondo pensione dovesse riguardare solo il fondo in atto costituito presso la CRIAS, tanto che lo stesso non faceva riferimento alla disciplina del D.Lgs. n. 124 del 1993, pur già vigente, e che, comunque, aveva omesso di valutare che, stante l’obbligo per la Cassa di assicurare la tutela previdenziale complementare, tale tutela doveva essere, in ogni caso, garantita nelle forme previste dalla normativa sopravvenuta, una volta soppresso il fondo già esistente.

Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, denuncia violazione dell’art. 35 del regolamento organico della CRIAS, nonchè vizio di motivazione, rilevando che da tale norma discendeva l’obbligo per la Cassa di assicurare a tutto il personale il trattamento previdenziale complementare, non potendosi accedere ad una “lettura meramente testuale di tale disposizione” che ne circoscriveva l’obbligo a quello già costituito, e che, comunque, il regolamento, in quanto accordo di lavoro integrativo aziendale, doveva ritenersi inserito fra le fonti istitutive dei fondi complementari di cui al D.Lgs. n. 124 del 1993, per costituire il contratto collettivo di settore mero parametro di riferimento per la determinazione del solo trattamento retributivo.

Con il terzo motivo il ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione di norme di diritto (D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) nonchè vizio di motivazione ed, al riguardo, osserva che la norma risultava perfettamente compatibile con il riconoscimento del diritto dei dipendenti CRIAS assunti con contratto di formazione al trattamento previdenziale complementare.

Con l’ultimo motivo, infine, proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1324, 1363 e 1453 c.c., nonchè vizio di motivazione, rilevando che la corte territoriale aveva erroneamente escluso che il diritto alla tutela complementare potesse discendere dalla Delib. del c.d.a. del 12.5.1997, erroneamente interpretata come una mera dichiarazione di intenti, e non come atto impegnativo.

2. Il ricorso è inammissibile poichè, pur trattandosi di sentenza per la quale trova applicazione, ratione temporis, la disciplina introdotta dal D.Lgs. n. 40 del 2006, l’illustrazione delle censure non si conclude con le formulazioni e le indicazioni prescritte dall’art. 366-bis c.p.c..

Costituisce insegnamento di questa Suprema Corte che il quesito di diritto deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la Corte di cassazione in condizione di rispondere ad esso con l’enunciazione di una regula juris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; il che vale quanto dire che la Corte di legittimità deve poter comprendere dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico-giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (cfr., ex plurimis, Cass., sez. un., n. 18759 del 2008; id, n. 3519 del 2008, e altre successive conformi).

2.1. Nel caso di specie, la parte ricorrente non ha adempiuto all’onere della proposizione di una valida impugnazione, in coerenza con i contenuti sopra specificati, poichè, con riguardo al secondo motivo, che, per come si è già esposto, denuncia violazione dell’art. 35 del regolamento organico della CRIAS, al terzo motivo, che denuncia violazione del D.Lgs. n. 124 del 1993, art. 18, e al quarto motivo, che denuncia violazione degli artt. 1324, 1363 e 1453 c.c., viene formulato, a conclusione delle censure, un quesito del tutto generico, limitato, rispettivamente, alla sola richiesta alla Corte di accertare: che in base all’art. 35 del regolamento della CRIAS a tutti i dipendenti di tale Ente debba essere riconosciuta e corrisposta una tutela previdenziale complementare mediante iscrizione ad apposito Fondo pensioni; che in conseguenza dell’applicazione di quanto previsto dal D.Lgs n. 124 del 1993 a tutti i dipendenti di tale Ente, nessuno escluso, debba essere riconosciuta e corrisposta una tutela previdenziale complementare mediante iscrizione ad apposito Fondo pensioni; che l’atto deliberativo di un ente pubblico economico – valutato in modo complessivo e in relazione alle sue finalità proprie – sia idoneo a costituire fonte di obbligazione per lo stesso ente, in riferimento al contenuto delle decisioni assunte.

Ma una simile formulazione dei motivi di ricorso – come le Sezioni unite di questa Corte hanno precisato – equivale ad un’omessa formulazione, dal momento che la norma, se detta una prescrizione di ordine formale, incide anche sulla sostanza dell’impugnazione, imponendo al ricorrente di chiarire, con il quesito e con l’indicazione specifica di cui all’art. 366 bis c.p.c., l’errore di diritto imputato alla sentenza impugnata in relazione alla concreta fattispecie; e, peraltro, alla carente indicazione non si può sopperire integrando il quesito con le deduzioni articolate nella trattazione del motivo; nè viene in alcun modo specificato e chiarito il riferimento all’art. 360 c.p.c., n. 5, pure indicato, promiscuamente, nella intitolazione di tali motivi.

2.2. Con riguardo, poi, al primo motivo, che denuncia vizio di motivazione, la censura, nell’opporre alla decisione impugnata una diversa tesi riguardo alla sussistenza dell’obbligo di garantire ai dipendenti la tutela previdenziale complementare, anche in relazione all’interpretazione del contratto di assunzione, è del tutto priva di quel necessario momento di sintesi che, anche per quanto concerne il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, deve accompagnare l’illustrazione del motivo, sì da circoscriverne puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità, con riguardo alla indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, nonchè delle ragioni per cui la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione (cfr. Cass., sez. un., n. 16528 del 2008; id, n. 2652 del 2008, ed altre successive conformi).

3. Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile e la parte ricorrente condannata, secondo il criterio della soccombenza, alla rifusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in Euro 38,00 per esborsi e in Euro duemila per onorario, oltre a spese generali, IVA e CPA come per legge.

Così deciso in Roma, il 30 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 3 gennaio 2011

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